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La cicerchia, elisir di lunga vita

Un antico detto dice: “sei come una cicerchia”, ad indicare che non vali niente. La cicerchia era, infatti, il cibo che mangiavano in passato i contadini e i pastori dell’Italia centrale quando non avevano di che sfamarsi.

Un antico detto dice: “sei come una cicerchia”, ad indicare che non vali niente. La cicerchia era, infatti, il cibo che mangiavano in passato i contadini e i pastori dell’Italia centrale quando non avevano di che sfamarsi. Si tratta di un legume, appartenente alla famiglia delle Fabaceae, ormai dimenticato, diffuso in alcune zone dell’Europa, ma anche in Asia e in Africa orientale. È una coltura particolarmente importante in aree tendenti alla siccità e alla carestia, perché fornisce un buon raccolto quando le altre colture falliscono.  Il suo nome scientifico è “Lathyrus Sativus”, si trova in commercio tutto l’anno, secco e, come gli altri legumi,  va sottoposto a un lungo ammollo prima di essere cotto e consumato (questo perché nei semi è presente una piccola quantità di tossina, che se ingerita, per lungo tempo, può essere causa di una patologia neurodegenerativa nota come “latirismo”). Il suo odore, da crudo, è simile a quello dei piselli, mentre il sapore ricorda quello delle fave. Questo legume, dalle origini antichissime, è stato oggi riscoperto e valorizzato per il suo importante valore nutrizionale. Infatti, è ricco di proteine e amido, ma anche di vitamine (B1,B2,PP), calcio, fosforo e fibra. Inoltre, è caratterizzato dall’elevato contenuto in ferro. Viene consigliato in oligoterapia nutrizionale, nei disturbi della memoria, nell’affaticamento cerebrale; è adatto a studenti, anziani e a chi deve affrontare dure giornate di lavoro. Utile nei vegetariani contro debolezza e astenia. La cicerchia, poi, come tutti i legumi, è povera in grassi.

Essa, inoltre, rappresenta uno dei cibi base degli abitanti di Campodimele in Ciociaria, il paese dei longevi per antonomasia, già oggetto di studio da parte dell’OMS per i bassissimi livelli di patologie legate a dislipidemia e ipertensione nella popolazione.

Da sola o abbinata ad altri legumi, è ottima per minestre o zuppe,così anche cucinata in purea. Con la farina di cicerchie (prodotto di nicchia per via del suo costo molto elevato) si possono preparare pappardelle, polenta, maltagliati.

Nella tradizione culinaria abruzzese, marchigiana, molisana e umbra spicca la “cicerchiata”, un dolce tipico, consumato a Carnevale, riconosciuto, tra l’altro, come prodotto agro-alimentare tradizionale. Il nome cicerchiata ha origine medievale e deriverebbe proprio dalla cicerchia; il significato di cicerchiata è infatti “mucchio di cicerchie”.

Giorgia Galasso

Biologa Nutrizionista, Specializzanda in Scienza dell’Alimentazione

giorgiagalasso@libero.it

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