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Venerdì, 29 Marzo 2024
Economia

"Nuove barriere tra la città e il porto"

BRINDISI - Dopo l'articolo di BrindisiReport.it sul progetto di completamento delle strutture di security del porto di Brindisi, varato dall'Autorità Portuale senza tenere alcun conto degli indirizzi urbanistici approvati dal consiglio comunale, tanto meno dell'idea di water front e città d'acqua adottate nel 2005, abbiamo ospitato un lungo intervento dell'ing. Francesco Di Leverano, dirigente del Settore urbanistica del Comune, e oggi pubblichiamo quello di due architetti, Angela Potì e Ida Calò (per il movimento Sì Democrazia) in cui si evidenzia come l'Autorità Portuale stia al contrario accentuando la separazione anche fisica tra area urbana e spazi portuali.

BRINDISI - Dopo l'articolo di BrindisiReport.it sul progetto di completamento delle strutture di security del porto di Brindisi, varato dall'Autorità Portuale senza tenere alcun conto degli indirizzi urbanistici approvati dal consiglio comunale, tanto meno dell'idea di water front e città d'acqua adottate nel 2005, abbiamo ospitato un lungo intervento dell'ing. Francesco Di Leverano, dirigente del Settore urbanistica del Comune, e oggi pubblichiamo quello di due architetti, Angela Potì e Ida Calò (per il movimento Sì Democrazia) in cui si evidenzia come l'Autorità Portuale stia al contrario accentuando la separazione anche fisica tra area urbana e spazi portuali.

L’articolo dell’ing. Di Leverano che  di emozioni ne ha suscitate molte e anche contrastanti fra loro. Prima di qualsivoglia commento e osservazione in merito all’argomento così sentito da tutti noi cittadini, tecnici, portatori di interesse della più diversa natura, è bene ricordare le proposte e l’idea di città –porto proclamata dal Comune di Brindisi da una decina d’anni per dovuta memoria.

L’idea di water front e del “Sistema urbano portuale” avanzata già nel 2004 prevedeva l’individuazione di un ambito del porto che interagiva direttamente con la città prestandosi ad una serie di interventi di riqualificazione ed infrastrutturazione rivolti alla valorizzazione dello specchio acqueo portuale nonché come attracco per il traffico crocieristico e traghetti”

L’idea di città d’acqua prevedeva la creazione di un nuovo fronte, generato dalla ricostruzione del Seno di Levante con edilizia polifunzionale e verde ed anche attività gastronomiche e ricreative, al fine di valorizzare l’area portuale, tramite la creazione di servizi a supporto del traffico merci–passeggeri e sedi destinate ad accogliere attività commerciali.

Questa l’idea nel 2005 ribadita poi nella stesura della relazione del Documento Preliminare al Pug e nel progetto di Rigenerazione Urbana di Via del Mare che nel medio termine ipotizzava l’utilizzo di tutta l’area cittadina prospiciente il Seno di Levante compresa l’intera banchina fino al fronte mare. L’idea della città che si allunga fino alle banchine e dialoga col mare era chiara a tutta la cittadinanza e questa idea fantastica ormai nell’immaginario di ognuno di noi , aspettava di trovare riscontro nel progetto di Viale Regina Margherita e di Via del Mare.

Ora questa idea è crollata dopo aver preso visione degli allegati tecnici per il bando di gara relativo ai “lavori di completamento delle infrastrutture di security nel porto di Brindisi” indetto dall’Autorità Portuale che chiude con un sistema di recinzione tutto il circuito dalla stazione marittima a Costa Morena rendendolo interdetto al pubblico accesso.

La strategia complessiva, capace di cogliere il nuovo nesso tra l´economia portuale e quella urbana, tra l´identità del porto e quella della città auspicata dallo scritto dell’ing. Di Leverano non sembra essere compatibile con queste misure di sicurezza che blindano una parte di porto che per sua conformazione morfologica appartiene alla città.

Nasce spontanea la domanda se in tutti questi anni siano mai avvenuti incontri tra l’amministrazione comunale e l’Autorità portuale. I requisiti di sicurezza imposti dalle normative esistevano anche quando si parlava di città d’acqua, poteva l’Autorità portuale far presente che l’acqua del mare del Seno di Levante l’avremmo vista attraverso “pannelli in lamiera stirata in acciaio corten, con maglia di dimensioni inferiori ai 4x4, ancorati su muri in cemento armato e da setti in cemento armato prefabbricato…”

L’emozione accesa dal dibattito scaturito dagli articoli sui media locali sul porto di Brindisi si è fermata qui ed è stata sostituita da un senso claustrofobico dato da una visione di città chiusa, ancora di più lontana dal suo porto organizzato con sistemi di security e di percorsi non accessibili in vista di un possibile traffico navale di cui si ignora la natura.

Innesti urbani, sovrapposizione città-porto, categorie queste di spazi suggerite come ambiti di relazione dagli “Indirizzi di metodo per la redazione dei piani portuali italiani” che svaniscono contro i muri di cemento armato con pannelli in lamiera proposti nel bando di gara. Francamente qualsiasi cittadino leggendo le frasi che seguono capirebbe che i romantici “pali” di seguito descritti con gli alberi delle navi non hanno nulla a che vedere e che sono pali in cemento armato con la funzione strutturale di reggere le chiusure orizzontali previste:

“Gli elementi verticali pensati oltre che per rispondere ad una richiesta funzionale anche per ridisegnare in maniera continua e seriale lo skyline dell’area portuale e colgono il riferimento dagli alberi delle barche e scandiscono la percorrenza del perimetro della stessa” .

Senza addentrarsi nell’analisi tecnica degli elaborati disponibili sul sito dell’Autorità Portuale, si può affermare che pali in cemento armato, muri in cemento armato sovrastati da pannelli in lamiera ci accompagneranno lungo la passeggiata su via del mare fino ad arrivare all’ex stazione marittima il cui fronte mare dai giardinetti fino al bar Betty sarà chiuso da pannelli in plexiglass di altezza 3.50 m. con una ritmica “ musicale” scandita dall’alternarsi di 34 pilastri rettangolari in cemento armato di 8 metri di altezza che si alterneranno per tutta la lunghezza del fronte.

Riprendendo lo scritto dell’ing. Di Leverano: l’idea di un Piano Urbano Portuale, sarebbe uno strumento auspicabile che farebbe, come afferma nell’articolo a sua firma, superare il dualismo latente nella norma tra il Prp e il Piano Urbanistico Generale, ma in attesa che il Pup si concretizzi come strumento di pianificazione l’attenzione va posta alla difesa delle linee programmatiche previste dal Documento Preliminare al Pug che parla di una città che dialoga col mare e col suo porto , di sviluppo compatibile che può venire da una corretta gestione del porto.

Il Piano Regolatore del Porto vigente ( fermo al 1975) dovrebbe altresì recepire gli indirizzi strutturali previsti dal Pug e non essere modificato con varianti che potrebbero essere da ostacolo nel perseguimento del modello di sviluppo delineato dal Pug.

L’attenzione va ancora posta alla difesa del libero accesso al capannone ex Montecatini –esempio di archeologia industriale sottoposto a vincolo del Ministero per i Beni e le Attività Culturali in quanto esempio di architettura industriale dei primi anni del XX secolo – che rimarrebbe chiuso all’interno della cinta portuale blindata e per il quale era prevista, proprio dall’Autorità portuale la duplice funzione:  di struttura organizzata per l’accoglienza dei passeggeri in attesa di imbarco; di struttura adibita ad accogliere quelle iniziative commerciali e culturali in grado di qualificare una struttura pubblica pregiata di grandi dimensioni e per valorizzare il rapporto tra il porto ed il contesto economico e sociale urbano e territoriale di Brindisi e del suo intorno.

La città bisogna difenderla in tutti i sensi non solo da possibili attacchi terroristici e i cittadini sono pronti a farlo. Fa più rumore un albero che cade che una foresta che cresce: sul giornali e nei network si susseguono notizie che allarmano e fanno molto rumore ma nel silenzio l’orgoglio, la coscienza e la voglia di riscatto dei cittadini cresce in maniera seria e costruttiva: le amministrazioni e gli enti dovrebbero creare dei momenti partecipativi per dare spazio a queste voci e fare in modo che non diventino urli. (Angela Potì e Ida Calò, architetti)

 

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