Assolto imprenditore: 1,7 milioni di Iva non versati per crisi aziendale
Non aveva versato entro il termine previsto 1.175.384,00 euro a titolo di Iva relativa all'esercizio 2011, ma il giudice monocratico del Tribunale di Brindisi, Adriana Almiento, il 12 gennaio scorso ha assolto perché il fatto non costituisce reato l'amministratore unico di una nota società di abbigliamento per bambini di Francavilla Fontana
FRANCAVILLA FONTANA – Non aveva versato entro il termine previsto 1.175.384,00 euro a titolo di Iva relativa all’esercizio 2011, ma il giudice monocratico del Tribunale di Brindisi, Adriana Almiento, il 12 gennaio scorso ha assolto perché il fatto non costituisce reato l’amministratore unico di una nota società di abbigliamento per bambini di Francavilla Fontana. Ditta dichiarata fallita il 15 novembre 2015 malgrado una procedura di concordato richiesta dallo stesso imputato del procedimento penale, con il proposito di saldare tutti i debiti incluso quello con il fisco. L’opposizione di uno dei fornitori aveva fatto naufragare però questo tentativo, rendendo impossibile tra l’altro anche la transazione con l’Agenzia delle Entrate, che pure aveva acconsentito al concordato.
Il giudice ha dunque accolto le tesi e la richiesta del difensore dell’amministratore unico della società debitrice del fisco, riconoscendo l’assenza dell’elemento soggettivo del reato, data la comprovata impossibilità dell’impresa di saldare quel conto Iva, malgrado i tentativi esperiti, stante una situazione di crisi che aveva impedito anche l’accantonamento per tempo delle somme necessarie. Il pubblico ministero aveva invece richiesto la condanna a un anno dell’amministratore unico della società. La crisi della società era dovuta all’eccessivo acquisto di merci, funzionale ad un piano di ampliamento commerciale che però non era stato poi possibile realizzare.
“Tuttavia, pur in presenza della realizzazione del reato, affinché possa dirsi escluso l'elemento soggettivo, occorre, secondo quanto affermato dalla giurisprudenza di legittimità, la prova che non sia stato altrimenti possibile per il contribuente reperire le risorse necessarie a consentirgli il corretto e puntuale adempimento delle obbligazioni tributarie, pur avendo posto in essere tutte le possibili azioni, anche sfavorevoli per il suo patrimonio personale, dirette a consentirgli di recuperare, in presenza di un'improvvisa crisi di liquidità, quelle somme necessarie ad assolvere il debito erariale, senza esservi riuscito per cause indipendenti dalla sua volontà e ad egli non imputabili”, spiega il difensore dell’imputato, l’avvocato Leonardo Andriulo del Foro di Taranto, dello studi legale Anp.
“Nel caso di specie, l’imputato ha sempre manifestato la sua strenua volontà nel voler onorare il dovuto all’Erario e ha cercato di farlo in tutti i modi. E’ questo uno dei principali elementi che è emerso durante il dibattimento. Probabilmente – prosegue il difensore - anche quello decisivo che ha convinto il giudice ad emettere una sentenza di assoluzione. Sebbene il reato si sia effettivamente consumato, perché al momento della scadenza prevista per legge non è stato assolto il pagamento del dovuto, esistevano delle circostanze, che favorivano l’imprenditore ed hanno portato alla sua non punibilità sul piano penale”.
Il principale scoglio legale da superare era il seguente: l'orientamento giurisprudenziale italiano nega l'idoneità della mancanza di liquidità ad esonerare il sostituto d'imposta dalla responsabilità penale. “Tutto ciò si basa – dice l’avvocato Alessandro Andriulo -sulla considerazione di fondo che il soggetto passivo Iva ha comunque il preciso dovere, quando riceve il pagamento di una fattura, di accantonare quanto riscosso a titolo di imposta sul valore aggiunto. Somma che andrà dallo stesso riversata, o comunque dovrà essere gestita in modo da poter sempre adempiere all’obbligo tributario”.
“Ma se genericamente le considerazioni fatte sembrano fondate, spesso la realtà imprenditoriale non consente di poter effettivamente accantonare dette somme. Anzi, talvolta impone il momentaneo utilizzo delle stesse per consentire il normale esercizio dell'attività di impresa. Pertanto per il reato di mancato versamento Iva, se da un lato può accettarsi il principio secondo il quale la crisi economica e di liquidità non possa costituire di per sé esimente dal reato contestato, dall'altro non può negarsi che difficilmente sarà individuabile una qualche responsabilità in capo al soggetto attivo del reato, quanto meno sotto l'aspetto psicologico, allorquando tali difficoltà finanziarie non siano imputabili al contribuente che, anzi, si è adoperato attivamente ponendo in essere misure idonee a fronteggiarle senza tuttavia riuscirvi”, sostiene l’avvocato Andriulo.
Il giudice brindisino, aderendo alla tesi difensiva ed ad una giurisprudenza che sempre più si va consolidando nell’ordinamento, ha mandato assolto con formula piena l’imputato così motivando la decisione: “Come è noto, infatti, l’oggettiva impossibilità di adempiere può avere rilevanza solo se dovuta a causa di forza maggiore che, come noto, esclude la suitas della condotta e che viene tradizionalmente definita come la vis cui resisti non potest (tradotto la forza a cui non è possibile resistere). E, dunque, poiché la forza maggiore postula la individuazione di un fatto imponderabile, imprevisto ed imprevedibile, che esula del tutto dalla condotta dell’agente, sì da rendere ineluttabile il verificarsi dell’evento, non potendo ricollegarsi in alcun modo ad un’azione od omissione cosciente e volontaria dell’agente, ne consegue nei reati omissivi integra la causa di forza maggiore l’assoluta impossibilità, non la semplice difficoltà di porre in essere il comportamento omesso”.
“Da ciò consegue che l’imputato che voglia giovarsi in concreto di tale esimente, nei termini di cui si è detto, dovrà dare prova che non gli sia stato altrimenti possibile reperire le risorse necessarie a consentirgli il corretto e puntuale adempimento delle obbligazioni tributarie, pur avendo posto in essere tutte le possibili azioni atte a consentirgli di recuperare, in presenza di una improvvisa e non consolidata crisi di liquidità, quelle somme necessarie ad assolvere il debito erariale, senza esservi riuscito per cause indipendenti dalla sua volontà e ad egli non imputabili”.
La vicenda, sottolinea l’avvocato Andriulo, porta a riflettere in positivo. “La giustizia attentamente valuta caso per caso. Infatti, ogni qualvolta l’imprenditore si trovi in crisi per colpe a lui non imputabili, è doveroso e giusto mandarlo assolto. Così è accaduto nel caso qui in esame e si spera che molti altri trovino la giustizia richiesta in un momento di difficoltà per tutti i comparti commerciali”.