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Sabato, 20 Aprile 2024
Economia Ceglie Messapica

Tessile, cancelli chiusi alla Itn di Martina. Pasqua di lotta per gli operai

MARTINA FRANCA - Amarissima sorpresa nell’uovo di Pasqua per i 190 operai della Itn, Industriale Tessile Nardelli, di Martina Franca, almeno 60 dei quali originari di Ceglie Messapica. Questa mattina alle 7, ora di apertura della fabbrica, i lavoratori hanno raggiunto lo stabilimento per prendere regolarmente servizio, e invece hanno trovato i cancelli presidiati dai sindacati ai quali era stato comunicato nella tarda serata di ieri che l’azienda avrebbe chiuso la produzione, per decisione unilaterale e irreversibile dell’amministrazione. “Colpa della crisi”, ha detto il titolare Angelo Nardelli, che ha affidato l’epitaffio dell’impresa, ultimo presidio dell’industria tessile in tutta la Valle d’Itria, ad un testo laconico tanto quanto lapidario indirizzato via fax alle organizzazioni sindacali.

MARTINA FRANCA - Amarissima sorpresa nell’uovo di Pasqua per i 190 operai della Itn, Industriale Tessile Nardelli, di Martina Franca, almeno 60 dei quali originari di Ceglie Messapica. Questa mattina alle 7, ora di apertura della fabbrica, i lavoratori hanno raggiunto lo stabilimento per prendere regolarmente servizio, e invece hanno trovato i cancelli presidiati dai sindacati ai quali era stato comunicato nella tarda serata di ieri che l’azienda avrebbe chiuso la produzione, per decisione unilaterale e irreversibile dell’amministrazione. “Colpa della crisi”, ha detto il titolare Angelo Nardelli, che ha affidato l’epitaffio dell’impresa, ultimo presidio dell’industria tessile in tutta la Valle d’Itria, ad un testo laconico tanto quanto lapidario indirizzato via fax alle organizzazioni sindacali.

“La Itn - Industria tessile Nardelli SpA, versa in una crisi irreversibile. Le commesse – recita il comunicato - che avrebbero dovuto garantire il lavoro per i prossimi mesi, non sono state rinnovate. Pertanto l’attività di produzione dello stabilimento di Martina Franca viene sospesa per un tempo indefinito, non essendo nota la data della ripresa”. Nessuno dei 190 operai, a quanto pare, sapeva né sospettava dei venti di crisi che avevano travolto la Itn. I lavoratori si sono trovati di fronte alla cattiva nuova del tutto impreparati, con la mannaia del licenziamento caduta fra capo e collo, i mutui da pagare, le famiglie da mantenere, insomma una vita professionale e non solo, in rovina. Per di più, senza che nessuno abbia sentito il bisogno di un minimo di preavviso.

Da qui la decisione di bloccare il carico di container in partenza da Martina verso i numerosi punti vendita mono-marche della Itn, sparsi in tutta la Puglia e nel mondo, a Taranto, Altamura, Sangemini, Palermo, Lecce, Milano ma anche New York e Pechino. Il progetto dell’azienda è esattamente quello di dismettere l’attività produttiva puntando tutto sulla commercializzazione, con buona pace degli operai e del marchio made in Italy.  Già. Ma commercializzare cosa se l’azienda non produce più in proprio? “E’ la domanda che abbiamo insistentemente rivolto ad Angelo Nardelli”, replicano a una voce  i segretari provinciali di Filtem-Cgil Giuseppe Massafra e di Femca-Cisl Tiziana Marini, “ma non abbiamo ancora ricevuto una risposta. A questo punto è legittimo il sospetto che l’azienda abbia un progetto di delocalizzazione”. Dove? Ovunque sia possibile abbattere i costi della manodopera, sarebbe l’unica risposta plausibile.

“Se così fosse si perderebbe il valore aggiunto del settore tessile e abbigliamento di Martina Franca che è dato dall’esperienza e dalla professionalità di persone che, con le loro mani, giorno dopo giorno, hanno determinato il prestigio del comparto generando ricchezza per un intero territorio”, ribattono i sindacati, discorsi che hanno evidentemente poco da spartire con le logiche aziendali. I lavoratori, intanto, da oggi sono in assemblea permanente all’interno della fabbrica. Il prossimo incontro con l’azienda è previsto per mercoledì, l’obiettivo quello di individuare gli strumenti utili per la gestione condivisa della crisi. Ma l’auspicio, quello vero, è quello di ottenere il dietrofront di un’azienda con una storia e un marchio attivi da almeno mezzo secolo, dal lontano 1951, che rischia di finire in cenere, in questa Pasqua d’inferno per 190 lavoratori.

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