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Venerdì, 19 Aprile 2024
Economia

Xylella, politiche comunitarie, abbandoni: olivicoltura pugliese alla svolta

Si narra che un contadino, volendo fare economie, avesse deciso di ridurre poco a poco la razione alimentare giornaliera che somministrava alla propria mula, fin quando la povera bestia non morì di stenti

Si narra che un contadino, volendo fare economie, avesse deciso di ridurre poco a poco la razione alimentare giornaliera che somministrava alla propria mula, fin quando la povera bestia non morì di stenti.  A quel punto sembra che lo sprovveduto avesse esclamato: " Che peccato!...proprio adesso che aveva imparato a non mangiare, la mula mi è morta! ". Vero od inventato che sia, pensavo a questo aneddoto mentre in compagnia di un amico, esperto olivicoltore, percorrevo alcune strade campestri della provincia, soffermandomi con lo sguardo ad osservare i molti appezzamenti di oliveto, lasciati abbandonati o mal coltivati.  

"Vedi", mi diceva l'amico, " le piante di ulivo, trascurate per molto tempo, tendono ad inselvatichirsi e per effetto della scarsa circolazione di aria e di insufficiente penetrazione di luce all'interno della chioma, si forma molto legno secco e si sviluppano le malattie fungine o di altra natura, che finiscono per indebolire la pianta, esponendola a più gravi rischi."   Questi principi basilari, frutto di antica sapienza contadina, sono ben conosciuti nel mondo agricolo, eppure, sembra siano diventati scoperta dell'ultima ora sotto la minaccia del contagio della 'Xylella fastidiosa', che tanto allarme sta provocando tra gli olivicoltori e nell'opinione pubblica pugliese.

A seguito della capillare informazione esercitata, attraverso i mezzi di comunicazione di massa, dagli organi tecnici regionali, dalle associazioni degli olivicoltori e dalle organizzazioni professionali agricole, tendente a mettere in relazione la possibilità del contagio da 'Xylella fastidiosa' con la mancata esecuzione delle buone pratiche colturali (potature razionali, lavorazioni del terreno, etc.), in grado di migliorare lo stato di salute delle piante, si assiste negli oliveti ad un fervore di attività mai visto in passato..."meglio tardi, che mai"!

Il timore della trasmissione dell'infezione del pericoloso batterio, che minaccia il prezioso patrimonio olivicolo delle nostre realtà, sta provocando, infatti, un risveglio di coscienze negli operatori agricoli ed un livello di attenzione, mai riservato prima a gran parte dell'olivicoltura regionale.  Tutti i riflettori sono puntati, ora, su questa coltura, caratteristica della economia, storia e paesaggio pugliese e si cerca di capire le condizioni in cui versa l'olivicoltura, le cause del disagio e gli scenari possibili.

Da molto sono passati i tempi, all'incirca fino alla metà del '900, nei quali la terra era considerata un bene rifugio, un investimento sicuro e si impiantavano gli oliveti, per consentire ai discendenti di goderne i frutti, in un mercato nazionale sostanzialmente protetto.  Con l'adesione dell'Italia al Mercato Comune Europeo le condizioni sono profondamente mutate e l'olivicoltura nazionale, fin dagli anni Sessanta del secolo scorso, si è dovuta confrontare con quelle degli altri paesi aderenti, Spagna, Grecia e Portogallo, trovandosi esposta alla concorrenza delle produzioni provenienti da quelle aree: concorrenza fattasi più spietata da quando (1 gennaio 2010 ) è partito il libero scambio tra la Ue e undici paesi del sud del Mediterraneo, a costi di produzione, quelli di manodopera, soprattutto, notevolmente più bassi.

Invero la Ue, considerando l'olivicoltura comunitaria non in grado di autosostenersi e quindi bisognevole di assistenza, è intervenuta, sin dalla creazione del mercato unico, con la erogazione di consistenti sussidi al settore (ben 750 milioni di euro l'anno nel periodo 2000-2004 ), ma tale regime di aiuti, progressivamente ridottosi, è destinato ulteriormente a contrarsi, passando ai 320 milioni di euro annui, con l'entrata in vigore della Pac 2014-2020. Nel sottoporre l'olivicoltura ad un sistema complesso di sostegno, la Ue auspicava che i produttori utilizzassero i sussidi ricevuti non solo per integrare i bilanci aziendali, ma anche per ammodernare gli impianti: questa condizione non sempre si è realizzata, mentre in molti casi gli aiuti si sono trasformati in pura rendita.

La Puglia conta 60 milioni di piante di ulivo, il 32% degli ettari coltivati ad ulivo in Italia, ed il 38% della produzione nazionale di olio di oliva: è, pertanto, la regione maggiormente esposta ai pericoli delle mutate e svantaggiose condizioni di mercato, che si accentueranno con la liberalizzazione mondiale degli scambi, a partire da quest'anno. In questa situazione come si presenta l'apparato produttivo regionale e come si è attrezzato per competere sui mercati?

Le strade percorse hanno seguito direzioni diverse: da una parte si riscontra una olivicoltura competitiva ed  al passo con i tempi, dinamica ed intensiva, condotta da imprenditori attivi e capaci, impegnatisi nel corso degli anni nel rinnovo degli impianti e delle forme di allevamento, nella diversificazione varietale, nel miglioramento della qualità del prodotto, facendo ricorso all'irrigazione per incrementare e stabilizzare la produzione, alla razionale concimazione, meccanizzando le principali operazioni culturali per abbattere i costi.

In tale ambito le punte più avanzate sono rappresentate dalle numerosissime aziende olivicole, condotte da imprenditori-proprietari, che trasformano in proprio le olive, in frantoi aziendali, immettendo direttamente sul mercato, in confezioni con un proprio marchio, l'olio extra-vergine d'oliva prodotto ed etichettato con la Dop di appartenenza. Il quantitativo così avviato al consumo, che comprende altri tipi di oli extra-vergine di nicchia (di fattoria, biologico, monovarietale, etc ), rappresenta, tuttavia, una frazione modesta del totale della produzione regionale.

Il 'grosso' della produzione olivicola, maggiormente esposta alla concorrenza internazionale, viene ottenuta in aziende di piccola dimensione, condotte da coltivatori diretti proprietari, in gran parte pensionati, che si avvalgono di manodopera familiare, specie durante le operazioni di raccolta, per contenere i costi, oppure, da piccoli proprietari, coltivatori part-time, che traggono dall'oliveto redditi integrativi a quelli ottenuti in altre attività.

E' questa l'olivicoltura tipica regionale, che ha mantenuto le  caratteristiche del passato nelle forme di allevamento, nei sesti di impianto, anche se qua e là con rinfittimenti, e soprattutto nella diversificazione varietale, basata sulle tradizionali, collaudate ed affermate varietà locali: le piante ed i terreni sono ben curati ed il prodotto ottenuto  viene in genere conferito agli organismi cooperativi, capillarmente diffusi in regione, che hanno svolto negli anni un lavoro egregio nella qualificazione e valorizzazione del prodotto a denominazione d'origine protetta (Dop).

Mescolata a questa, sopravvive, purtroppo, in modo sempre più esteso un'olivicoltura mal ridotta, anche se dotata di alberi di pregio, in quanto i proprietari dei fondi, in genere non imprenditori agricoli, per stare nei costi preferiscono vendere a terzi le olive sulle piante, lesinando nelle operazioni colturali e nelle spese di potatura. Infine, una percentuale non trascurabile del territorio, quello più degradato, è occupata da oliveti abbandonati, nei quali si rinuncia perfino a raccogliere le olive, a potare gli alberi ed a pulire il terreno dalle erbe infestanti.

Se si dovesse valutare l'olivicoltura regionale sotto il profilo strettamente economico, secondo le leggi di mercato, si dovrebbe concludere che per gran parte dell'olivicoltura pugliese non c'è futuro e che essa è condannata ad un processo irreversibile di marginalizzazione, stante l'impossibilità di reggere alla concorrenza estera, al punto da rendere necessario, come sostengono non pochi, di rivedere le leggi del 1945-1951 e 2004, che impongono il divieto di abbattere gli alberi di ulivo, così da liberalizzare  il settore e favorire processi di riconversione colturale....ma, l'ulivo per la Puglia è solo produzione, per quanto pregiata, di olive ed olio o rappresenta molto di più?

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