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Emergenza Covid-19

Covid in corsia: "All'inizio travolti dal virus, poi ci siamo riorganizzati"

Intervista a Pietro Gatti, coordinatore clinico per il Coronavirus della Asl Br: "Il messaggio di speranza viene dai vaccini"

BRINDISI - Il 31 dicembre del 2019 le autorità sanitarie di Wuhan comunicano alcuni casi di "polmonite virale".  L'11 gennaio 2020 è confermata la prima vittima nel Paese e il 13 il primo decesso, in Thailandia. Ma il Covid-19 arriva negli Usa e in Europa. L'Italia fa i conti con il virus il 30 gennaio 2020 prima a Roma e quasi un mese dopo con i primi focolai nel Lodigiano e in Veneto. L'11 marzo l'organizzazione mondiale della sanità dichiara la pandemia, è lockdown mondiale. Da quel giorno ad oggi, dopo solo un anno, il nostro Paese conta oltre 99mila decessi e più di tre milioni di contagiati, secondo gli ultimi aggiornamenti: 365 giorni di paura, chiusure, obblighi e il desiderio di un ritorno alla normalità con l'arrivo del vaccino. BrindisiReport ha voluto raccontare, attraverso le parole del dottore Pietro Gatti, coordinatore clinico per il Coronavirus della Asl di Brindisi, l'anno del virus nella nostra provincia, facendo tesoro, anche, degli errori commessi. 

Dottore Gatti, il Covid "compie" un anno, che bilancio può fare per la nostra provincia?

E' stato un anno difficile e questo è facile dirlo ma è stato un anno che ci ha insegnato a rivedere la nostra organizzazione, il tipo di sanità da offrire, ritornare se volete anche sull' esperienza personale o sull'esperienza di gruppo, non solo sulla medicina che ci diceva la letteratura, almeno nella fase iniziale. Poi, via via, abbiamo imparato a conoscerlo di più questo virus, come si comporta. Ancora non conosciamo niente, pochissimo, ma sempre con il passare del tempo, grazie alle nozioni scientifiche ci siamo riaffacciati alla medicina basata sulle evidenze e da ottobre in poi, negli ultimi mesi, abbiamo basato sempre più le nostre conoscenze su quelle che sono le nostre conoscenze scientifiche.

Quale è stato il momento più brutto in questo anno?

I momenti brutti sono stati tanti. C'è sempre un momento brutto quando affronti qualcosa di nuovo. Volevo ricordare che noi non abbiamo una terapia contro il virus che funzioni efficacemente tranne ora con il vaccino che funziona come prevenzione. Una volta arrivata la malattia dobbiamo dare il tempo all'organismo di rispondere e quindi cercare di mettere in condizione l'organismo di un paziente affetto di riuscire a superare tutte le varie fasi che succedono nel processo infiammatorio. Quindi, di fatto, i momenti brutti sono ogni giorno, la paura di non riuscire a portare a termine il lavoro e quindi di non dare la possibilità al paziente di superare la fase acuta.

C'è, invece, un momento che ricorda con felicità?

Sono quei momenti in cui abbiamo avuto una serie di piccole vittorie di battaglie o quando siamo riusciti a tirare fuori casa disperati da condizioni importanti e cercare di vedere il sorriso sulla faccia di un paziente che viene dimesso dopo essere passato nel tunnel del Covid, rianimazione compresa, quello è il momento di felicità maggiore. Però purtroppo ci sono stati momenti altrettanto tragici che non ci hanno permesso di avere e vedere quel sorriso che avremmo voluto. 

Col senno del poi, rifarebbe tutte le scelte che ha fatto, anche, rispetto all'individuazione del Perrino come ospedale Covid?

Rispetto a questa scelta fatta da altri, io ho dovuto organizzare e riorganizzare i percorsi. Diciamo che un ruolo di organizzaizone insieme ad Angelo Greco (direttore del dipartimento di assistenza primaria e coordinatore dei presidi ospedalieri) l'ho avuto, sostanzialmente, da ottobre in poi e va bene così. Non dimentichiamo che il paziente Covid è un paziente che può avere, anche, altre patologie, quindi, necessita di essere trattato in un ospedale, di secondo livello dove esistono tutte le altre specilizzazioni: neurologo, cardiologo.

Per il Covid sono state trascurate, secondo Lei, le altre richieste assistenziali sanitarie?

Allora, i primi due mesi, nella prima ondata sicuramente c'è stato questo perché siamo stati travolti da una patologia che non conoscevamo ma travolti, anche, dai numeri, dalle persone, dalle paure. Successivamente, da maggio in poi ci siamo rimessi in carreggiata e con orgoglio, posso dirlo, la Asl di Brindisi non ha lasciato a casa nessun altro paziente no Covid. Nella seconda ondata, sperando non ci sia la terza, in tutto questo periodo da settembre in poi, tutti quanti gli ambulatori no Covid hanno, egregiamente, funzionato. 

Un messaggio di speranza, come medico e come persona.

Il messaggio di speranza viene dalla vaccinazione. Dobbiamo stringere i denti, tenere duro questi ultimi mesi e cercare di vaccinare quante più persone possibili. Certo, la vaccinazione non è la soluzione completa al problema, almeno per ora, perché comunque essere vaccinati non vuol dire non potersi infettare e non poter essere veicolo d'infezione. Per cui vanno utilizzate ancora tutte le misure precauzionali, però la vaccinazione vuol dire ridurre drasticamente i rischi di ospedalizzazione di malattia, parliamo del 95 percento degli individui vaccinati che difficilmente andranno a finire in rianimazione anzi quasi impossibile secondo i dati scientifici. Quindi la speranza è la vaccinazione e poi e la speranza è quella di ritornare a vedere i sorrisi non mascherati dai presidi che siamo costretti a utilizzare ma, credo che per questo dobbiamo aspettare ancora un po'. 

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