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Sabato, 20 Aprile 2024
Cultura

Austerità, barbe incolte e frati predicatori: com'era la Quaresima dei brindisini

BRINDISI - Mercoledì 9 marzo, il calendario scandisce: “Le Sacre Ceneri”. In questo particolare giorno, il sacerdote celebrante benedice le ceneri, ottenute dalla combustione delle palme e dei ramoscelli di ulivo benedetti l’anno precedente, che poi impone ai fedeli, tracciando con queste una croce sul capo di ciascun penitente, pronunciando la formula: “Ricordati, o uomo, che sei polvere e in polvere ritornerai”. E col Mercoledì delle Ceneri, ecco la Quaresima, tempo di penitenza della durata di quaranta giorni, prima della Domenica di Pasqua di Resurrezione.

BRINDISI - Mercoledì 9 marzo, il calendario scandisce: “Le Sacre Ceneri”. In questo particolare giorno, il sacerdote celebrante benedice le ceneri, ottenute dalla combustione delle palme e dei ramoscelli di ulivo benedetti l’anno precedente, che poi impone ai fedeli, tracciando con queste una croce sul capo di ciascun penitente, pronunciando la formula: “Ricordati, o uomo, che sei polvere e in polvere ritornerai”. E col Mercoledì delle Ceneri, ecco la Quaresima, tempo di penitenza della durata di quaranta giorni, prima della Domenica di Pasqua di Resurrezione.

Oggi, la Quaresima passerebbe come qualsiasi altro periodo, se non ci accorgessimo di quella stampa in rosso sul calendario. Ma ieri, ieri non era così e questo particolare periodo di Quaresima nella nostra città di Brindisi si viveva intensamente. Ogni brindisino, a qualsiasi ceto sociale appartenesse, si componeva in un atteggiamento di religiosa austerità. In quei giorni, alla prevista ora della predica, intorno alle cinque del pomeriggio, si andava a sentire il frate cappuccino predicatore, detto quaresimalista, che aveva quasi l’obbligo, parlando della passione e morte di Gesù Cristo, di “far piangere” quanti fossero accorsi ad ascoltarlo.

Nella nostra città erano famose e, per certi versi, indimenticabili, le prediche che si tenevano nella Chiesa degli Angeli che, già dal primo pomeriggio, pullulava di ragazzini che “occupavano la sedia” che avrebbero ceduto, a pomeriggio inoltrato, ai loro genitori, comunque a familiari, quando questi si fossero presentati poco prima che il padre predicatore avesse iniziato a parlare. La chiesa, pur grande, risultava affollata fino all’inverosimile. La stagione umida, incostante, piovosa, concorreva a quel raccoglimento di ascetici pensieri.

Quale avviso che nella chiesa c’era il quaresimalista che, solitamente, era anche un ottimo confessore, lo si evinceva dal fatto che appena al di fuori della stessa venivano esposte tre croci. Nella Chiesa degli Angeli retta da don Giuseppe Cavaliere, in quella metà degli anni Cinquanta (dell’appena trascorso secolo) era solito predicare un cappuccino dotato di una vasta cultura, dalla parola comprensibile e fluente e dalla voce suadente, veramente bravo, proveniva dalla Toscana, dal Casentino (vicino Arezzo) e si chiamava padre Emanuele da Poppi.

Per motivo di maggior raccoglimento, in qualche vicolo o crocicchio, spesso, si allestivano altarini con immagini sacre innanzi alle quali ardevano delle fiammelle “a lampino”, alimentate col prezioso e costoso olio, della provvista di casa. Si può dire che i sermoni che iniziavano delle “Ceneri” e si protraevano per tutto il periodo di Quaresima, per poi raggiungere l’apice durante la “Settimana Santa”, fossero un evento cittadino, perché la città partecipava in massa, consapevole di quel che andava ad ascoltare.

Insomma, era un periodo di vita austera, a cui Brindisi, dalle tradizioni genuinamente e romanticamente contadine, non sfuggiva. Il periodo quaresimale, anche e soprattutto per ragioni economiche, era contrassegnato da restrizioni e privazioni (marzo e aprile, per la campagna, sono mesi di attesa), si privilegiavano quelle alimentari che, tutto sommato, si traducevano poi in un certo vantaggio finanziario, perché tutti risparmiavano mangiando di meno e quindi, spendendo anche di meno.

Le donne, specialmente quelle abituate a vivere e a dividere la gran parte del loro tempo e della loro giornata tra chiesa e famiglia – famiglia e chiesa, indossavano abiti di colore scuro, mentre più di qualche uomo disertava il barbiere o eludeva l’acquisto della lametta, non radendosi la barba, si diceva: “in segno di penitenza”. L’unica diversificazione, in un periodo di vita certamente aspro, era data dall’occupazione della mamma e dalla curiosità dei più piccoli a far germinare velocemente dei chicchi di grano, quanto più alti e dorati fosse strato possibile. Perché ciò avvenisse gli stessi chicchi si sistemavano in un contenitore che veniva posto in un luogo buio e umido; una volta pronto, le sottili spighe ottenute servivano per allestire e abbellire il Sepolcro del Giovedì Santo che, correttamente, si chiama “Altare della Reposizione”.

Sembrava quasi che il piccolo mondo contadino, che già in tempi più antichi di quelli che si narrano, osservava ritmi di vita beatamente lenti, in quei quaranta giorni, addirittura si fermasse, poiché proprio tutti dovevano partecipare alla mestizia dell’avvenimento; la normalità sarebbe poi tornata a partire dalla Domenica di Resurrezione. In cucina, si è detto, si trovava poco o meno di poco, l’unica diversità era data dal fatto che la nonna preparava un impasto di pasta lievitata dolce a cui magistralmente dava la forma di un cestino che, all’interno conteneva un uovo sodo. Si trattava del famoso “pupu cu l’ovu” che i ragazzini (quale ambito premio) avrebbero mangiato nel giorno di Pasqua o al più nel successivo lunedì di Pasquetta, cioè “a Pasconi”.

I maschi di casa, quasi tutti denominati “fratelli”, perchè appartenenti alle varie confraternite cittadine, erano impegnati a preparare le processioni della “Settimana Santa” che li avrebbe visti sfilare, per le vie di Brindisi, con tanto di cappuccio, candela a flambò in mano e ricoperti da una lunga tunica. Per i ragazzi, invece, la parrocchia e l’oratorio costituivano gli unici punti di riferimento e aggregazione e proprio qui si compilavano le famose “letterine” di intenti, per lucrare qualche soldino dai genitori e sempre in ambito ecclesiale nascevano le filastrocche e le poesie spontanee dense di buoni propositi e promesse che poi mai si sarebbero mantenute.

Ci si preparava così alla Santa Pasqua; il tempo di Quaresima doveva pur passare, e passava tra una rigorosa semplicità, osservando le regole del buon vivere civile che, in tali periodi, secondo un diffuso clima di accettazione reciproca e aleggiante riappacificazione (la numerosa categoria “ti li ‘ncagnati” (gli offesi) tornava a parlarsi scambiandosi la “palma” e stringendosi vigorosamente la mano) si accentuava a tutto vantaggio della comunità cittadina tutta intera, e non era poco!

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