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Forte a mare: "I turchi non riuscirono a distruggerlo, noi ci stiamo riuscendo"

Ruolo e funzione di Forte a mare e del Castello alfonsino nel porto di Brindisi. Questo il tema centrale del XLV Colloquio di studi e ricerca storica tenutosi lunedì sera, alle 17.30, presso la Sala Conferenze di Palazzo Nervegna

BRINDISI - Ruolo e funzione di Forte a mare e del Castello alfonsino nel porto di Brindisi. Questo il tema centrale del XLV Colloquio di studi e ricerca storica tenutosi lunedì sera, alle 17.30, presso la Sala Conferenze di Palazzo Nervegna, per iniziativa della sezione di Brindisi della Società di Storia Patria per la Puglia e del The International Propeller Club Port of Brindisi. Nel corso del convegno, coordinato dal presidente del Propeller Club, Donato Caiulo, è stato presentato il volume curato dai professori Giacomo Carito e Giuseppe Marella e intitolato “Le fortezze dell’isola di Sant’Andrea nel porto di Brindisi (Ediz. Pubblidea)”. Al Colloquio hanno preso parte il professore Damiano Mevoli, dell’Università del Salento, e Giacomo Carito, presidente della sezione brindisina della Società di Storia Patria per la Puglia.

 “Questo è un momento fondamentale per la nostra città, per il nostro porto”, afferma Donato Caiulo, “anche perché coincide con una Da sinistra, Donato Caiulo e Damiano Mevoli-2riforma della portualità e quindi Brindisi deve scegliere. Deve scegliere i progetti da portare avanti, come riqualificare e come puntare sulla sua storia”. “Grazie a Forte a mare”, prosegue il presidente del Propeller Club, “ Brindisi non è stata mai presa dai Turchi, dagli Ottomani. Quindi Forte a mare è un po’ il simbolo della resistenza di Brindisi. E forse da questa resistenza dovremmo partire per progettare il nostro futuro. Una resistenza che, nell’immediato, è nella riforma portuale”.

Caiulo conclude anticipando l’iniziativa che si svolgerà tra due settimane: “Noi fra due settimane proporremo cinque domande ai candidati sindaci di Brindisi, proprio per mettere a fuoco il futuro del porto di Brindisi. Quindi l’idea di porto, di città, che si ha per il futuro”. (A destra, Damiano Mevoli e Donato Caiulo)

Il professore Damiano Mevoli, dell’Università del Salento, ha invece presentato il volume di Carito e Marella. Il libro, cui ha collaborato anche il dottor Cristian Guzzo,  è una raccolta degli Atti del convegno di studi tenutosi nel 2011 e promosso dalla sezione di Brindisi della Società di Storia Patria per la Puglia, dall’International Propeller Club Port of Brindisi e dall’Autorità Portuale. “Una delle rare forme di sinergia che si sono mai verificate a Brindisi”, sottolinea Mevoli.

A destra, Giacomo Carito-2“Io direi che le vicende dell’isola di Sant’Andrea sono molto interessanti perché rispecchiano in sé la funzione e il ruolo che ha avuto la città in Adriatico nel corso dei secoli”, afferma il professore Giacomo Carito (foto a sinistra), che in apertura d’intervento ha ricordato il dibattito che si svolse alla corte di Madrid nel momento in cui si dovette decidere se fosse più conveniente fortificare Brindisi o fare della città una grande base navale.  Lo storico ha evidenziato quindi come nella progettazione del Forte vi sia “il meglio dell’architettura militare europea del XVI secolo”.

“Questo è noto a tutti gli studiosi d’Europa”, afferma, “ma forse non è noto in questa città, perché altrimenti ciò che non hanno fatto i Turchi, distruggere il castello, non l’avrebbe fatto la città stessa. Abbiamo fatto ciò che i Turchi non erano riusciti a fare: distruggere le fortezze sull’isola di Sant’Andrea. È qualcosa di assolutamente inconcepibile”, dichiara il professore. Carito prosegue quindi sottolineando l’importanza del complesso di fortificazioni vicereali e precisa che: “non stiamo parlando di una fortezza di interesse locale. Gli spagnoli impiegano nella costruzione di questo sistema difensivo le entrate fiscali di trenta anni delle province di Terra d’Otranto e Terra di Bari.”

Dopo aver ricordato l’importanza dell’isola anche durante il XX secolo, il presidente della sezione brindisina della Società di Storia Patria Fernando Zongolo-2per la Puglia pone l’attenzione sul futuro delle fortezze. “Quale può essere il futuro delle fortezze?” chiede.  “Anzitutto una fortezza deve raccontare se stessa. E raccontando se stessa racconta la storia della città, la storia del mare, dell’Adriatico. Io credo che le fortezze innanzitutto dovrebbero essere questo, non un peso, ma qualcosa che racconti la storia di questa città e ne indichi anche le prospettive di futuro, perché poi la posizione di Brindisi, quella rimane nel tempo". (A destra, Fernando Zongolo)

Per Carito infine è importante che l’isola rimanga di disponibilità pubblica. “Io credo”, conclude, “ che se noi ci siamo battuti per anni perché l’isola tornasse di disponibilità pubblica e non fosse più militarizzata, non possiamo allora cederla ai privati, perché un privato pone più ostacoli all’accesso di quanto non ne ponga una struttura comunque pubblica”.

Antonio Caputo-2Il XLV Colloquio di studi e ricerca storica è terminato con un interessante dibattito cui hanno preso parte: il professor Antonio Mario Caputo (foto a sinistra), che ha ricordato la presenza, sull’isola, di una comunità di monaci benedettini amanuensi che “ha espanso la cultura in tutta Europa”;  il candidato sindaco di Brindisi per il Pd, Nando Marino, per il quale il Castello è “una struttura meravigliosa, una struttura che dovrà essere la porta d’ingresso, valorizzata, della nostra città”; Maria De Luca, che ha lanciato un appello a chi avrà la responsabilità di governare questa città affinché faccia un programma a brevissimo, medio e lungo termine per il Castello; Fernando Zongolo, che ha parlato dell’attuale degrado del Castello; l’onorevole Elisa Mariano, che ha evidenziato come il Castello abbia bisogno di enormi risorse per essere mantenuto  e valorizzato e come abbia bisogno di un progetto chiaro anche di fruibilità. Infine, l’ultimo intervento è stato quello dell’ingegnere Riotta, che ha fatto una precisazione etimologica sul nome dell’opera che caratterizza il porto di Brindisi, ossia la diga di Punta Riso. L’ingegnere ha precisato che il nome Punta Riso è la distorsione del nome Punta d’isola. 

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