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Venerdì, 29 Marzo 2024
Cultura

Gli antichi pugliesi di Torre Guaceto: cosa hanno scoperto gli scavi sugli isolotti

TORRE GUACETO – Millecinquecento anni prima di Cristo il mare a Torre Guaceto era 4-5 metri meno profondo rispetto ai giorni nostri, e la linea di costa era più avanzata di almeno 400 metri, anche se non dissimile morfologicamente a quella attuale: un lungo cordone dunario con alle spalle una vasta zona di canneti e stagni alimentati da risorgenze carsiche. Più all’interno, la selva di querce (poi distrutta nei secoli dall’antropizzazione del territorio) e di olivi selvatici, preceduta da una fascia di macchia mediterranea. Gli scogli di Apani, come i tre di Torre Guaceto, facevano parte della terraferma. Ed erano abitati.

TORRE GUACETO – Millecinquecento anni prima di Cristo il mare a Torre Guaceto era 4-5 metri meno profondo rispetto ai giorni nostri, e la linea di costa era più avanzata di almeno 400 metri, anche se non dissimile morfologicamente a quella attuale: un lungo cordone dunario con alle spalle una vasta zona di canneti e stagni alimentati da risorgenze carsiche. Più all’interno, la selva di querce (poi distrutta nei secoli dall’antropizzazione del territorio) e di olivi selvatici, preceduta da una fascia di macchia mediterranea. Gli scogli di Apani, come i tre di Torre Guaceto, facevano parte della terraferma. Ed erano abitati.

Le popolazioni protostoriche costiere, probabilmente di ceppo diverso da quelle dell’interno, nell’area attualmente compresa nelle riserva marina di Torre Guaceto, avevano trovato condizioni ideali: acqua dolce in abbondanza, una grande quantità di molluschi e di pesce, cervi e cinghiali, argilla per il vasellame. A quelli che abitavano le grandi capanne su quello che è diventato con i mutamenti geologici il piccolo promontorio di Guaceto e i siti che poi il mare si è ripreso lasciando cinque isolotti (quelli di Apani a circa 2,5 chilometri da Torre Guaceto), subirono un destino comune. Lo dimostrano le tracce di incendio trovate nel corso degli scavi condotte sul promontorio nel 1965 dalla missione milanese per le Ricerche Preistoriche in Puglia diretta dal paletnologo Ferrante Rittatore Vonwiller. Lo confermano quelle rinvenute anche nelle recenti attività di scavo e di studio condotte proprio sugli scogli di Apani.

Un attacco? E’ molto probabile. Nell’Età del Bronzo le coste pugliesi erano frequentate anche da navigatori micenei, ma anche di altre aree del Mediterraneo. Potevano a volte essere mercanti, a volte pirati o guerrieri in cerca di bottino. Ma non si può escludere neppure un attacco dall’interno. E’ una delle risposte che attendono domande, come si evince dall’articolo pubblicato sul numero di gennaio-febbraio 2011 della rivista specializzata “Archeologia Viva”, scritto dal ricercatore brindisino Teodoro Scarano, dottorando della Scuola superiore Isufi, che ha coordinato la campagna diretta dal prof. Riccardo Guglielmino, docente di Archeologia e Antichità Egee dell’Università del Salento, cui ha partecipato anche il prof. Giuseppe Mastronuzzi del Dipartimento di Geologia e Geofisica dell’Università degli Studi “Aldo Moro” di Bari, con la collaborazione del Consorzio di gestione della Riserva di Torre Guaceto e delle soprintendenze interessate.

Indagini che seguono e si collegano al progetto avviato nella Riserva di Torre Guaceto (prospezioni e rilievi archeologici terrestri e subacquei condotti dalla prof.ssa Rita Auriemma, docente di Archeologia Subacquea, e dal dott. Teodoro Scarano) di archeologia del paesaggio costiero degli antichi porti e approdi del Salento adriatico diretto dal prof. Cosimo Pagliara, docente di Antichità Greche presso la stessa Università del Salento. Ecco la rilevanza della ricostruzione della situazione ambientale e morfologica dell’area nell’Età del Bronzo. Secondo i dati raccolti nella campagna condotta dal 2008, il sito presentava non solo i due corsi d’acqua presenti anche oggi (i canali Reale ed Apani), ma anche di una lama che sfociano in mare, nell’ultimo tratto – scrive Teodoro Scarano – forniva certamente i vantaggi di un piccolo porto canale alla popolazione di raccoglitori, pescatori e cacciatori dell’epoca.

Scavando in due punti degli scogli di Apani, la missione dell’Università del Salento ha trovato a 60 centimetri di profondità un cospicuo numero di pezzi di vasellame domestico e votivo con evidenti tracce lasciate dall’alta temperatura dell’incendio sulla struttura dell’argilla lavorata. Ma anche utensili in osso di cervo, in selce e in legno, tracce di ossa di animali e di molluschi, semi di fave. Inoltre è stato confermato dai rinvenimenti che ci si nutriva anche delle ghiande delle querce, trasformate in farina e poi cotte per farne pane. “Antichi pugliesi a Torre Guaceto” sintetizza gli esiti dei primi due-tre anni di indagini archeologiche e la vita quotidiana di chi abitava il sito 3500 ani fa circa.

“Le ampie zone palustri costiere erano caratterizzate dalla flora tipica di questo habitat (canne, giunchi, cannucce e cariceti) ed erano popolate da mammiferi di piccola taglia, uccelli, rettili, anfibi, pesci e molluschi. Nell'immediato entroterra, le radure e poi i primi rilievi erano coperti dagli arbusti della macchia mediterranea e da fitti boschi di olivi selvatici e querce che ospitavano specie quali cervi, cinghiali e caprioli oltre a lupi, gatti selvatici e lepri”, scrive Scarano nell’articolo per la rivista. Ma tra gli alberi si nascondevano anche nuclei di nemici: “È stato peraltro possibile riconoscere indizi di una organizzazione complessa dello spazio esterno alle strutture di abitato – ha riferito l’archeologo in un’altra circostanza di presentazione del lavoro svolto - dal momento che si sono potuti individuare dei percorsi ad acciottolato che sembrano correre lungo il fronte interno di quanto resta di una struttura muraria in pietrame a secco costruita presumibilmente a difesa dell’abitato (quanto meno) dal lato di terra; suddetta struttura, andata ormai in gran parte distrutta a causa dell’azione erosiva degli agenti meteo-marini, si conserva oggi per una lunghezza di 15 m circa, ha uno spessore massimo residuo poco inferiore ai 10 m ed un’altezza massima di 3 m circa”.

Ma il vasellame deformato dal fuoco, l’intonaco in argilla delle capanne annerito dalle fiamme, dimostrano che sul villaggio (o sui villaggi) si abbatté comunque la frenesia distruttrice dei nemici. Pur tuttavia, a 60 centimetri di profondità la missione archeologica ha trovato più dati e reperti di quanto ne contengano gli strati superficiali segnati dalla presenza romana, molti secoli dopo. Tracce degli antichi Pugliesi, sei o sette secoli prima dell’arrivo dei Messapi.

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