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Cultura Francavilla Fontana

Intervento/ Mio nonno Antonio Somma

“Odio gli indifferenti. Credo che vivere vuol dire essere partigiani”. Probabilmente, nessuna frase meglio di questa, a firma di Antonio Gramsci, può descrivere l’essenza stessa della vita di mio nonno Antonio Somma. Nell’aprile del 1917, qualche mese dopo che Gramsci scriveva che “non possono esistere i solamente uomini, gli estranei alla città”.

“Odio gli indifferenti. Credo che vivere vuol dire essere partigiani”. Probabilmente, nessuna frase meglio di questa, a firma di Antonio Gramsci, può descrivere l’essenza stessa della vita di mio nonno Antonio Somma. Nell’aprile del 1917, qualche mese dopo che Gramsci scriveva che “non possono esistere i solamente uomini, gli estranei alla città” ma che “chi vive veramente non può non essere cittadino, e parteggiare”, Thomas Woodrow Wilson, Presidente degli Stati Uniti d’America, decideva di intervenire nella prima guerra mondiale contro gli Imperi centrali. A novembre dello stesso anno, in Russia, la “Rivoluzione d'ottobre” culminava con l’occupazione del Palazzo d’inverno da parte dei rivoluzionari e la nascita del primo governo bolscevico.

Il Novecento, con le imminenti sconfitte delle potenze centrali, formalizzate poi nella Conferenza di Parigi del 1919, si preparava a diventare secolo di conflitti ideologici in cui scegliere da quale parte stare e per quale idea di società battersi non era e non poteva essere un mero esercizio retorico. Ecco, dunque, che “vivere - voleva - dire essere partigiani”, parteggiare, prendere posizione, scegliere.

Nonno Antonio non era ancora nato quando Gramsci affermava che “l’indifferenza è il peso morto della storia”, “la palla di piombo per l’innovatore […], la materia inerte in cui affogano spesso gli entusiasmi più splendenti”. Sarebbe nato qualche anno più tardi, il 19 novembre del 1923, a Spiano di Mercato San Severino, un piccolo paese in provincia di Salerno, in una Italia ancora lacerata dal primo conflitto mondiale.

I trattati di Versailles avevano ridisegnato a tavolino la geografia politica europea e di lì a poco, dalle macerie della prima guerra mondiale, si sarebbero sviluppati i germi per l’affermazione del fascismo in Italia e del nazismo in Germania. E’ con queste premesse che il mondo si avviava ad affrontare, nel 1939, il più grande conflitto armato della storia mondiale.

E’ in questi anni di profondi cambiamenti che il nonno trascorre la sua adolescenza, una adolescenza di sudore e fatica durante la quale, lavorando come “scalaro”, era solito viaggiare dalla Campania verso la Puglia, terra che, ben presto, sarebbe diventata parte centrale della sua vita. Sarà il mutare frenetico degli eventi internazionali che costringerà l’ancora adolescente Antonio ad intravedere, prima, e a subire sulla sua pelle, poi, le ferite mostruose della guerra.

Il 13 gennaio del 1943 fu chiamato alle armi nella Divisione Trieste, operativa in Africa Settentrionale e in Sicilia. “Se l’avanzata degli alleati non fosse stata così veloce - racconta lui stesso nelle pagine del libro-intervista “La storia di un protagonista del Sud, Antonio Somma” - avrei dovuto raggiungere la mia Divisione in Tunisia. Invece la mia destinazione fu Piacenza, dove c’era il cuore dell’Armata Po”. E dopo Piacenza, insieme ad altri 37 commilitoni, fu aggregato presso l’ospedale militare di riserva di Salsomaggiore. Fu lì, a Salsomaggiore, che la sua vita cambiò per sempre.

L’8 settembre del 1943, “Vittorio Emanuele III e il maresciallo Pietro Badoglio, nella dichiarazione dell’armistizio” - proclamavano: - “Soldati ovunque siate, in Italia o all’estero, difendetevi contro attacchi di qualsiasi provenienza”. “Eravamo allo sbando” - ricorda ancora il nonno - ma in quel momento, che fotografa l’istante esatto in cui un ragazzo non ancora ventenne diviene uomo, Antonio sente su se stesso il peso di una decisione che può cambiarlo per sempre. Così, prese la decisione di fuggire dall’ospedale militare attraverso le condotte delle fognature e unirsi, con il soprannome di “Scugnizzo”, ai partigiani che combattevano in Emilia sul Passo della Cisa.

Come spiega Giuseppe Caldarola, nell’introduzione al libro, in quell’8 settembre 1943, nonno Antonio avrebbe potuto temporeggiare, attendere il corso degli eventi o addirittura “fuggire e trovare rifugio nelle sue terre” invece, al contrario, decise di abbracciare con convinzione la causa della Resistenza e “lottare per la libertà contro il fascismo ed il nazismo”. Nelle settimane che seguirono fu “ferito, catturato, internato - prima nel campo di concentramento di Bolzano e poi in quello di Mauthausen - ma non abbandonò mai il campo della giustizia in cui ha militato per tutto il resto della sua vita”.

Il libro, scritto e curato da Alessandro Rodia, prende avvio da quell’8 settembre; nasce, così come la vita stessa dell’uomo, prima ancora del partigiano Antonio, da quella scelta, la scelta di impegnarsi in prima linea rifiutando la strada comoda dell'indifferenza, indifferenza che "è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita”. Sfogliando le pagine di questa autobiografia si ha l’impressione di esser condotti per mano dal nonno stesso che, con la sua voce, traccia la direzione da seguire alla scoperta di cinquanta anni di storia d’Italia.

Dai racconti di guerra fino al ritorno a Spiano e l’abbraccio struggente con i genitori, dal referendum del 2 giugno 1946 fino alle battaglie per il diritto al lavoro in provincia di Brindisi, dall’esperienza del carcere fino al ruolo di padre costituente della regione Puglia nel 1970; un viaggio che è innanzitutto viaggio intimo, introspettivo, personale.

Da quel giorno, da quella scelta di parteggiare datata 8 settembre 1943, scelta che divenne subito consapevolezza, il nonno, prima come partigiano e poi, dopo la guerra, come dirigente sindacale della Cgil e segretario provinciale del Pci di Brindisi, si è battuto per chi non aveva voce, per chi, privato dei diritti fondamentali, è stato soggiogato dal peso dell’arroganza. Attraverso le sue battaglie di civiltà e di libertà, ha rivendicato, sempre e con forza, la dignità del lavoro e dell’essere umano, contribuendo allo sviluppo della sua terra “adottiva”, la Puglia, palcoscenico principale delle sua attività politica.

Fino agli ultimi istanti della sua vita, mio nonno Antonio Somma ha fatto della difesa degli ideali di libertà ed uguaglianza il suo vessillo e per farlo ha utilizzato lo strumento di propaganda più forte: la conoscenza. Instancabile studioso, fiero della sua cultura da autodidatta, ha preteso sempre, attraverso le sue parole, i suoi racconti, la sua storia di vita, attraverso la conoscenza, di scardinare i veli dell’indifferenza, onnipresenti e persistenti in ogni società. Quella stessa indifferenza che svilisce l’essere umano perché, come diceva Gramsci, è “la materia bruta che strozza l’intelligenza”.

 

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