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Mercoledì, 24 Aprile 2024
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Mesagne: al via la festa patronale. Domenica il concerto dei Boomdabash

Con la processione svoltasi ieri sera (15 luglio) ed il momento della consegna delle chiavi ha preso le mosse la festa patronale in onore della Madonna del Carmine

MESAGNE - Con la processione svoltasi ieri sera (15 luglio) ed il momento della consegna delle chiavi ha preso le mosse la festa patronale in onore della Madonna del Carmine. Per meglio rispondere alla maggiore affluenza di queste speciali giornate il Castello Comunale ed il Museo del Territorio apriranno al pubblico con orari prolungati rispetto all’ordinario. Sabato 16 luglio – giorno della Festa - chiusi in mattinata mentre nel pomeriggio saranno aperti dalle 18:30 alle 24:00. Domenica 17 luglio in mattinata dalle 10:00 alle 12:30 e nel pomeriggio dalle 18:30 alle 24:00.

Si raccomanda per tutte le giornate della festa di spostarsi preferibilmente a piedi. Questo in special modo per la serata di domenica 17 luglio durante la quale si prevede una altissima affluenza da fuori città per il concerto dei “Boomdabash” in Piazza Porta Grande. Nell’area interessata dal concerto sono stati previsti 5 cassonetti da 1100 kg per la raccolta di vetro, metalli e platica e favorire una raccolta più ordinata. Sono state adibite zone parcheggio in via Eschilo (Liceo Scientifico), zona Grutti (via Vignola e dintorni) e Area Mercatale.

Sono stati inoltre potenziati i servizi igienici con l’installazione di 9 bagni chimici posizionati in via Manfredi Svevo (lato Castello), via Brindisi (lato Cimitero), via Marconi (lato ex Scuola Media), via Eschilo (piazzale Liceo) oltre al prolungamento dell’orario di apertura dei bagni del Castello e Villa Comunale.

Una festa ordinata e serena – nella viabilità, nell’igiene urbana, nel decoro - passa prima di tutto dal senso civico di ogni mesagnese. 

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Di seguito, il discorso del sindaco Molfetta

Orrore e sconcerto esprimo davanti al volto immacolato di Maria per la strage di Nizza. Pietà e misericordia invoco per le 84 vittime innocenti straziate dalla follia omicida di uomini la cui malvagità è così profonda da evocare quasi l’incarnazione del demonio. Ai Francesi vada la solidarietà piena del nostro popolo. 
E ancora cordoglio esprimo alle vittime del disastro ferroviario di Corato, al sangue copiosamente versato dai nostri figli fra gli ulivi e il grano della nostra terra, amara e bella. 

Quando si perde un figlio, un padre o un fratello in questi modi barbari non ci si può capacitare mai, si apre un cratere, una voragine nel cuore che mai niente e nessuno potrà colmare. Per loro, per tutti loro non ci resta che piangere e pregare.

Un pensiero accorato va a tutti coloro che non possono esser qui con noi nella gioia della fede e nel clamore della festa. Penso ai tanti concittadini emigrati che certamente in questi giorni avvertono con più acuto dolore la nostalgia per il nostro paese. Come deve essere struggente e dolce il pensiero della propria città per chi è lontano, come appariranno belle, nel libro della memoria, le nostre contrade assolate, le case e i cortili dei giochi d’infanzia e lo sguardo di lei incrociato nello struscio di questa antica festa. Ecco bisognerebbe guardare alla nostra città col cuore dei nostri emigranti per apprezzarne appieno il valore. A loro, ai tanti mesagnesi che ad ogni latitudine del globo lasciano ogni giorno il segno tangibile della laboriosità e dell’inventiva del nostro popolo va il nostro saluto e la nostra affettuosa gratitudine. 
Quando la vita ti travolge di giovinezza pensi che questa festa sia una semplice ricorrenza, banale nella sua stucchevole ripetitività. Pensi che si potrebbe fare a meno delle luminarie, della cassa armonica, dei fuochi d’artificio anzi ti sembra che questi orpelli tolgano dignità e raccoglimento alla devozione mariana. Quando poi giunge il tempo dell’età matura o quando la vita volge al tramonto capisci invece che è proprio in quel costante ripetersi della tradizione, in quella magica fusione fra laicità e sentimento religioso che il popolo intero si riconosce e che la storia continua a fluire nella sua placida scia. 

Questa festa che si rincorre da 400 anni senza interruzione contraddistingue la nostra città e ne segna profondamente la vita, perciò per noi vale quanto l’effigie stessa della Madonna del Carmine nelle cui mani abbiamo rimesso il nostro destino.

Sia reso onore e merito al Comitato Feste Patronali che, con incrollabile tenacia, continua ad adoperarsi perché questi tre giorni di celebrazione si realizzino nel rispetto della fede e della tradizione. Non lasciamoli soli e non si abbiano a ripetere mai più i segni di conclamata ingenerosità o di indifferenza affettiva nei confronti della nostra festa perché in essa sono piantate le radici della nostra storia.
Io ho atteso con ansia questo giorno perché sento forte il bisogno di rimettere nelle vostre mani e nello sguardo compassionevole della Madonna del Carmelo, le mie manchevolezze nella certezza di trovare il conforto e la comprensione che Ella riserva a chi si offre alla grazia del suo perdono ed io ho molto da farmi perdonare. 

Mi duole, infatti, che l’ombrosità del mio carattere, la mia naturale ritrosia, la mia timidezza siano percepiti dai più come altezzoso distacco e superbia. Ma soprattutto mi duole il non aver saputo in diverse circostanze corrispondere alle tante aspettative che la città ha riposto su di me. Sento il peso del vostro disincanto, colgo l’amarezza per una speranza delusa.  Mi presento dunque a voi a mani nude, ma con la coscienza a posto per non aver lesinato impegno e per le cento e cento notti passate in bianco nel tentativo di comprendere e far fronte ad una situazione che è molto più complicata di quanto io avessi immaginato e di quanto voi possiate immaginare.

La foga giacobina dell’antipolitica, il disprezzo per i partiti e le istituzioni pubbliche, la feroce spinta antisociale che cresce ovunque hanno spazzato via dall’orizzonte politico ogni slancio ideale. La pancia del popolo costruisce l’agenda degli stati e dei governi così che la paura, l’odio razziale, i nazionalismi xenofobici, l’individualismo e l’ingordigia hanno preso il sopravvento sugli ideali di pace e di concordia. Le forze più retrive e reazionarie degli stati nazionali soffiano sul fuoco della rabbia, alimentano le divisioni e la discordia e intorbidiscono le acque nella vecchia Europa dove si ritagliano i confini nazionali col filo spinato e dove si ricostruiscono i muri dell’odio, ricacciando pericolosamente indietro l’orologio della storia là dove riecheggiano i fantasmi del Novecento.

Ebbene l’onda lunga dell’odio, dell’indifferenza, dell’antipolitica, la foga antisociale passa anche dalle nostre parti. Anche in Italia come nella nostra città è sempre più difficile ricucire una trama ideale di fondo che tenga unite le forze politiche e sociali, le maggioranze o le minoranze. Si va avanti alla rinfusa, ognuno per la sua strada, «ognuno in fondo perso dietro i fatti suoi». Tutti quanti affannosamente adoperati a custodire la propria verità piccola piccola o a vivere il proprio impegno pubblico solo nella speranza di cogliere qualcosa per sé.  
Alla mancanza della politica dovrebbe far argine l’etica pubblica, il rispetto delle leggi, il senso della giustizia, la civiltà di un popolo. Ma anche questo sistema valoriale è molto sfumato: la legge non sempre eguale per tutti, la morale è spesso doppia, la giustizia talvolta ingiusta ed il senso civico molto ma molto annacquato. Ed io che sono rigidamente ancorato a questi principi trovo difficile la loro applicazione e faccio il sangue amaro a vedere che chi non lavora spesso è più tutelato di chi lavora, che il diritto vale più del dovere, che chi inquina non paga e che gli arroganti e i potenti schiacciano gli umili. 

In questo anno in cui ho combattuto una battaglia strenua per l’affermazione di questi principi, in verità vi confido, che mi sono sentito spesso solo; solo e in una landa deserta come un don Chisciotte che agita la sua lancia contro i fantasmi della sua mente. Non di rado, sbeffeggiato e deriso. Ho avuto momenti di sconforto: è vero. Ma non c’è rassegnazione nell’animo mio: continuerò ottuso per quella strada tenendo alto il vessillo del rigore morale, della legalità e della giustizia anche se dovessero azzoppare il mio cavallo brocco.

È difficile governare se manca lo slancio ideale, se manca la politica, se manca l’etica pubblica e ancor più difficile governare se oltre a questo mancano anche i soldi. Ebbene una cosa in questo anno l’ho fatta. Ho dissotterrato, a colpi di badile, una verità che era nascosta e malcelata. La verità vera è che negli anni appena trascorsi di profonda crisi economica noi abbiamo fatto finta di niente, abbiamo continuato a spendere e spandere, come se i soldi attesi prima o poi sarebbero arrivati ben sapendo che così non sarebbe stato. Così abbiamo svuotato completamente le casse comunali e ci siamo indebitati fino al collo. 

Ecco come siamo messi, abbiamo cantato come una cicala per una stagione ed ora non abbiamo più un chicco di grano nella dispensa. 
Ed ora cosa si fa? Dovrei forse anch’io far finta di niente continuare ad operare «a critenza»? Cantare per la mia stagione lasciando a chi seguirà questo fardello? No, non io.  Non interessa a me e non serve a nessuno girarsi dall’altra parte per evitare gli ostacoli, bisogna prendere il toro per le corna, studiare e adoperarsi in tutti i modi per risanare il debito pubblico e lasciare in questo comune un’eredità all’altezza delle vostre aspettative. Ecco io ho scelto la linea della responsabilità.

Perciò per tutta la durata della legislatura mi impegnerò a rimpinguare le casse del Comune tornando a farmi formica, recuperando ciò che non si riscuote e tagliando ciò che si spreca, facendo attenzione a non aumentare, come non ho aumentato, le tasse e senza toccare i servizi essenziali.

Io posso fare questo e lo farò con la stessa meticolosa parsimonia che è propria di chi sa cosa significa mangiare pane e cipolla. Nessuno ne gioirà anzi, molti tenteranno di ostacolarmi e screditarmi perché non piace a nessuno essere svegliati da un bel sogno, o scendere dalla giostra a metà della corsa.  

Altra impresa su cui sto sudando le mie proverbiali sette camicie è quella di riaffermare l’etica del lavoro nel pubblico impiego. Lì, dove la politica ha gozzovigliato per anni, si sono sedimentate sacche di privilegio, di lassismo e strafottenza, così che accanto a tanta gente solerte e laboriosa che lavora duro, c’è chi bivacca aspettando solo la fine del mese in spregio a tanti giovani disoccupati che venderebbero l’anima al diavolo per uno straccio di posto fisso. Ebbene anche li bisogna rimettere ordine, favorire il merito ed evitare che a chi lavora valga una sarda a chi non lavora una sarda e mezza. 

In questa situazione evidentemente è difficile garantire anche solo l’ordinaria amministrazione e rispondere alle tante, legittime, richieste dei cittadini. Ma nonostante tutto, pur fra mille problemi e tanti sacrifici si va avanti e tutto si tiene ad un livello per lo meno dignitoso, che già questo è un piccolo miracolo, mentre per molti aspetti continuiamo ad essere punto di riferimento per molti paesi a noi vicini.
Dunque è una sfida difficile quella che ho davanti, tutta in salita. Ma più dura è la salita più caparbia e determinata sarà la mia volontà di arrivare in cima a riveder le stelle, perché prima o poi passerà la buriana e il sol dell’avvenire tornerà a splendere. 

Mi consola la certezza che c’è tanta gente che si adopera con altrettanto zelo per far del bene alla nostra città. C’è un moto forte di partecipazione popolare che sempre nei momenti di crisi rimonta.  Così insieme stiamo sperimentando forme di cittadinanza attiva, di gestione condivisa dei beni pubblici a partire dal parco “Roberto Poti” dove, a fronte dei tanti menagramo e iettatori che ogni giorno  preconizzano la sua prossima distruzione per  vandalismo e incuria, tutto va come deve andare con i cittadini che naturalmente e quotidianamente se ne prendono cura  così che noi oggi possiamo godere di uno degli interventi di rigenerazione urbana più interessanti e belli nell’intero territorio nazionale. 

Ma la condivisione solidale la si sperimenta anche sul fronte doloroso del bisogno sociale di tante famiglie che vivono condizioni di estremo disagio e che non possono e non devono essere lasciate sole. Insieme al volontariato laico e cattolico si stanno predisponendo percorsi condivisi per far fronte all’emergenza delle nuove povertà e dell’emarginazione e presto potrebbe veder la luce il progetto della casa comune della Misericordia, cioè di un centro comunale per l’accoglienza e il sostegno degli ultimi e dei diseredati. Accoglienza e integrazione che intendiamo estendere anche agli immigrati e richiedenti asilo perché dalla nostra città parta un segnale in controtendenza rispetto alla vulgata xenofoba che ormai rischia di travolgere anche le nostre coscienze. 

Si intensificano i percorsi di legalità attraverso virtuose collaborazioni con le forze dell’ordine, la Prefettura, le associazioni antiracket, Libera, Avviso Pubblico, le scuole affinché sia definitivamente strappata via dalla nostra storia la pagina triste e drammatica della SCU.
Ci sono inoltre esperienze avanzate di giovani che nonostante la congiuntura sfavorevole lanciano il loro guanto di sfida al futuro con progetti innovativi ad altissimo valore tecnologico, imprenditoriale, economico e sociale nei settori dell’agricoltura, del commercio, dell’enogastronomia e della ricerca.

E poi ci sono sussulti di gloria nello sport, si raggiungono livelli di eccellenza nel mondo della scuola, della ricerca e della cultura con un’offerta formativa che resta di prim’ordine nel panorama provinciale.  Mesagne città d’arte e di cultura, appena timidamente rilancia la sua immagine e tira le leve del turismo ha risposte chiare e immediate. «Quant’è bella la vostra città» ci sentiamo dire dai turisti che magari la scoprono per caso e ne restano incantati, d’estate soprattutto quando la gente si riversa nelle strade e nelle piazze imbellettate a far da cornice ai monumenti straordinari della nostra storia grande. 

Ecco, nonostante tutto, Mesagne è bella e i mesagnesi sanno esserlo ancor di più. Io dico grazie a voi per aver fatto, in questo anno, forse più di quello che ho fatto io. A quelli invece che se ne stanno appollaiati sulla riva del fiume aspettando un altro fallimento, a quelli che sanno sempre cosa fare ma che non hanno mai fatto niente, a quelli che parlano sempre male di tutto e tutti dico “mettete dei fiori nei vostri cannoni” e se proprio non ce la fate….  parlate male di me ma non della mia città.

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