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"Io, sindaco nel 1982 e poi eletto dopo 40 anni: ecco cosa è cambiato nei Municipi"

Il primo cittadino di Erchie, Pasquale Nicolì, racconta come si è evoluto il suo "mestiere" e i problemi che si incontrano quotidianamente al Comune

ERCHIE - Quando ha varcato la prima volta da sindaco la soglia del Municipio di Erchie, il presidente della Repubblica era Sandro Pertini. Oggi alle sue spalle troneggia la foto del presidente Mattarella. Il primo cittadino Pasquale Nicolì ha 69 anni. Nel 1982 divenne sindaco del paese brindisino, guidando una lista civica di fuoriusciti dai vari partiti della Prima Repubblica. Nel 2020, a distanza di quasi 40 anni, è tornato a guidare il Municipio, supportato da una lista civica di centro-sinistra. In pensione da un paio d'anni - "purtroppo", aggiunge - è stato dirigente di alto livello presso l'Asl di Taranto per tanti anni. La sua carriera politica, dopo quell'elezione, lo ha portato a rivestire varie cariche, fino al 1992. Con la fine imminente della Prima Repubblica, ha deciso di dedicarsi al mestiere di segretario generale, anche. Ha studiato a Torino, ha girato un po' l'Italia (Piemonte, Lombardia, Basilicata), oggi si dedica a tempo pieno a Erchie. BrindisiReport lo ha intervistato per capire come sia cambiato il "mestiere" di sindaco dagli anni '80 a oggi.

Com'è stato tornare dopo quasi 40 anni in Municipio a fare il sindaco?

"Ho notato un cambiamento straordinario, sì, ma in senso negativo. Nel 2020 c'era un commissario prefettizio. Mi sono incontrato per il passaggio di consegne e il segretario generale del Comune di allora aveva deciso di non presenziare all'evento. Già lì, ho capito che c'era qualcosa che non andava in Municipio. Io sono stato anche segretario comunale, assistevo i sindaci neo-eletti, so come funziona questo mondo. Ho brancolato nel buio per quattro mesi, di fatto. Andava tutto organizzato".

Come impatta l'organizzazione sul suo ruolo?

"Dopo due anni e mezzo sto ancora cercando di definire il modello organizzativo di questo ente. Il problema è la competenza: con i nuovi innesti stiamo cercando di recuperare dei livelli accettabili dal punto di vista gestionale. Ho cambiato qualche elemento tecnico. Ora abbiamo fatto un concorso, per cui spero di presidiare un settore importante come quello dei lavori pubblici".

Cosa è cambiato nelle due esperienze?

"Negli anni '80 il Comune era un ente derivato, diciamo, finanziato dallo stato centrale attraverso il ministero degli Interni. Negli spazi residui di attività gli enti erano autonomi, sostanzialmente. E all'interno c'erano competenze rilevanti, legate all'attività di controllo. Per esempio, all'epoca il segretario comunale aveva il potere di legittimità, era una garanzia, un baluardo di legalità all'interno dell'ente. La Giunta aveva dei poteri gestionali enormi, c'era un ulteriore livello di controllo: i comitati di controllo".

Come si riflettevano sull'azione amministrativa?

"Questi elementi facevano crescere anche culturalmente il Comune. Avevi degli impulsi esterni che ti spingevano a 'studiare'. La politica veniva responsabilizzata per dare risposte dirette all'elettore. Oggi c'è un filtro enorme: il dirigente di area e il dirigente di settore. Con la riforma Bassanini del 1997 il potere gestionale è rimasto in capo al dirigente. Il cittadino invece continua a immaginare il sindaco tuttofare della Prima Repubblica. Io ho scoperto i tempi tecnici qua. La dirigenza non risponde in via diretta all'elettore, ciò implica dei tempi di latenza su quelle che sono le procedure amministrative normalmente gestite".

Come è cambiato il rapporto con l'elettore?

"Prima c'era un filo diretto con l'elettore, oggi non è così. I ritardi vengono imputati al politico, che ci mette la faccia, pur non avendo potere. I Comuni oggi per funzionare devono avere non solo competenza, ma anche spirito di appartenenza da parte dei dipendenti. Stiamo operando un lavoro di riscrittura di ciò che è un ente, qui a Erchie. Ci sono nuovi innesti giovani, motivati e digitalmente evoluti. Tornando a ciò che ho trovato nel 2020, ho potuto notare delle 'isole felici', un livello di autoreferenzialità all'interno delle varie aree, aree che si parlano poco, pur essendo un ente piccolo, e che così ritardano il processo di sintesi".

Sembra che la politica abbia perso potere.

"Prima c'era un politico forte, decisionista che aveva il potere di rispondere all'elettorato. Il rapporto è cambiato: prima c'era una sorta di sudditanza del dipendente nei confronti del politico, ma c'era un'immediata immedesimazione. Quel politico era visto in senso positivo, in quanto eletto da una maggioranza. C'era un immediato riallineamento. Mentre oggi l'apparato interno è quasi neutro. Per questo insisto sul senso di appartenenza e sulla collaborazione. Fortunati quei Comuni più grandi, che hanno una dirigenza pura, in quanto risponde agli obiettivi. Così sono neutri, fanno gli interessi dell'ente, dunque dell'elettorato".

Nei Comuni piccoli questo non accade?

"Nei Comuni piccoli c'è una schermatura tra il politico precente e quello che arriva. Nei Comuni più grandi non è così, come ho detto. Chi viene eletto deve farsi subito la squadra e trovare gente che collabora sin dall'inizio".

Tornando agli anni '80...

"In passato i Comuni erano finanziati sostanzialmente dallo stato centrale, i margini di manovra erano scarsi. La politica nazionale faceva piovere a pioggia soldi grazie a finanziamenti extra dovuti all'appartenenza politica. Era un sistema di trasferimento erariale. Il taglio draconiano che c'è stato implica che le risorse sono del territori, tutto il resto lo devi trovare da solo. La politica impatta con le tasche del cittadino. L'aver poi eliminato l'Ici sulla prima casa, come fece il governo Berlusconi, ha creato un ulteriore buco. Oggi dobbiamo trovare denaro attraverso la politica fiscale e quella tributaria, principalmente".

Quindi, in sostanza, il Comune è profondamente cambiato?

"Ieri era un ente assistito, oggi è un ente che esiste in via autonoma". 

Senza finanziamenti a pioggia dello Stato centrale, c'è più meritrocazia?

"Sì, indubbiamente è così. Ma questa meritrocazia che andiamo a cercare si scontra con la realtà dei piccoli enti. Ieri non c'era questa distinzione. Oggi, se io vado al Comune di un capoluogo dove esistono cinque dirigenti che lavorano sul Pnrr, è un conto. Nei Comuni piccoli non abbiamo competenze di alto livello per finanziare quegli ambiti. Si possono perdere finanziamenti importanti a causa di errori dei singoli. Brutalmente, prima bastava andare a 'bussare' dal politico nazionale di riferimento per ottenere i finanziamenti".

Forse si era troppo legati al singolo politico?

"Sì, ma così tanti enti rischiano di rimanere arretrati. Va tenuto conto delle peculiarità di ogni singolo ente. Lo ha fatto il Pnrr, quando ha creato quei bandi per trovare risorse umane necessarie ad affrontare i finanziamenti. Ma anche qui, bisogna verificare le competenze. Poi c'è il problema degli stipendi, il Comune non è competitivo, magari un ingegnere competente preferisce fare il libero professionista. Poi, certo il sistema oggi è più meritocratico, ma questo nella realtà cozza con l'arretramento culturale degli enti".

Quale sarebbe la soluzione, dal suo punto di vista?

"Bisogna puntare sulla formazione dei dipendenti. Questo, in base alla mia esperienza, non lo vedo. Poi, ci sono le varie eccezioni, ci mancherebbe. Merito sì, ma con competenza all'interno dei Comuni. Secondo me la riforma Bassanini ha creato un tasso di autoreferenzialità elevato. Quando si parla di autonomia gestionale, si deve parlare di ciò all'interno di un compendio: la politica, la gestione, il cittadino. Hai voglia a fare obiettivi, se poi non si rispettano. La visione dell'ente è cambiata: non è più l'ente assistenziale, ma è un'azienda che sta sul mercato e gestisce dei processi per dare risultati. Ovvero, dare al cittadino ciò che la politica ha promesso in campagna elettorale. Per fare questo ho necessità di portare il sistema in tale direzione. E, se nell'ente non ci sono le competenze giuste, questo è molto difficile".

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