Vuoi fare il bravo giornalista? C'è la "madrasa" di piazza Matteotti
Se uno vuole imparare etica dell’informazione è inutile che perda tempo ai corsi di aggiornamento professionale istituiti dall’Ordine dei giornalisti. A Brindisi opera da tempo una vera e propria madrasa in piazza Matteotti. Un luogo effimero dove alta politica ed alto giornalismo si incontrano e si confrontano
Se uno vuole imparare etica dell’informazione è inutile che perda tempo ai corsi di aggiornamento professionale istituiti dall’Ordine dei giornalisti. A Brindisi opera da tempo una vera e propria madrasa in piazza Matteotti. Un luogo effimero dove alta politica ed alto giornalismo si incontrano e si confrontano. E peggio per chi non la frequenta, questa scuola. Non capirà mai come si fa il mestiere e quali sono le sue regole morali. Anche se scrive duemila articoli al mese sul giornale, e gli imam di piazza Matteotti invece condensano il proprio pensiero quasi esclusivamente in post su Facebook e pensieri fulminei su Twitter. Ma di giornalismo nessuno ne sa più di loro.
Dettano le regole, bacchettano chi lavora e si scontra. Che violazione delle regole difendere una posizione, criticare gestioni, progetti, enti inutili o malgovernati. La madrasa non perde tempo a classificare questo genere di giornalismo: non può essere frutto di autonomia, tale comportamento, di convincimento dovuto all’osservazione e allo studio. Ci deve essere la malafede. La madrasa sa tutto, e implacabilmente pubblica le sue pagelle sui social network, rigorosamente senza nome e cognome dei bocciati, forse per non umiliarli o forse per non prendersi qualche metaforico calcio in culo da qualche irrispettoso giornalista partigiano, venduto, bugiardo e puzzone.
La madrasa è a guardia della libertà di stampa a Brindisi, e lo fa inevitabilmente facendosi dei nemici. Difendere la purezza dell’informazione ha un costo: ore e ore di guardia, spesso del nulla perché le notizie stanno da altre parti. Ma bisogna affrontare sacrifici in nome della stampa libera, anche vigilando su un bidone, e spesso su tanti bidoni. Non come quell’informazione da quattro soldi che critica il sindaco Mimmo Consales, ad esempio, costringendolo a scrivere in un tweet: “Quando un giornalista diventa tifoso di una parte politica o di una cordata di interesse ha smesso di svolgere il suo mestiere”.
Qualcuno lo deve avvertire che pure lui è un giornalista, fa il sindaco non di una parte politica, ma di una pizza quattro stagioni di parti politiche, e che si scontra con altre parti politiche ancora. Si sarà anche messo in aspettativa, ma che c’entra. I colleghi si rispettano, soprattutto se contribuiscono a non fare addormentare di noia la gente con quegli articoli tanto pallosi sulle virtù degli amministratori pubblici.
E invece solo scoppole come alle elementari (di cinquant’anni fa, perché ora ti mettono la microspia in classe): piovono da tutte le parti. Ti giri a destra e ti mena Consales, fai per indietreggiare e te ne becchi una da qualche adepto della madrasa. Erano meglio i cazziatoni di Mennitti (ovviamente quelli della madrasa sapevano che non erano diretti a loro, ma agli altri). I peggiori sono quelli di BrindisiReport. Non saranno mai promossi, si faranno trent’anni all’ultimo banco chiedendosi: ma se facciamo parte di una cordata, come mai nessuno ci tira fuori di qui?