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Gli anticorpi alla corruzione non sono i leader, ma i cittadini che partecipano

Dico nulla sulla vicenda del sindaco di Brindisi. Conosco poco lui, ancor meno i fatti. La presunzione di innocenza è una bussola per orientarsi in queste vicende, di fronte a tanti errori giudiziari, tuttavia la cronaca mette in fila cose su cui un primo giudizio possiamo farcelo. Non si può sfuggire a una sensazione

Dico nulla sulla vicenda del sindaco di Brindisi. Conosco poco lui, ancor meno i fatti. La presunzione di innocenza è una bussola per orientarsi in queste vicende, di fronte a tanti errori giudiziari, tuttavia la cronaca mette in fila cose su cui un primo giudizio possiamo farcelo. Non si può sfuggire a una sensazione. Troppa mala-politica. Quella malattia che sembrava caratteristica della Prima repubblica, si è endemizzata nella seconda e, a giudicare anche dai piccoli fatti che riguardano alcune esperienze amministrative grilline, sta impiantandosi anche nella terza.

Filosoficamente, si fa per dire, potremmo consolarci dicendo che in fondo “rubare” è cosa antica, di tutti i tempi e di tutti i regimi politici. Qui però il tema è un altro. Il tema di questi giorni torna ad essere la diffusione del malcostume e il mancato controllo di opinione pubblica e sistema, tranne quando, alla fine, interviene il magistrato.

La storia italiana ci dice che un picco alla corruzione venne nel decennio 80-90. Il paese voleva mettersi alle spalle il  terrorismo, la classe politica di governo si imbozzolava nel preambolo di Forlani e nel pentapartito, il Pci non sapeva più cosa fare di sé dopo la morte di Moro e poi di Enrico, c’era in giro l’idea che modernità e ripresa fossero dietro l’angolo.

 Cresceva invece a dismisura il debito pubblico, ci mangiavamo i risparmi dei ragazzi di oggi, il sistema produttivo perdeva gioielli e argenteria. Molti stilisti in più, meno auto e chimica. Si scoprì con Mani Pulite la profondità della corruzione. I media e anche i magistrati indicarono l’acme di questa nella classe politica, come se il resto della società fosse incorrotta. Nacque il mito della società civile, quella stessa che aveva votato quei partiti, che aveva visto tutto, in cui si arricchivano uomini d’impresa che corrompevano o pagavano tangenti. Come oggi.

Cioè, per dirla tutta, si sapeva prima ancora che un affannato Di Pietro arrestasse i suoi inquisiti per farli confessare. Temo che anche oggi siamo nella stessa condizione. Si sta diffondendo in giro un’idea che vede contrapposti i catastrofisti e i modernisti (negli anni in cui dicevo prima le due figure simboliche, non a caso, erano  Berlinguer e Craxi), ma soprattutto cresce la sensazione di una illegalità diffusa, che va da chi ti fa i lavori in casa a un prezzo diverso a seconda che tu chieda o no la ricevuta a chi si fa pagare per rispettare diritti, a chi prende stipendi e non lavora.

Ci sono due modi per uscire da questa situazione sapendo che non se ne esce una volta per sempre. Si può dar vita a un regime che ti spia. Solo che in tutti i regimi che spiano, gli spioni poi si fanno corrompere o corrompono. E’ la storia del comunismo reale, ad esempio. Oppure si dà vigore a una società che vuole diventare più trasparente ma per diventare così devono esserci, regole, sanzioni ma soprattutto forze politiche e sociali vive.

Qui è la crisi della politica leaderistica. Non ci sono corpi intermedi, il leader ha i suoi, li fa vivere bene, taglieggia chi sta fuori gioco fino a che un altro leader non lo soppianta. Il cittadino, assiste,  finge di non vedere, partecipa, e si incazza pure.  La corruzione si batte, invece,  con la democrazia e con la democrazia, usiamo una espressione antica, che si organizza, con milioni di persone che fanno politica, e la fanno non per applaudire e tifare ma per partecipare.

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