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Giovedì, 28 Marzo 2024
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Il petrolio lucano e quello libico: una partita tra scandali e guerra

Questa volta è toccato al ministro dello Sviluppo economico, Federica Guidi, scivolare sulla buccia di banana di un intercettazione telefonica. In un inchiesta giudiziaria della procura di Potenza è spuntata fuori una conversazione, presente negli atti giudiziari, tra il ministro ed il suo compagno Gianluca Gemelli

Questa volta è toccato al ministro dello Sviluppo economico, Federica Guidi, scivolare sulla buccia di banana di un intercettazione telefonica. In un inchiesta giudiziaria della procura di Potenza è spuntata fuori una conversazione, presente negli atti giudiziari,  tra il ministro ed il suo compagno Gianluca Gemelli, imprenditore e commissario di Confindustria Siracusa, in cui la Guidi lo rassicurava sul fatto che “ l’emendamento sarebbe stato approvato”.

Tempa Rossa-2L’ emendamento in questione , risalente alla legge di stabilità del 2014,  riguardava il progetto “Tempa Rossa” inerente all’estrazione di petrolio dal sottosuolo della regione Basilicata ad opera della compagnia francese Total. Al progetto partecipano alcune aziende di Gemelli, che sarebbero cosi state favorite dal governo grazie all’iniziativa della sua compagna, il ministro Guidi.

In meno di ventiquattro ore il premier Matteo Renzi , che si trovava in visita negli Stati Uniti, ha accettato immediatamente  le dimissioni della Guidi  inviandole un comunicato che non lasciava molto spazio ne alle riflessioni ne tantomeno ai mea culpa: “"Cara Federica, ho molto apprezzato il tuo lavoro di questi anni, serio, deciso, competente. Rispetto la tua scelta personale, sofferta, dettata da ragioni di opportunità che condivido: procederò nei prossimi giorni a proporre il tuo successore al capo dello Stato. Nel frattempo ti invio un grande abbraccio. Continueremo a lavorare insieme perché l'Italia sia sempre più forte e solida. A presto, Matteo".

Scaricata senz’appello, si è ora aperta la gara politica per la sua successione, in un momento abbastanza delicato alla vigilia del referendum sulle trivelle del 17 aprile e le elezioni amministrative previste per Giugno.  Attendiamo ora che la giustizia faccia il suo corso con correttezza, senza isterismi o con qualunquistici tribunali ambulanti messi in piedi in quattro e quattr’otto per motivi politici.

Ma, questa storia, dovrebbe anche aprire uno scenario di discussione abbastanza serio per tutti noi; la questione del nostro approvvigionamento energetico nazionale, che dopo la caduta del regime di Gheddafi è da ben quattro anni in via di totale ridefinizione. Sino al 2011 il primo partner commerciale petrolifero dell’ Italia era la Libia , da cui importava il 25% circa de fabbisogno nazionale seguita dalla Russia con il 20%.

Non è il segreto di Pulcinella sapere che la Libia di Gheddafi era la nostra formosa vacca da mungere, in quanto le nostre compagnie petrolifere hanno sempre trattato il regime libico come la propria gallina dalle uova d’oro. Tutto questo scenario è entrato in crisi con la fine del regime della “ Rivoluzione verde”. Con il suo ultimo atto sono svanite le certezze degli innumerevoli affari miliardari che ogni anno collegavano Tripoli con la nostra Nazione.

Raffineria Libia-2Da allora chi vigilava sui nostri interessi ormai non c è più. Non è un caso che recentemente il giacimento petrolifero dell’ Eni a Mellitah, sotto il controllo delle milizie di Sabrata, è stato attaccato da una banda di assalitori la cui provenienza non è stata accertata, anche se sono diffuse le voci che portano (manco a dirlo) all’Isis. Per questo si è tornato a parlare con forza di un nostro intervento armato in Libia.

Un’ eventualità su cui riflettere molto bene ed attentamente, dato che la parola guerra equivale sempre alla perdita di vite umane. In un Paese ormai devastato ed in preda all’anarchia e con ben tre governi  si è cercato ora di salvare capre e cavoli dando fiducia ad un nuovo governo di unità nazionale capeggiato da Fayyez al Serraj, che di sicuro avrà il non facile compito di mettere ordine tra le tante rivalità etniche , politiche e culturali presenti nel territorio.

Ma dovremo anche vedere se l’Eni riuscirà a conservare il controllo dei propri giacimenti petroliferi. Non sappiano  che esito avrà il referendum sulle trivelle del 17 aprile, come non sappiamo come andrà a finire l’indagine potentina su Tempa Rossa. Quello che è certo e che se dovessimo perdere parte dei nostri riferimenti petroliferi libici avremmo una bruttissima gatta da pelare per la nostra economia e che ci piaccia o no dovremmo successivamente pensare seriamente a come soppiantarli.

Ricordandoci anche sempre che l’Italia ed il suo governo dell’ epoca (Berlusconi IV) furono attori di prima fila di una guerra sbagliata che provocò lo sfascio della Libia e migliaia di morti. Sperando di non fare , ancora una volta, come il cane che si morde la coda.   

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