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Venerdì, 29 Marzo 2024
Politica

Intervento/ Il Pd, il rinnovamento e l'innovazione

Nel sostenere la candidatura di Gianni Cuperlo a segretario nazionale del PD nell'ormai prossima sfida congressuale mi interrogo, tra le altre, su una questione che a me pare rilevante. C'è un tema che da mesi anticipa la sfida del congresso.

Nel sostenere la candidatura di Gianni Cuperlo a segretario nazionale del PD nell'ormai prossima sfida congressuale mi interrogo, tra le altre, su una questione che a me pare rilevante. C'è un tema che da mesi anticipa la sfida del congresso ed é il rinnovamento della politica e del Partito Democratico. In realtà, detta così appare più una questione per addetti ai lavori: cambiare gruppi dirigenti, sostituire intere generazioni per promuoverne altre, avvicendare la guida del partito ai vari livelli e le stesse presenze istituzionali e così via. Aspetti, ovviamente, assolutamente importanti e che qualificano la fisiologia di una forza democratica.

Credo, però, che il nostro congresso dovrebbe misurarsi con l'ambizione di produrre soprattutto "innovazione", ovvero una nuova e solida cultura politica e parole nuove per rappresentare ciò che vogliamo sia davvero una grande forza politica riformista che si candida alla guida di un grande paese devastato dalla più grave crisi economica e sociale dal dopoguerra.

Matteo Renzi, che non sosterrò alle prossime primarie ma del quale apprezzo i toni più misurati degli ultimi mesi e alcune delle idee in campo economico, appare incarnare la proposta del rinnovamento. Gianni Cuperlo, per ciò che finora ha detto e scritto, può rappresentare l'innovazione. Spero non appaia una mera distinzione lessicale.

Vorrei spiegare il mio punto di vista in poche battute. Siamo tutti, credo, assolutamente convinti che non solo non torneranno la vecchia sinistra con i modelli di partiti di massa del passato, ma che tali modelli oggi non sarebbero più utili alla democrazia del nostro Paese.

Ma se ciò é vero, come credo sia, quale è la strada? Edulcorare, annacquare, sbiadire tutto ciò che richiama valori, idee, programmi che possano ispirare l'esistenza stessa di una forza di sinistra per "piacere" quanto più possibile agli altri, in una logica tutta legata al consenso?

Oppure, costruire una forza di sinistra moderna, radicata, con una solida cultura politica, che la renda autonoma rispetto alla complessità della società italiana di questo tempo? A me pare che questa seconda opzione sia la sfida dell'innovazione che ha lanciato Gianni Cuperlo e che a me convince molto.

Con tutto il rispetto che merita e la dovuta cautela nel richiamarle, mi chiedo da giorni perché la politica, e anche la sinistra, da tempo, da troppo tempo, hanno abbandonato le parole che nelle scorse settimane ha pronunciato con una forza evocativa straordinaria Papa Francesco (lotta alle povertà, il lavoro, la dignità dell'uomo), fino ad immaginare la Chiesa come un immenso "ospedale da campo" in grado di lenire le crescenti sofferenze e disuguaglianze che il mondo moderno sta producendo, e che la tragedia di Lampedusa ci ha rappresentato in modo così angosciante.

E, allora, per tornare alle nostre più modeste vicende mi pare essenziale un passaggio del documento di Cuperlo quando scrive: "Non sei più credibile quando stemperi le tue ragioni. Sei più forte quando la radicalità degli obiettivi ti consente di chiamare per nome la parte che vuoi contribuire a emancipare. Parlare a tutti. Ma parlare la nostra lingua. Perché scegliere e dire chi sei non è una rinuncia, è una scommessa. Non è ritrarsi ma proporsi. Non è dividere ma offrire un terreno dove rifondare l’unità del Paese."

Ecco, a me pare questa una differenza fondamentale rispetto a Renzi che mi fa dire che la vera innovazione, su cui rifondare il Pd, è lungo questa strada. Per questo abbiamo bisogno di uno strumento del nostro "stare insieme" che torni a coltivare confronto e a produrre scelte e non più solo dedito a chiamare una volta l'anno i suoi militanti a "votare": abbiamo bisogno, cioè, di un partito che divenga quella sorta di "agenzia per la promozione di idee" di cui parla Fabrizio Barca.

Una proposta ben più impegnativa ma anche più utile alla democrazia italiana di una idea di partito ridotto ad un mero comitato elettorale, utile per comporre liste e fare campagne elettorali, chiuso durante il resto del tempo. Un partito "destrutturato", lo definirebbe Pietro Ignazi, in cui sul territorio vi sarebbero, citazione sempre di Ignazi, "sedi periferiche di una struttura centrale che possiede un brand (vedi il leader di turno) e lo cede a imprenditori politici locali i quali possono sfruttarlo con grande libertà".

Mai definizione fu più attuale anche rispetto a quel che accade in tanta parte del nostro paese e anche nel nostro territorio, con tanti epigoni del "renzismo" della seconda ora (che, peraltro, non fanno un buon servigio all'originale) impegnati più a costruire rendite di posizione personali con in mente la matematica, una specie di computo metrico del consenso, e del tutto indifferenti alla proposta politica e alle idee per il Paese. Ma su questo e su tante altre differenze su cui misurare la qualità della contesa nel prossimo congresso del Pd torneremo ancora.

 

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