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Intervento/ "Ripartire da un congresso"

Ho sostenuto con convinzione la candidatura di Matteo Renzi alle primarie del centrosinistra. Ero convinto che la figura del sindaco di Firenze fosse l’unica in grado di poter intercettare quel fortissimo vento di cambiamento che da tempo ormai attraversava l’intero Paese. Un sentimento rispetto al quale anche il nostro elettorato era tutt’altro che estraneo. Ritenevo la candidatura di Bersani una continuità troppo evidente e pesante con il passato. Elementi, entrambi, che ben si sono sviluppati lungo l’avvincente campagna per le primarie.

Ho sostenuto con convinzione la candidatura di Matteo Renzi alle primarie del centrosinistra.  Ero convinto che la figura del sindaco di Firenze fosse l’unica in grado di poter intercettare quel fortissimo vento di cambiamento che da tempo ormai attraversava l’intero Paese. Un sentimento rispetto al quale anche il nostro elettorato era tutt’altro che estraneo. Ritenevo la candidatura di Bersani una continuità troppo evidente e pesante con il passato. Elementi, entrambi, che ben si sono sviluppati lungo l’avvincente campagna per le primarie.

Con Bersani si è schierato gran parte del gruppo dirigente del Partito democratico, da Bolzano a Brindisi. Accanto a Renzi, al contrario, si è ritrovata una folta pattuglia di militanti e semplici cittadini, i “senza tessera”. La “rottamazione” del gruppo dirigente alla guida del Pd, concetto base della proposta di Renzi, unitamente ad una proposta programmatica imperniata sull’idea di cambiamento rispetto all’approccio ad una moltitudine di problemi, e conseguenti ricette offerte dal Pd, ha consentito di stimolare l’interesse, presto trasformatosi in entusiasmo e genuina partecipazione, di una parte del Paese da sempre diffidente rispetto al campo riformista, al centrosinistra. Le primarie le ha vinte Bersani. La difesa d’interessi consolidati ha avuto la meglio sull’idea che quegli interessi andavano al contrario smantellati in virtù di una proposta politica di più ampio respiro, più coraggiosa e dunque rischiosa. La delusione per la sconfitta delle primarie è stata accettata con lealtà, la stessa lealtà che ci ha visti impegnati durante la campagna elettorale accanto a Pierluigi Bersani.

Abbiamo perso, tutti assieme , l’elezioni. Chiedersi oggi se con Renzi le cose sarebbero andate in modo diverso è un esercizio al quale mi sottraggo serenamente. E’ evidente, tuttavia, che il Partito democratico ha pagato un prezzo altissimo per non aver compreso sino in fondo quanto potente fosse la richiesta di cambiamento degli italiani. In Puglia, che più di ogni altra regione del Mezzogiorno ha elaborato e sostenuto in questi anni le spinte d’innovazione proposte dal centrosinistra, si è perso e si è perso male. In Puglia un centrosinistra spavaldo si è presentato al cospetto degli elettori mostrando meccanismi e consuetudini vecchie ormai di trent’anni. Il consenso è automaticamente crollato.

Dunque, da dove ripartire? Sarebbe troppo semplice, oltre che fuorviante, rispondere con il nome ed il cognome del sindaco di Firenze. Un uomo non basta, lo abbiamo ripetuto per anni criticando Berlusconi ed il berlusconismo. Così come non può bastare la richiesta di dimissioni dei gruppi dirigenti, come se una tale operazione possa essere sufficiente a rilanciare la credibilità del Partito democratico, tanto più se tali richieste provengono da gruppi di potere consolidati e tutt’altro che estranei alle logiche ed alle dinamiche che hanno governato sino ad ora la vita interna del Pd. Occorre ben altro.

E’ necessario avviare per davvero il processo di costruzione di una nuova classe dirigente. Un processo libero dai consolidati meccanismi di cooptazione ed aperto alle competenze ed alle energie di coloro che in questi anni sono stati respinti all’uscio perché magari espressione di pezzi di società non collaterali al partito stesso. Tale processo può certamente essere avviato attraverso lo svolgimento di un congresso straordinario che tuttavia non potrà essere ricondotto alle vecchie logiche spartitorie che da sempre governano la vita del Pd, anche in terra di Brindisi. Così come da un simile momento di confronto non potrà esimersi chi rappresenta il Partito democratico nelle istituzioni.

Insomma deve esser chiaro sin da ora che se la strada che il Pd vorrà intraprendere sarà quella del vero cambiamento, nessuno, a nessun livello, potrà ritenersi escluso. Occorre dunque avere coraggio nelle scelte che dovranno essere compiute da qui a breve, con la consapevolezza che è necessario, innanzitutto, tornare a fare quello che un partito di sinistra dovrebbe avere come primo impegno: occuparsi dei più deboli, degli emarginati, degli ultimi. Chiediamoci se in questi anni il centrosinistra lo ha fatto. Una volta data la risposta avremo già compiuto un passo decisivo verso quell’orizzonte di cambiamento e di progresso che condividiamo tutti noi democratici, da Brindisi a Bolzano.

*ex assessore provinciale Pd

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