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La Regione Salento? E'il momento di grandi ambizioni e non di sogni minoritari

Comincia con questo articolo la collaborazione con BrindisiReport.it di Peppino Caldarola, uno dei notisti e commentatori politici italiani più apprezzati e attenti. Attuale editorialista del quotidiano "Il Riformista", Caldarola è stato direttore de "L'Unità" dal 1996 al 1998, deputato dal 2001 al 2008, ed è un profondo conoscitore delle vicende sociali, economiche e culturali della Puglia. di Peppino Caldarola Smetteremo di chiamarci pugliesi? La sola prospettiva che questo possa accadere mi atterrisce. La proposta di creare una regione salentina cade in un periodo, che dura ormai da molti anni e che mi auguro non finisca mai, in cui la Puglia è diventata un brand di fama mondiale. Non c’è estate in cui non si scopra che un nuovo amico ha deciso di fare le vacanze nella nostra regione, sono tanti in diverse città italiane i ristoranti che si esercitano nella cucina pugliese, nelle librerie gli autori pugliesi sono in cima alle vendite, nel mondo dello spettacolo molti artisti esibiscono dialetti e cadenze delle nostre parti.

Comincia con questo articolo la collaborazione con BrindisiReport.it di Peppino Caldarola, uno dei notisti e commentatori politici italiani più apprezzati e attenti. Attuale editorialista del quotidiano "Il Riformista", Caldarola è stato direttore de "L'Unità" dal 1996 al 1998, deputato dal 2001 al 2008, ed è un profondo conoscitore delle vicende sociali, economiche e culturali della Puglia.

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di Peppino Caldarola

Smetteremo di chiamarci pugliesi?  La sola prospettiva che questo possa accadere mi atterrisce. La proposta di creare una regione salentina cade in un periodo, che dura ormai da molti anni e che mi auguro non finisca mai, in cui la Puglia è diventata un brand di fama mondiale. Non c’è estate in cui non si scopra che un nuovo amico ha deciso di fare le vacanze nella nostra regione, sono tanti in diverse città italiane i ristoranti che si esercitano nella cucina pugliese, nelle librerie gli autori pugliesi sono in cima alle vendite, nel mondo dello spettacolo molti artisti esibiscono dialetti e cadenze delle nostre parti.

La Puglia è di moda. Buona parte di questa popolarità, ma non tutta, viene dal Salento. Un territorio splendido e la buona accoglienza hanno fatto di quest’area qualcosa di più di un’espressione geografica. Parliamo di un popolo che ha le sue tradizioni e coltiva le proprie ambizioni. Il miracolo salentino ha già rovesciato culturalmente l’asse Bari-centrico della regione. Se pensiamo a questi decenni di storia repubblicana il cambiamento è stato straordinario.  Nella nuova Italia uscita dal fascismo la centralità di Bari è sempre stata indiscussa.  Il granaio foggiano e la capitale commerciale esaurivano l’immaginario collettivo.

Anche nella storia del movimento operaio l’asse urbano-bracciantile non varcava i confini della Puglia del Nord. C’era Taranto a contendere il primato con i suoi operai, il suo porto e la sua vocazione militare ma il resto della regione sembrava sonnacchiosa e marginale. Poi vennero le grandi cattedrali industriali che modificarono il panorama fisico e demografico. L’asse nordista della Puglia si spostò più a Sud. Lecce completò questa rivoluzione con lo sviluppo di una università che tolse a Bari lo scettro e con una trasformazione, in particolare nelle campagne, che  lo catapultò nell’epoca moderna.

Sono stati processi grandiosi che hanno provocato nuove ferite e creato nuove contraddizioni ma assolutamente in controtendenza rispetto al resto del Mezzogiorno. L’eccezione pugliese è stata scoperta da giornalisti, sociologi, economisti, critici del costume. Persino la politica ha scoperto l’esistenza di un laboratorio pugliese così diverso dal trasformismo meridionale. Paradossalmente a mano a mano che emergevano tante soggettività le Puglie diventavano sempre più la Puglia. Non eravamo uniti dall’isolanità che contraddistingue la Sicilia, non eravamo vincolati dalla forza attrattiva di un grande polo culturale e urbano come  Napoli in Campania, non ci eravamo digregati come la Calabria che paga tuttora il prezzo della dissennata rivolta di Reggio del ’70. Tutto ciò ha dato alla Puglia una forza e una immagine inedite. Ha persino unificato noi pugliesi che viviamo lontano.

Quello che cerco di descrivere non è un fenomeno di omologazione che nasconde le differenze, semmai il suo contrario. Capita a noi pugliesi di vivere una stagione unitaria proprio mentre si esaltano le differenze e nessuna gens pugliese prevale sull’altra. Lascio agli economisti la difficile fatica di indicare le proposte per dare prospettive ai diversi territori e per riequilibrare ciò che il processo storico ha reso ingiusto. Resta il dato della nascita di un nuovo protagonismo pugliese che non possiamo disperdere. E’ per questo che penso che la proposta di istituire la regione Salento faccia soprattutto male ai salentini.

Soprattutto perché divide ciò che il processo storico ha unito, perché produce nuove divisioni (perché Taranto o Brindisi devono accettare la guida leccese?), perché indebolisce mentre le tendenza è verso la creazioni di aggregati forti che diano spazio a vivaci realtà più piccole. Se il federalismo sarà una buona cosa la Puglia ha bisogno di restare unita, se si rivelerà un drammatico errore a maggior ragione dal disastro usciremo meglio se la Puglia non avrà perso la forza che deriva dall’intrigo dei suoi legami.

Capisco le ragioni di chi oppone a questo considerazioni il dossier sull’eccessivo predominio dei baresi. Sono barese di famiglia tarantina e mi hanno sempre infastidito le mire egemoniche dei miei concittadini. Ma è fondato questo sentimento che spinge verso la secessione, non esprime piuttosto una cultura della sconfitta proprio nel momento in cui il concetto di pugliesità si è allargato in modo così impetuoso? Ci sono troppi cattivi maestri che spingono le nostre comunità a guardare all’indietro, al sogno delle piccole patrie invece che alla apertura coraggiosa verso nuovi mondi e nuove culture.

La straordinarietà culturale del Mezzogiorno che i leghisti non comprenderanno mai sta proprio nel fatto che nel periodo storico peggiore per il Sud, l’identità meridionale viene percepita come un valore da gran parte della nostra gente anche al Nord. La politica non l’ha ancora capito ma azzardo l’ipotesi che presto si affaccerà sulla scena nazionale   una nuova protesta meridionale che cerca solo di essere canalizzata e soprattutto di non cadere preda del ribellismo. Il Salento deve guardare al Sud non al proprio ombelico. Deve tendere il braccio verso l’altra sponda dell’Adriatico invece di impegnarsi nel braccio di ferro con Bari. E’ il momento delle grandi ambizioni non dei sogni minoritari.

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