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Venerdì, 19 Aprile 2024
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La sconfitta del Pd, un solenne e salutare ceffone

Il turno di ballottaggio di domenica 19 giugno per l’elezione dei sindaci delle 4 più grandi città italiane (Roma, Milano, Napoli, Torino) ed in altre importanti città capoluoghi di regione (Bologna e Trieste) e capoluoghi di provincia, ci consegna un dato elettorale che se derubricato semplicemente come elezione del governo locale, si commetterebbe un enorme errore di valutazione

Il turno di ballottaggio di domenica 19 giugno per l’elezione dei sindaci delle 4 più grandi città italiane (Roma, Milano, Napoli, Torino) ed in altre importanti città capoluoghi di regione (Bologna e Trieste) e capoluoghi di provincia, ci consegna un dato elettorale che se derubricato semplicemente come elezione del governo locale, si commetterebbe un enorme errore di valutazione. Soprattutto da parte del governo nazionale e dal suo maggior partito, il PD.

Queste elezioni, che gli americani definirebbero mid-term, cioè di medio termine, di metà mandato, ci dicono che Renzi e il PD sono lontanissimi da quel 40,82% delle elezioni europee del 2014. Non tanto in termini numerici, come è ovvio che sia, visto la parcellizzazione del voto per le elezioni comunali, ma quanto in termini di capacità di attrazione svanita, di aspettative deluse, di fumose ed arruffate riforme, che pure servono al Paese.

Tutto questo svilendo il popolo originario del PD che poi altro non era che il centrosinistra. Come dice Enrico Rossi, Presidente della Toscana, “il PD ha perso la connessione con una parte importante del suo popolo. Occorre unità, umiltà e ascolto della nostra gente per costruire insieme il cambiamento che è necessario.” E l’orizzonte non sono le elezioni politiche di primavera 2018, dove ci sarebbe il tempo per tentare di ricucire lo strappo, dirò come più avanti, bensì il referendum confermativo delle riforme costituzionali che si terrà nei primi giorni di ottobre.

Con un approccio totalmente sbagliato nel metodo, Renzi sta trasformando l’appuntamento di ottobre da referendum sulle riforme, pasticciate quanto si vuole, ma che servono al paese, a referendum su stesso. e lo fa con quel piglio di guascone che gli è congeniale, che se attrattivo nei primi mesi di governo arrivando a quel famoso 40,82 % di maggio 2014, alla lunga stanca e coagula nel fronte opposto sentimenti tra loro lontani, almeno apparentemente, con i risultati, quelli di domenica 19, che sono sotto gli occhi di tutti.

A Roma e Torino le candidate del M5S raccolgono voti al di la di ogni più rosea aspettativa, grazie all’appello di Salvini e Borghezio, Meloni e La Russa, Brunetta con tutta FI e da tutti i vari rappresentanti della sinistra oltre il PD, massimizzando quell’antico proverbio cinese il nemico del mio nemico è mio amico.

Roma e Torino, ma anche Bologna dove il centrosinistra vince ma non stravince, rappresentano quello che potrebbe succedere ad ottobre: tutte le forze politiche contrarie al PD e ai suoi piccoli satelliti di governo, si coalizzano e colpiscono duro, sotto la cintola.

Non so se al Governo e al PD basterà un’estate per capovolgere la situazione. Io la vedo difficile.

Milano e soprattutto Napoli, dove il PD non gioca da tanto tempo, contribuiscono non poco a questa situazione. A Milano, dove il centrosinistra quasi unito vince grazie allo straordinario quinquennio Pisapia, c’è il più forte centrodestra d’Italia. A Napoli, dove si registra l’affluenza più bassa, stravince “Masaniello” De Magistris alfiere della sinistra oltre il PD.

E se, come i ballottaggi lasciano presagire, ad ottobre vince il NO, per Renzi, il suo Governo e il PD, al di là se si dimette o no, la strada per il Governo a 5 Stelle sarebbe segnata. E questo per un semplice dato di fatto. Domenica 19 giugno il M5S ha vinto tutti o quasi  i ballottaggi, 18 su 19, senza bisogno di apparentamenti formali ma anche grazie ad apparentamenti sostanziali per le ragioni prima espresse. Viceversa dove non era presente ai ballottaggi il candidato concorrente al centrosinistra non vince, vedi Milano, Bologna, Caserta, Varese. Quindi M5S si afferma come forza attrattiva del dissenso a Renzi e al PD.

Ora, prevedendo la riforma elettorale, in caso di non raggiungimento del 40% dei voti da parte di nessuna delle forze in campo, il ballottaggio tra le due formazioni politiche più votate ed essendo queste verosimilmente PD e M5S, il risultato finale sarebbe scritto o quasi.

Quindi cosa deve fare il PD? 1) cambiare la riforma elettorale prevedendo il ballottaggio di coalizione; 2) abbandonare l’idea perdente, già messa in campo da Veltroni nel 2008, di correre da soli come in un sistema maggioritario puro e secco; 3) coprirsi la testa di cenere e con umiltà riconnettersi con il popolo di centrosinistra.

Per fare quest’ultime due cose c’è bisogno di un congresso vero, con tesi e mozioni, che duri il tempo necessario e non solo una domenica. Il congresso è già stato annunciato e si terrà verosimilmente il prossimo anno, speriamo non più tardi della primavera, anche se sarebbe urgente e necessario farlo prima del referendum di ottobre. Nel frattempo l’umiltà di cui dicevo prima  si cominci ad esercitarla, magari cominciando a spiegare la pasticciata riforma costituzionale, ammettendo errori e supponenza, facendo capire che il superamento del bicameralismo perfetto serve a modernizzare il paese, così come il cambio di rapporti tra Stato e Regioni, quest’ultime a volte veri Stati concorrenti, o il superamento delle Province. Lungo e faticoso è il cammino, ma prima lo si incomincia e meglio è.

Veniamo a Brindisi. Visti i risultati del ballottaggio dove la Carluccio raccoglie 2.926 voti in più rispetto al primo turno e Marino ne prende 1.332 in meno rispetto al primo turno, quando già si era verificata una differenza di 2.540 voti tra lui e la coalizione, tutto lascia presupporre che anche a Brindisi si sia verificata la stessa cosa successa a livello nazionale, con una aggravante: si votava anche contro Emiliano che aveva di fatto imposto Marino candidato sindaco e definito, 5 giorni prima del ballottaggio,  alcuni cittadini brindisini “criminali”!. Lui dice che conosce e ama questa città. A primo acchito sembra di no.  

Laddove in Puglia il candidato del centrosinistra è stato scelto dalle primarie, ha vinto, come Francesco Zaccaria a Fasano che partiva in svantaggio. L’imposizione, su cui gli avversari tutti hanno impostato la loro campagna elettorale, alla fine ha fatto sì che i brindisini che si sono recati alle urne, premiassero Carluccio, dimenticando che la stessa era sostenuta da quasi tutti gli esponenti, sicuramente i più importanti, della ex maggioranza della consiliatura traumaticamente finita il 6 febbraio con l’arresto di Consales. Esponenti, non solo loro, che hanno aumentato il costo della TARI a fronte di un servizio pessimo. Consiliatura che ha visto la presenza quasi giornaliera negli uffici comunali per oltre due anni delle varie forze investigative, segno di fascicoli aperti da parte della Procura della Repubblica che riguardano PUG, Mensa, rifiuti, appalti e che paiono lontani dalla chiusura.

Ma non c’è solo la colpa originaria di Emiliano e di chi ha eseguito i suoi ordini. Siamo stati leali e generosi con Marino, persona seria, onesta e innamorato della sua città, perché una volta deciso che era lui il nostro candidato sindaco era giusto così. Ma è stata una fatica immensa convincere i “compagni” che bisognava votare la lista del PD e i suoi candidati e Marino. Non sempre ci siamo riusciti. E si è visto con il risultato del primo turno. Ci si aspettava quindi al ballottaggio un appello, un segnale di forte discontinuità con le pratiche del passato, un’iniziativa politica per recuperare quei voti e di tanti altri che avevano votato per Rossi e Alparone, come aveva consigliato Dipietrangelo giovedì 9 giugno nell’articolo “Ora Marino convinca la sinistra che non ha votato per lui”.

Perché non sono stati indicati tre assessori di fiducia di Marino nei posti chiave della prossima giunta, cioè Bilancio, Ambiente e Urbanistica scegliendo personalità al di fuori del recinto classico dei partiti e che avessero una chiara connotazione ambientalista, che fossero portatori di politiche urbanistiche senza consumo di suolo e riqualificazione dell’esistente, che non fossero solo “ragionieri” o “commercialisti” ma sapessero governare bene la città con il bilancio? Se, e dico se, ha avuto quest’idea o gli è stata consigliata, cosa o chi ha frenato Marino?

Invece l’unica iniziativa politica è stata fatta dalla Carluccio, chiamando a garante della legalità dell’azione governativa Michele Errico. E lo abbiamo preso pure in giro! Anche qui a Brindisi vale per il PD locale lo stesso ragionamento fatto per il PD nazionale: umiltà e riconnessione con il popolo di centrosinistra tutto. Per fare questo serve un ricambio totale e generazionale della classe dirigente, ex, visto che siamo commissariati, stabilire cosa vogliamo essere, chi vogliamo rappresentare e con chi stringere alleanze.

Per me la strada è quella che scrissi all'indomani della fine traumatica della consiliatura e che ripetetti nella prima assemblea degli iscritti quando ci facevano ragionare sull'individuazione del candidato sindaco, senza  sapere che avevano già deciso.

Il PD a Brindisi, come in Italia, deve guardare necessariamente alla sua sinistra, che nel frattempo è diventata grande uguale, deve guardare a tutta quella galassia di partiti, associazioni e movimenti, che in questa tornata elettorale si sono ritrovati quasi tutti nella coalizione Brindisi Smart a sostegno di Riccardo Rossi sindaco; ma non solo, penso al movimento SI' Democrazia di Roberto Fusco, ai tanti apolidi di sinistra che alla fine hanno scelto M5S, all’associazionismo cattolico, alle tante forme di volontariato, ecc.

E lo deve fare con profonda umiltà recidendo tutti i legami con un passato dubbio e ancora presente nella lista. E anche se Rossi, Brindisi Bene Comune, Sinistra per Brindisi hanno più volte dichiarato che con questo PD non vogliono avere a che fare, noi dobbiamo cambiare totalmente e cominciare a trovare punti di incontro su un terreno che già ci vide insieme protagonisti nel 2004 con la Presidenza alla Provincia di Errico.

Sta a noi cambiare. “Il PD è identificato con il sistema di potere. Ma per essere il cambiamento occorrono politiche serie a favore dei più poveri e dei disoccupati, dei pensionati al minimo, dei lavoratori e dei ceti medi e bassi, contro i privilegi, l’evasione fiscale, le enormi disparità sociali e per una giusta distribuzione della ricchezza. Altrimenti la sinistra perde l’anima…e pure i voti”. Sta a noi cambiare. Perché come diceva Berlinguer “ci si salva e si va avanti se si agisce insieme e non solo uno per uno.”

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