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Venerdì, 19 Aprile 2024
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Ostuni, Gino e quel Lucio Magri lì

Tra le righe di un breve racconto, l’affettuoso ricordo di Lucio Magri a firma di Renato Quaranta (scrittore, autore de Il Bello della Sinistra – Manni Editori). “Magri, tu devi ancora imparare che in politica c’è bisogno del coraggio della banalità”. Attribuita ad Enrico Berlinguer da Perry Anderson, sul Manifesto del 1 dicembre 2011 Siamo a Ostuni, agli inizi del 1983, a pochi mesi dalle elezioni politiche e amministrative. Anche qui, come nel resto d’Italia, il PdUP avrebbe partecipato alle elezioni comunali candidando suoi esponenti nelle liste del PCI. E io militavo nel PdUP, il Partito di Unità Proletaria per il Comunismo. Scusate se è poco.

Tra le righe di un breve racconto, l’affettuoso ricordo di Lucio Magri a firma di Renato Quaranta (scrittore, autore de Il Bello della Sinistra – Manni Editori).

“Magri, tu devi ancora imparare che in politica c’è bisogno del coraggio della banalità”. Attribuita ad Enrico Berlinguer da Perry Anderson, sul Manifesto del 1 dicembre 2011

I

Siamo a Ostuni, agli inizi del 1983, a pochi mesi dalle elezioni politiche e amministrative. Anche qui, come nel resto d’Italia, il PdUP  avrebbe partecipato alle elezioni comunali candidando suoi esponenti nelle liste del PCI. E io militavo nel PdUP, il Partito di Unità Proletaria per il Comunismo. Scusate se è poco.

Pietro[i], che del PdUP era il segretario regionale, mi voleva bene e mi faceva svolgere il ruolo di coordinatore cittadino. In quegli anni Pietro insegnava a Ostuni e dopo le undici, quando aveva terminato le sue ore di lezione, mi telefonava e ci incontravamo al Bar Blu Night per prendere un cappuccino e parlare del partito.

Ragionavamo su chi poteva essere il nostro candidato nelle liste del PCI. Ormai eravamo rimasti in pochi, decimati dal riflusso, dalla fuga dei cervelli e dalle divergenze delle idee. Sgombravo subito il campo dalla mia persona, spiegandogli che io ero fuori concorso. Che dovevo laurearmi, che stavo indietro con gli esami, che non avevo il fisico del ruolo, che non mi stavo sentendo bene e che dovevo lasciarlo perché avevo da fare. Tutte le volte che Pietro o altri compagni facevano il mio nome, reagivo sempre così. Li piantavo con la brioche in bocca e me ne andavo. Tuttavia sentendo su di me la responsabilità del partito, dovevo pur avanzare una proposta alternativa. E così feci: «Noi abbiamo solo un compagno che può farcela: Gino[ii]

Da qualche anno Gino si era trasferito con sua moglie Antonietta a Monteiasi, un eremo a pochi chilometri da Taranto, dove faceva il capo stazione e dove, fra un espresso e un accelerato, aveva ripreso a studiare filosofia. Dopo l’ubriacatura degli anni 70, l’ultima cosa che gli passava per il cervello era tornare a fare politica. Quando ci recammo in missione a Monteiasi per comunicargli che “il partito” aveva deciso la fine delle sue “vacanze” e il suo ritorno alla politica attiva, ci prese a male parole. Era in preda a una regressione intimista di rara gravità. Io gli parlavo di sfide epocali, dell’offensiva reazionaria,  di Reagan e della Thatcher, e lui rispondeva mostrandomi l’orto che aveva piantato dietro la stazione.

Io sostenevo la necessità di presidiare le istituzioni a tutti i livelli e lui replicava dicendo che gli bastava presidiare il casello ferroviario. Io attaccavo con la dialettica di classe, lui mi disarmava con la poetica del binario. Io insistevo e lui bestemmiava. Ci cacciò via, ma come sempre prima ci fece mangiare da dio. Fosse solo per quello, noi una coppia di compagni così dovevamo farla rientrare nel giro. E poi il partito aveva deciso. E quando c’è una decisione collettiva, non c’è più spazio per le indecisioni individuali. Negli anni ‘70 era una regola che valeva per tutti, negli anni ‘80 sarebbe valsa solo per lui. Fu la prima norma ad personam varata nella storia politica del nostro paese. E Gino e Antonietta, un mese dopo, si ritrasferirono a Ostuni.

II

Arrivò giugno e mancavano pochi giorni alla chiusura della campagna elettorale. A Ostuni ci eravamo difesi bene, nei comizi del PCI. Gino era un bravo oratore e aveva fatto la sua porca figura, ma ci mancava il colpo di reni, lo scatto finale. L’occasione ci venne offerta su un piatto d’argento: Magri era a Bari per chiudere con D’Alema la campagna elettorale.  Ebbi un’idea: intervistarlo al fianco di Gino. Lucio e Gino, insieme. Due paroline ben dette sul nostro candidato di fronte a una telecamera sarebbero state la ciliegina sulla torta della nostra campagna elettorale. Conoscevo il fascino che Magri esercitava sui compagni e le compagne (di più) del PCI e a noi le loro preferenze servivano come il pane. Il mio intento era trasferire fascino dall’uno all’altro. Un’osmosi di carisma che, se pure non fosse accaduta, male non avrebbe fatto: alla fine ognuno sarebbe rimasto col suo, di fascino. E pazienza.

Con i compagni di Bari avevo concordato di intervistare Magri in albergo. Come sempre, prima organizzai tutto e poi avvisai Gino, che naturalmente era contrario. Gino in quel periodo era contrario a tutto. Tuttavia era responsabile e si fidava di me: «Va beh, va beh, sciàme... ». Primo intoppo. Tele Radio Città Bianca non aveva nessuna intenzione di inviare a Bari la sua troupe. Tuttavia, se avessimo provveduto noi al trasporto e alle riprese ci avrebbero assicurato la messa in onda dell’intervista. Breve telefonata a Peppino, compagno dalla generosità e dalla disponibilità infinite, che aveva appena acquistato una fiammante BMW e una telecamera Sony di nuovissima generazione e via. Prima a casa di Gino e poi un collaboratore di Tele Radio Città Bianca, che si offrì come intervistatore “terzo”. Nel giro di un’ora eravamo a Bari, nella hall dell’albergo che ospitava Lucio Magri. Scegliemmo il “set”, posizionammo il cavalletto e aspettammo il nostro leader.

Magri scese dalle scale dell’albergo di lì a poco. Alto, capelli argentati e folti, occhi azzurri, abbronzato, elegantissimo. Sembrava un divo di Hollywood, più che un politico e men che meno un “comunista”. Mi avvicinai con una certa soggezione e gli spiegai che si trattava di un’intervista per un’emittente locale di Ostuni e che andava fatta insieme al nostro candidato. «Sei tu? » mi chiese, corrucciando la fronte. Avevo più di vent’anni, allora, ma sembravo un ragazzino. «No, è quello coi baffi» risposi, indicando  Gino che lo aspettava sul divanetto dell’albergo, insieme all’intervistatore. Magri si accese una sigaretta e disse: «Andiamo». Avevo dato all’uomo di Tele Radio Città Bianca indicazioni precise: si parte dalla situazione internazionale, l’America, l’Europa, poi si passa all’Italia, breve flash sulla politica interna e poi giù, diretto su Ostuni. Vai.

Tutto filò liscio fino alla domanda fatale, che ingenuamente suggerii all’incauto intervistatore: «Onorevole Magri, anche a Ostuni il PdUP si presenta alle elezioni comunali con un suo candidato. Cosa può dirci di questa candidatura? ». La risposta di Magri fu un capolavoro: «Senta … per favore … io non faccio il venditore di lamette. Non conosco la situazione politica di Ostuni e non conosco il candidato …». Gino impallidì. L’intervistatore mi guardò basito, come a dire: «Che faccio?».  Gli feci cenno di chiudere, anche perché dentro di me - ripensando alla storia del trasferimento di fascino - stava montando un’irrefrenabile risata.

Dovemmo rientrare a Ostuni senza ascoltare il comizio di Magri, perché Gino si arrabbiò molto e ci fece sbaraccare in tutta fretta. Era offeso e non volle restare a Bari un minuto di più. Prima di andar via, chiesi ai compagni di Bari di poter salutare Magri. E lui, senza nessuna indulgenza: «Va bene la propaganda, va bene la campagna elettorale, va bene tutto, ma insomma …».  Cercai di discolparmi, scaricando la responsabilità sull’incolpevole intervistatore, che in effetti lavorava per Tele Radio Città Bianca, ma faceva il dj, non il giornalista.  E quando parlava nel microfono, sembrava che stesse lanciando brani musicali, più che porre domande. In macchina arrivò il turno di Gino, che me la fece pagare a suon di urla, parolacce e vaffanculo.  A me e a Magri.

Pochi giorni dopo, Gino fu eletto nel consiglio comunale di Ostuni nelle liste del PCI. Un anno dopo moriva Berlinguer. Nel 1985 Magri riportò il PduP nel PCI, per uscirsene nuovamente agli inizi degli anni 90, aderendo a Rifondazione Comunista, da cui a sua volta venne fuori nel 1995 per appoggiare il governo Dini. Intanto la politica aveva iniziato il suo lungo e inesorabile cammino involutivo. E da passione ideale, ricerca, analisi, progetto di vita, si trasformava sempre più in banalità, finzione, pubblicità, spettacolo. Fino a diventare quell’offesa all’intelligenza che è la politica di questi ultimi anni. Tutto il contrario di quel Lucio Magri lì, che della politica come “intelligenza della realtà” era uno degli esponenti più luminosi. E che con la politica di oggi non c’entrava niente.

Per fortuna sua e della sua bella storia.

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