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Venerdì, 29 Marzo 2024
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"Proclami antimafia, silenzio su rapine e furti"

BRINDISI - Riceviamo e pubblichiamo, sul tema dell'ordine pubblico a Brindisi, il seguente intervento inviatoci dall'avvocato Massimo Ciullo, ex assessore comunale nelle giunte Mennitti. Ciullo accusa soprattutto l'attuale sindaco, ma in generale il centrosinistra.

BRINDISI - Riceviamo e pubblichiamo, sul tema dell'ordine pubblico a Brindisi, il seguente intervento inviatoci dall'avvocato Massimo Ciullo, ex assessore comunale nelle giunte Mennitti. Ciullo accusa soprattutto l'attuale sindaco, ma in generale il centrosinistra, di "perdersi" dietro mobilitazioni antimafia propagandistiche piuttosto che affrontare il tema quotidiano della sicurezza.

Per dovere di cronaca, va rilevato che la bandiera della lotta antimafia è stata opposta e sovrapposta alle elementari esigenze dell'apparato locale delle forze dell'ordine, impoverito e sottodimensionato in uomini e mezzi (come dimostra il fatto che la questura di Brindisi quasi sempre può mettere in servizio una sola volante per turno), anche ai tempi recenti in cui sottosegretari di centrodestra venivano a Brindisi a dire che gli organici erano invece perfettamente equilibrati e sufficienti.

Forse più che di colpe personali, bisogna parlare di inadeguatezza generale della politica a Brindisi. Le forze dell'ordine, con ciò che passa il convento, qui fanno il possibile e anche oltre. Se non riescono a coprire tutto, non è colpa certo di chi sta in prima linea. Ma ecco l'intervento di Ciullo.

Era il 19 maggio 2012. In una Piazza Vittoria affollatissima, Mimmo Consales, per la prima volta da sindaco, parlava ad una città sgomenta per il grave attentato alla scuola Morvillo-Falcone. Mentre la folla invitava politici e vescovo a tacere e a scendere dal palco, il sindaco gridò che bisognava restare uniti, invocò la cultura della legalità e concluse che non bisognava aver paura perché la criminalità non avrebbe mai più messo le mani sulla città.

Oltre ai singoli cittadini non inquadrati, c’erano tutti, senza bandiere: rappresentanti di forze politiche, sindacalisti, studenti politicizzati, ambientalisti. Naturalmente c’era anche Niki Vendola che, non potendo sfuggire alla tipica retorica che gli appartiene, richiamò la “coscienza civile e democratica di Brindisi”. Giunse anche un pensiero dell’autore di Gomorra, Roberto Saviano: “molti sono concordi su sacra Corona Unita”. Considerazione appropriata al personaggio. Ed infine assessori e sindaco, appositamente riuniti in giunta, indissero tre giorni di lutto cittadino.

La scenografia, per quanto spontanea e genuina, si rivelò molto simile a quelle già viste in occasione delle mobilitazioni antimafia. Mancavano però le fasce tricolori. Ognuno si era alleggerito dai paramenti istituzionali, sempre meno graditi ai cittadini arrabbiati. Tuttavia, il copione era quello monotono: società e istituzioni marciano uniti, fanno massa contro il nemico comune, la mafia, la criminalità organizzata, cioè quel corpo estraneo alla Stato e alla società, quei gruppi umani che vivono di leggi proprie, che sono in mezzo a noi ma sono diversi da noi.

Ancora una volta la mitologia dell’antimafia con i suoi martiri e i suoi eroi, ultimo baluardo di un’Italia profondamente in crisi, era salva. Il responsabile dell’attentato, Angelo Vantaggiato, fu individuato successivamente: era estraneo a Scu e mafie varie. Insomma, la mafia non c’entrava. Da allora, sono trascorsi quasi due anni. La città ha visto susseguirsi un numero senza precedenti di furti, furti in appartamento, rapine, incendi di auto, spaccate a negozi e banche. Negli ultimi mesi il numero delle rapine a mano armata ha raggiunto la media di una ogni due giorni.

Una delle ultime, davanti a Palazzo di Città, nel cuore amministrativo e storico di Brindisi, ha colpito le Assicurazioni Generali, seminando il terrore fra i dipendenti. Ancora una volta la mafia non c’entra. Oggi, molto più che il 19 maggio 2012, la città ha paura. Le persone temono per la loro incolumità nel luogo che dovrebbe essere il più sereno: la casa; guardano l’orologio per recarsi a fare la spesa, optando per l’apertura degli esercizi commerciali piuttosto che per l’orario in prossimità della chiusura; i negozianti, svuotano continuamente la cassa, man mano che si susseguono gli acquisti.

Tutto questo avviene nel silenzio più assordante delle istituzioni, dei sindacati e delle associazioni che per mobilitarsi, per convocare un consiglio comunale sull’ordine pubblico, per farsi sentire vicini ai cittadini, per solidarizzare con le Forze dell’Ordine e con la Magistratura, hanno bisogno di leggere il nome “mafia” sul volto del criminale. Nel momento in cui la criminalità non ha il marchio della “bestia”, non si chiama Sacra Corona Unita, Camorra o Mafia, il sistema va in corto circuito.

Come farebbero i sindacati, Caritas e associazioni varie di volontariato a uscire dall’empasse o meglio dalla contraddizione del giustificazionismo sociale del quale si sono nutriti ergendolo a bandiera ideologica? Come potrebbe un’amministrazione comunale, che per diversi suoi rappresentanti ha già collezionato degli avvisi di garanzia, mobilitarsi contro la criminalità comune?

E così, per due volte, il sindaco Mimmo Consales ha parlato alla città in tema di criminalità: il 19 maggio 2012, quando aleggiava nell’aria l’odore della mafia, quando il nemico aveva il volto condiviso di Totò Riina, di Bernardo Provenzano, di Pino Rogoli; il 29 novembre 2013, quando ha dovuto giustificarsi in merito ad indagini che lo riguardavano per ricettazione e riciclaggio, cioè per una fattispecie di reati che, indipendentemente dalle modalità operative, nella loro struttura codicistica penale, sono contigui a quelli che in questi mesi stanno mettendo in ginocchio la città.

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