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Referendum, quando la politica non decide e scarica sui cittadini

Sarò controcorrente, soprattutto in Puglia, ma considero il prossimo referendum sulle "trivelle" una vera prova di abdicazione e di viltà della politica. Se c'è un tema che andrebbe risolto di concerto fra governo e Regioni e con la massima lungimiranza e responsabilità politica questo è il tema dell'approvvigionamenro energetico

Sarò controcorrente, soprattutto in Puglia, ma considero il prossimo referendum sulle "trivelle" una vera prova di abdicazione e di viltà della politica. Se c'è un tema che andrebbe risolto di concerto fra governo e Regioni e con la massima lungimiranza e responsabilità politica questo è il tema dell'approvvigionamenro energetico. La massa delle informazioni, favorevoli o contrarie, che riguardano la questione è fuori dalla disponibilità dei cittadini che, viceversa, sono chiamate  a scegliere su una tematica così complessa con decisioni " di pancia".

Altro caso è il referendum, per giunta obbligatorio, sui temi istituzionali: lì è chiaro il quesito che riguarda un'alternativa secca, se vuoi, cioè, un sistema a due camere con eguali poteri o no. La prima tentazione, quindi, riguardo il referendum di aprile, che è stato allontanato dal voto amministrativo facendo spendere allo Stato altre centinaia di milioni, è di non andare a votare. Non perché lo dice Renzi, che avrebbe fatto meglio a tacere, ma perché se vi abbiamo eletto ci farete il piacere di prendervi le vostre responsabilità, e che caz...! 

Gli altri due voti a disposizione hanno pro e contro. Io la vedo così: il "sì" in qualche modo, pur non nell'immediato, chiude all'Italia la possibilità di cercare di diminuire l'onere dell'approvvigionamento energetico. Il "no" ,come ha detto Romano Prodi, invece lascia aperta  questa ipotesi. Sappiamo bene dalle conferenze internazionali, dal Papa, dalla nostra sensibilità che dobbiamo orientarci verso altre fonti di energia, tuttavia sappiamo anche che il futuro è futuro e l'oggi preme su di noi.

La mia vecchia cultura produttivistica e industrialista di marca Pci mi spingerebbe per il "no". Mi rendo conto tuttavia delle ragioni dell'altra parte. Per questo sono favorevole ad una astensione non renziana. Cioè resto a casa non per  fare un favore al premier, ma perché so di non sapere e pago chi deve sapere e decidere. C'è una sola ragione che mi porterebbe al "sì": se mi si dicesse, in modo impegnativo e con scelte programmatiche, che il destino dell'Italia è il turismo, il patrimonio d'arte, l'agro-alimentare. Se cioè decidessimo, con scelte economiche e pedagogia sociale, di far diventare questo paese il paradiso del mondo. In questo caso voterei sì. Ma forse scapperei dall'Italia perché il Paradiso non fa per me, incallito peccatore.

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