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Venerdì, 29 Marzo 2024
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"Abrogazione leggi razziali: quel decreto imposto degli Alleati"

Un intervento dell'avvocato Cosimo Yehuda Pagliara, che offre una ricostruzione storica del processo avviato da un decreto del gennaio 1944 promulgato a Brindisi

Ci sono poche cose, in Italia, per cui con poco si rischia di diventare impopolari. Oltre allo sport del calcio e alle particolari leggi di quello commentato, più che di quello giocato, altro argomento tabù è il campanile del quale, il tifo calcistico -in fondo- rappresenta una delle sue più vivaci manifestazioni. L’ambito di discussione, a volte, può esser reso ancor più insidioso dal mito (fondato o del tutto inventato, poco importa) con cui, a volte, s’impastano le vicende di campanile.

Allora, rischiando gli strali dell’impopolarità ma, sinceramente non a caccia di ‘like’ sui social, cerchiamo di offrire, nella maniera più rigorosa possibile, un piccolo contributo alla ricostruzione di una vicenda storica che rischia, con l’enfasi delle celebrazioni, in atto o in programma, di veicolare pericolosamente delle false notizie e, soprattutto, di assolvere personaggi storicamente coinvolti in atti criminali, sanzionati se non dai tribunali, certamente dalla storia e dalla memoria delle vittime di feroci crimini contro l’umanità.

Nel nostro Paese s’è sempre costantemente espressa una tendenza a minimizzare responsabilità personali e collettive e il fenomeno del trasformismo politico non è stato caratteristica di un solo periodo storico, denominato, appunto, come “trasformismo” (in voga dal 1882 ai primi del Novecento: governi De Pretis, Crispi e Giolitti). Specie in periodi istituzionalmente critici, il trasformismo è stato una prassi di sopravvivenza di collaudate salamandre del potere che, a volte con leggiadra nonchalance, hanno attraversato drammatici mutamenti di regime politico restando sempre sulla cresta dell’onda. Surfisti, ebbene sì, di diverse forme di popolarità.

Senza entrare nel merito della non questione se Brindisi, per alcuni (drammaticissimi) mesi sede provvisoria del governo del decadente Regno d’Italia, sia da considerare, o meno, addirittura “Capitale d’Italia”, cercheremo di vedere -al di là dello brilluccichio retorico dei festeggiamenti e delle celebrazioni in corso- di cosa stiamo parlando.

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A Brindisi furono effettivamente abrogate le leggi razziali del 1938?

La prima domanda da porsi è se, effettivamente, il regio decreto-legge 20 gennaio 1944, n. 25 recante “Disposizioni per la reintegrazione nei diritti civili e politici dei cittadini italiani e stranieri già dichiarati di razza ebraica o considerati di razza ebraica” ha abolito o no la normativa antiebraica che, a partire dal regio decreto-legge 7 novembre 1938, n. 1728 ha sancito, con legge dello Stato, dapprima la discriminazione nei confronti della popolazione israelita presente in Italia e nelle colonie italiane e, conseguentemente, l’espulsione dal contesto civile, sociale, lavorativo, persino scolastico di decine di migliaia di famiglie. Preparando così il terreno alla Shoah, anche in Italia. Immediatamente, documenti alla mano, bisogna rispondere di no! Soltanto tra il 1944 ed il 1947 (tre anni!) furono adottate dai Governi italiani che si sono succeduti, ben ventidue leggi finalizzate allo scopo di cancellare la precedente normativa fascista!

Basti pensare che il successivo regio decreto-legge, il n. 26, emesso in pari data a Brindisi dal re fuggiasco e che avrebbe dovuto regolare “la reintegrazione nei diritti patrimoniali” degli ebrei perseguitati dal regime fascista (ancora una volta classificati con l’odiosa marchiatura “già dichiarati o considerati di razza ebraica”) fu sospeso per ordine dello stesso governo emanante ed entrò in vigore solo con l’emanazione del decreto legislativo luogotenenziale 5 ottobre 1944, n. 252 che ne consentì l’applicazione, a seguito delle fortissime pressioni esercitate sul governo italiano, intanto insediatosi a Roma, dopo la liberazione della Capitale ad opera delle truppe anglo-americane, nel giugno 1944. Già, gli Alleati. Gli stessi che, in definitiva, avevano promosso l’abrogazione delle leggi razziali emanate a Brindisi nel gennaio 1944!

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La spinta degli Alleati

Il governo italiano si era insediato a Brindisi, dopo una piccola sosta a Salerno (a quando “Salerno, Capitale d’Italia”?), nel settembre 1943, a seguito della clamorosa fuga del re che, con tale atto completò l’opera di demolizione della memoria della casa Savoia, infangando definitivamente i nomi dei suoi importanti avi, da Carlo Alberto a Umberto I (il padre). Numerosi quanto esecrabili furono gli atti compiuti, anche attraverso silenziose ed accondiscendenti omissioni, o comunque imputabili a Vittorio Emanuele III: dalla mancata proclamazione dello stato d’assedio a Roma nel 1922 che avrebbe impedito il compiersi della “Marcia su Roma” delle squadre fasciste alla sottoscrizione delle Leggi razziali; dall’aggressione all’Etiopia, stato membro della Società delle Nazioni, come l’Italia alla partecipazione dell’esercito italiano alla guerra civile spagnola a fianco del golpista Francisco Franco; dall’entrata in guerra dell’Italia a fianco della Germania nazista alla dichiarazione, all’indomani della caduta di Benito Mussolini il 25 luglio 1943, della prosecuzione del conflitto a fianco dei tedeschi!

Ciliegina sulla torta: la fuga a Brindisi, dopo aver reso noto, per radio, la sottoscrizione dell’armistizio con i liberatori delle Nazioni Unite (così era chiamata, all’epoca, la coalizione internazionale che combatté e sconfisse l’Asse nazifascista). Proprio rileggendo le pagine dell’armistizio sottoscritto a Malta il 29 settembre 1943 ci s’imbatte nell’art. 31 del cosiddetto “armistizio lungo” che recitava: "Tutte le leggi italiane che implicano discriminazioni di razza, colore, fede od opinione politica saranno, se questo non è già stato fatto, abrogate, e le persone detenute per tali ragioni saranno secondo gli ordini delle Nazioni Unite, liberate e sciolte da qualsiasi impedimento legale a cui siano state sottomesse". Non v’è dubbio alcuno che l’art. 3 della nostra Costituzione repubblicana echeggia del contenuto dell’art. 31 del citato armistizio, ma è altrettanto evidente che l’avvio, persino timido come s’è visto, dell’abrogazione delle leggi razziali a Brindisi sia da considerare l’esecuzione, da parte del governo italiano, degli “ordini delle Nazioni Unite”!

Firma armistizio a Cassibile-2

"La Norimberga mancata e le sfolgoranti carriere delle salamandre di regime"

Un altro quesito che è necessario porsi è: come mai? Come mai ci si è messo tanto tempo per cancellare le odiose norme legislative che furono approvate dapprima con lo scandaloso (ai giorni nostri!) “Manifesto per la difesa della razza”, poi rapidamente approntate (ma, come si sa, in dittatura ci vuol poco a formare leggi, mancando qualsiasi contraddittorio!) e infine applicate con ferocia e, spesse volte, con l’indifferenza di molti, anzi di moltissimi?

Chi furono gli artefici di quelle norme che sancirono, di fatto, la fine del sogno risorgimentale di fare e tenere l’Italia unita? Quel che non molti sanno è che la legislazione razzista italiana funzionò da apripista al deciso inasprimento delle leggi tedesche antiebraiche che dal novembre 1938 riguardarono (per gradi, contrariamente all’organica unicità della legislazione italiana fascista): l’esclusione degli Ebrei dall’economia tedesca (12 novembre 1938); le istruzioni ai comandanti degli Einsatzgruppen sulle operazioni da compiersi ai danni degli Ebrei nella Polonia occupata (21 settembre 1939); le disposizioni di polizia sull’identificazione degli Ebrei (1° settembre 1941); pubblicazione (riservata) dei verbali della famigerata Conferenza di Wannsee che decretò la cosiddetta “soluzione finale” (20 gennaio 1942), ecc.

I legislatori nazisti tedeschi, in definitiva, furono più lenti dei loro omologhi italiani. Ma chi erano gli italianissimi “difensori della razza”, in altre parole: i più feroci antisemiti italiani? Qui, ahinoi, rientra in ballo senza volerlo la città sede provvisoria del Governo italiano in fuga. Tra gli aderenti al “Manifesto in difesa della razza” del 14 luglio 1938 che fu, con la sottoscrizione di numerosi “intellettuali” (senza offesa per gli intellettuali veri!), la base ideologica e morale delle successive leggi razziste troviamo sia Pietro Badoglio, Presidente del Consiglio dei Ministri del governo insediatosi a Brindisi che Gaetano Azzariti, Ministro di Grazia e Giustizia nel medesimo esecutivo.

Gen. USA Kenyon e Badoglio Aeroporto BR-2

"Il criminale di guerra Badoglio"

La pubblicistica di derivazione fascista (dall’Uomo Qualunque al Msi) ha sempre utilizzato l’epiteto “Badoglio” al pari di una sanguinosa offesa. Per la retorica dei reduci e dei nostalgici del passato regime, Badoglio era sinonimo di “traditore”. In effetti Badoglio, non solo per l’adesione ai programmi razzisti del fascismo, deve essere considerato come “uno di loro”, dei fascisti e che, al momento opportuno, cambiò più di un cavallo, rimanendo sempre in sella. Sino ad evitare, al contrario di molti suoi colleghi tedeschi di essere trascinato innanzi ad un Tribunale internazionale contro i criminali di guerra, come quello poi insediatosi a Norimberga per processare il gotha della struttura criminale del nazismo tedesco.

Anzi. Fu proprio il ruolo giocato da Badoglio, dapprima alleato dei tedeschi (“La guerra continua!”), poi addirittura primo Presidente del Consiglio dell’Italia liberata a scongiurare la possibilità, vanamente chiesta dal campione delle libertà sir Winston Churchill e, in generale dalla Gran Bretagna, di processare se non i maggiori esponenti del regime fascista (tra cui Badoglio), almeno i peggiori criminali di guerra (ancora una volta Badoglio ed il suo pari grado Rodolfo Graziani). Contro di essi pesavano le pesanti accuse di sterminio della popolazione civile abissina, l’uso spregiudicato di armi già allora proibite dai trattati internazionali quali i gas e le pallottole esplosive, per non parlare del barbaro trattamento della popolazione libica araba ed ebraica.

Alcune gigantografie, realizzate di recente, adornano la Sala Università del Comune di Brindisi, retaggio di amministratori comunali immemori o comunque digiuni di storia. Mescolato tra i volti degli ufficiali statunitensi e inglesi che avevano combattuto per liberare l’Italia dal fascismo, compare anche Badoglio, criminale di guerra. Aspettiamo fiduciosi la rimozione di tali impresentabili vestigia.

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"Azzariti, l’uomo (delle istituzioni) per tutte le stagioni"

Più sorprendentemente camaleontico di tutti è stato, invece, il Ministro guardasigilli del governo insediatosi a Brindisi: il “giurista” (senza offesa per i giuristi!) Gaetano Azzariti. Anch’egli sottoscrittore, per adesione, del Manifesto della razza, come Badoglio ma, in più, artefice dell’architettura legislativo-istituzionale che si condensò nelle Leggi razziali e nello strumento applicativo di esse: il Tribunale della Razza! Chi ha presieduto l’organo attraverso il quale si riconosceva l’appartenenza alla razza ariana (e con essa la salvezza) dei malcapitati che finivano per essere lì “giudicati” o il riconoscimento speciale per quegli ebrei che avevano reso particolari servigi allo Stato italiano dal novembre 1939 sino al giugno 1943? Sempre lui: Gaetano Azzariti!

Bisogna aggiungere che il Tribunale della razza, per quanto presieduto da “magistrato di grado 3°, con funzioni di presidente e da due magistrati di grado non inferiore a 5°, designati dal Ministro di Grazia e Giustizia e da due funzionari del Ministero dell’Interno”, era ubicato all’interno del Viminale, nel Dipartimento di Demografia e razza (Demorazza), Dipartimento poi soppresso. Un Tribunale nella sede del Ministero dell’Interno! Stiamo attenti alle ricadute…Azzariti obiettivamente non mise piede a Brindisi, pur sottoscrivendo tutti gli atti legislativi del Governo Badoglio di cui faceva parte, per il ruolo di Guardasigilli, avendo trovato rifugio a Salerno, prima tappa della fuga di Vittorio Emanuele III verso Brindisi.

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Dal giugno 1945 al luglio 1946 fu stretto collaboratore del Ministro di Grazia e Giustizia del primo governo della Repubblica, Palmiro Togliatti, segretario del Pci e ne seguì le sorti, pur rimanendo -per così dire- nei paraggi. Per cui, all’indomani dell’allontanamento dei ministri comunisti e socialisti dal governo, proseguì la sua attività come componente importanti commissioni ministeriali sino alla nomina a Presidente del Tribunale delle Acque, sino al 1951, quando fu -finalmente- messo a riposo per raggiunti limiti d’età. Ciò nonostante, il 3 dicembre 1955 fu nominato dal Presidente della Repubblica Giovanni Gronchi, giudice della Corte Costituzionale (allora istituita) e fu rRelatore nella prima sentenza emessa dalla Corte medesima. Ne divenne presidente il 6 aprile 1957, sino alla morte, nel proprio letto, nel gennaio 1961.

Entrando a Palazzo della Consulta, sede della Corte Costituzionale, in piazza Quirinale a Roma, chiunque entri viene accolto da un busto dell’emerito presidente della Corte. Ogni tentativo, fino ad oggi di rimuovere l’imbarazzante manufatto, è caduto nel vuoto. A proposito, si consulti il pregevole articolo di Gian Antonio Stella, firma autorevole del Corriere della Sera che, il 29 marzo 2015, ha ricostruito la vicenda dell’ingombrante simulacro, giudicato - di fatto - inamovibile dai  giudici della legge, vedi: https://roma.corriere.it/notizie/cronaca/15_marzo_29/corte-costituzionale-il-busto-presidente-antisemita-resta-qui-9ce777d8-d5d8-11e4-b0f7-93d578ddf348.shtml.

L’Italia volta pagina

Per tornare al tema iniziale, resta da chiederci quando le leggi razziali del 1938 furono completamente e definitivamente abolite e quando cessarono del tutto le infami conseguenze della legislazione italiana della vergogna. Dobbiamo aspettare il 1955 (Legge 10  marzo 1955, n. 96), il 1972 (Legge 8 luglio 1972, n. 541) ed il 1978 (L. 18 gennaio 1978, n. 17) per vedere finalmente riconosciuti i diritti anche patrimoniali delle vittime della persecuzione antiebraica e, in ultimo, il 1989 con la sottoscrizione delle “Norme per la regolazione dei rapporti tra lo Stato e l’Unione delle Comunità ebraiche italiane” (Legge 8 marzo 1989, n. 101) per la definitiva abrogazione di ogni residuo di legislazione antisemita nell’ordinamento della Repubblica italiana.

Nel 1987, nel frattempo, su impulso dell’allora presidente del Senato, Giovanni Spadolini, storico di vaglia e gran giornalista, fu promosso e realizzato un prestigioso Convegno di Studi storici che ha rappresentato la fonte di gran parte delle nozioni sopra riportate e che è interamente consultabile on line sul  sito ufficiale del Senato della Repubblica al link:  https://www.senato.it/application/xmanager/projects/leg17/file/repository/relazioni/libreria/novita/XVII/AbrogazioneLeggiRazziali.pdf

Memorabili le parole di Spadolini sulla magistratura italiana nel dopoguerra, nei giudizi che le vittime ebree intentavano per il riconoscimento dei loro diritti, in applicazione delle leggi abrogative delle Leggi razziali: "Fra l’altro, l’interpretazione giurisprudenziale di quelle leggi fu ingenerosa (…) A fronte di un orientamento della Cassazione negativo su questo punto in base ad argomenti giuridici formali e restrittivi, il Parlamento adottò la legge 11 gennaio 1971, con la quale l’applicazione della norma veniva espressamente riconosciuta anche ai cittadini ebrei colpiti da provvedimenti razziali del governo di Salò. “Gli ebrei non appartengono alla razza italiana”. Ecco il punto, quello più esplicito del manifesto antisemita reso pubblico nel ’38, pochi mesi prima dell’approvazione delle leggi razziali".

La lapide che ricorda, al Marina di Brindisi, l'approdo degli ebrei espulsi dall'Egitto-2

E Brindisi?

Dubitiamo fortemente che la cittadinanza brindisina sia mai stata coinvolta nelle vicende del Governo Badoglio, giacché il re, la sua corte e soprattutto l’entourage militare che ruotava attorno al capo dello Stato vivevano tra l’Hotel Internazionale e gli alloggi degli Ufficiali presso il Comando Marina Militare, al castello, o presso l’aeroporto. Oltretutto i brindisini che ancora ricordavano la tragedia dei bombardamenti subiti nel novembre di due anni prima (1941), come tutti gli italiani, soffrivano visibilmente per le conseguenze del conflitto: dalle scarse notizie dei numerosi militari dispersi (tali dopo la dissoluzione della catena di comando a seguito della fuga del re) alle restrizioni alimentari.  Poco o punto sapevano delle attività di Vittorio Emanuele III, di Pietro Badoglio e degli ufficiali delle forze armate alleate. Figuriamoci le attività legislative e le decisioni politiche che, ieri come oggi, non vengono solitamente prese per strada.

Eppure Brindisi è stata, nonostante le ingiurie della storia e quelle di coloro che parlano di storia senza aver mai letto un libro -incurante dei governi e dei regimi che pur l’hanno sfiorata-, centro d’eccellenza per l’aiuto disinteressato e generoso ai meno fortunati e più bisognosi. Nel Novecento, nel “secolo breve”, ben quattro sono stati i momenti in cui Brindisi, quella vera, quella dei cittadini che la compongono e che lavorano e operano spesse volte in silenzio e con convinzione, ha aperto le proprie braccia per essere solidale, in concreto e senza neanche bisogno di dichiararlo.

Dicembre 1915 - febbraio 1916 (I Guerra Mondiale). Accoglienza dei profughi civili e dei militari serbi in fuga. Di tanto v’è ricordo sulla lapide accanto all’ingresso della Capitaneria di Porto, sul Lungomare Regina Margherita. 1945-1947. Accoglienza dei profughi istriani in fuga dall’Istria e dalla Dalmazia, già italiane, in seguito all’avvento al potere di Tito (al secolo, Josip Broz). Ottobre 1956. Accoglienza dei profughi ebrei egiziani (la maggior parte di lingua italiana) cacciati dal dittatore Gamal Nasser dall’Egitto. Dopo la crisi di Suez causata dal regime militare egiziano. Nel porticciolo turistico di Bocche di Puglia, una lapide, apposta nel 2006, nel cinquantenario, ricorda quello sbarco. Primavera 1991. La storica grandissima generosa accoglienza dei primi profughi albanesi in fuga dal regime comunista in disfacimento.

Una delle navi albanesi entrate a Brindisi nel marzo 1991

Verosimilmente Brindisi non è mai stata capitale e chissà se lo sarà mai, ma non ha certo avuto bisogno di riconoscimenti ufficiali (che quasi mai le sono stati tributati nonostante l’avesse meritato) per aver fatto semplicemente quello che fanno gli uomini (e le donne, ovviamente). Comportandosi da uomini. O più semplicemente, con umanità. Alle patacche di latta, poi si penserà in un altro momento. Se proprio si deve…(Avv. Cosimo Yehudà Pagliara - Coordinatore del Centro Ebraico di Cultura “Torah veZion” di Brindisi)

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