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Calcio femminile: il sogno di Giada Megna parte dalla Pink Bari

Ha soli 14 anni, si allena con le under 17 nel rettangolo verde di Bitetto e l’obiettivo è entrare nella rosa della nazionale italiana

BRINDISI- Chioma biondo cenere, un metro e sessantatrè di altezza e un sogno nel cassetto: Giada Megna ha soli 14 anni, frequenta il liceo scientifico sportivo “Monticelli”, e da tre settimane si allena nel rettangolo verde di Bitetto (Bari) nell’associazione dilettantistica “Pink Sport Time” di Bari, di cui la squadra calcio femminile milita nel campionato di serie A. L’obiettivo? Entrare nella rosa della nazionale italiana di calcio femminile.

“Quando sono arrivata a Bari pensavo dovessi sostenere un provino, invece mi avevano già messa in squadra” racconta Giada Megna con ancora addosso l’adrenalina dell’allenamento terminato da poco a Bari. Sta viaggiando in auto con il papà Alessandro per rientrare a Brindisi, mentre risponde alle domande della redazione di BrindisiReport. Lo fanno quattro volte a settimana perché il cuore di Giada ha la forma del pallone.

“Era l’8 settembre, il giorno del mio compleanno, quando il mister mi comunicò che mi sarei allenata con gli under 17”. Sì, perché Giada, pur essendo 2006, ha la stoffa della calciatrice, ha le doti e le capacità per affrontare le più grandi, ma si allena anche con le under 15.

IMG-20201014-WA0019-2“A chi mi ispiro? A Valentina Giacinti” risponde con tono squillante, mentre sorride pensando al capocannoniere della serie A nella nazionale italiana e attaccante del Milan. La passione di Giada ricorda e insegna che il gioco del pallone, quello fatto di miti e tattica, dribbling e fuorigioco, campetti rovinati e stadi importanti, notti insonni ed epiche battaglie, Maradona-Pelé, Messi-Ronaldo, è appannaggio anche delle donne. Di quelle che lo scorso 2019 si sono fatte valere ai Mondiali di calcio femminili e che hanno raccolto per la prima volta una folla entusiasta alle loro esibizioni televisive.

“L’anno scorso avevamo appena finito di giocare un torneo a Fasano, quando nello spogliatoio accendemmo i cellulari per seguire la nazionale”, racconta con l’euforia di chi sembra stia guardando in quel momento la partita del cuore. Giada Megna è caparbia e determinata e se lo sport è un’attività educativa e sociale, rompere gli stereotipi diventa una fondamentale questione di genere, dentro e fuori dal campo. “Che ci fai qui? Ma vai a fare danza” le dicevano i maschi quando voleva partecipare alle loro partitelle in spiaggia.

“Mentalità primitiva” avrebbe ribattuto la tecnica azzurra Bertolini, secondo cui parlare in questo modo significa “avere paura a confrontarsi con una donna”, come la risposta che lanciò a Fulvio Collovati, campione del Mondo nel 1982 con la Nazionale maschile, che in diretta Rai, parlando di tattica femminile, commentò “mi si rivolta lo stomaco”.

Eppure, prima di indossare le scarpe bullonate, Giada ha praticato tutti gli sport, compreso il basket ed era anche brava: “Quando dissi a papà che lo lasciavo per il calcio non ci parlammo per una settimana” racconta dicendo che era la madre, all’inizio, ad accompagnarla agli allenamenti nel campo di calcio. “Poi comprese la mia passione e accettò. Ora mi accompagna lui” prosegue ridendo, contenta che il papà abbia compreso che giocare le da emozioni e felicità, anche se, come dice Giada “quest’emozione non riesco a spiegarla”.

E, chissà, se quando Giada Megna coronerà il suo sogno di entrare nella rosa della nazionale, l’Italia non avrà adeguato la legislazione all’apertura del professionismo femminile, come da anni, ormai, denuncia l’associazione Assist. Anche se, tuttavia, una fase in questo senso è stata avviata con l’approvazione in Senato dell’emendamento alla Legge di Bilancio in virtù del quale gli oneri previdenziali per gli stipendi delle atlete professioniste, che normalmente ricadrebbero in gran parte sulle società sportive, saranno a carico dello Stato, nel limite di ottomila euro all’anno per individuo, per i prossimi tre anni.

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