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Dissequestrato il termodistruttore Asi, ora 20 milioni e due anni di lavori per riammodernarlo

BRINDISI - Via i sigilli. Il pubblico ministero Giuseppe De Nozza ha disposto il dissequestro della piattaforma polifunzionale per il trattamento dei rifiuti speciali pericolosi (ospedalieri e industriali) di proprietà del consorzio Asi di Brindisi. L’impianto di contrada Pandi, nella zona industriale del capoluogo, passato da Termomeccanica a Veolia, è sotto sequestro disposto dalla procura dal 3 marzo 2009, quasi due anni. Lo sanno i trenta dipendenti che tornano a chiedere quale futuro li attende anche a fronte del fatto che, nelle more del procedimento giudiziario, la gestione della piattaforma è stata assegnata alla Cisa di Massafra con una gara condotta dall’Asi. Tanto quanto i sei indagati finiti nel registro del pm per ipotesi di reato di natura ambientale, attendono di sapere quale sarà la decisione del pm sul procedimento, a fronte della perizia depositata il 10 ottobre scorso che ha pressoché azzerato ogni sospetto sulla legittimità dei rifiuti contenuti negli oltre mille fusti accatastati presso l’impianto.

BRINDISI - Via i sigilli. Il pubblico ministero Giuseppe De Nozza ha disposto il dissequestro della piattaforma polifunzionale per il trattamento dei rifiuti speciali pericolosi (ospedalieri e industriali) di proprietà del consorzio Asi di Brindisi. L’impianto di contrada Pandi, nella zona industriale del capoluogo, passato da Termomeccanica a Veolia, è sotto sequestro disposto dalla procura dal 3 marzo 2009, quasi due anni. Lo sanno i trenta dipendenti che tornano a chiedere quale futuro li attende anche a fronte del fatto che, nelle more del procedimento giudiziario, la gestione della piattaforma è stata assegnata alla Cisa di Massafra con una gara condotta dall’Asi. Tanto quanto i sei indagati finiti nel registro del pm per ipotesi di reato di natura ambientale, attendono di sapere quale sarà la decisione del pm sul procedimento, a fronte della perizia depositata il 10 ottobre scorso che ha pressoché azzerato ogni sospetto sulla legittimità dei rifiuti contenuti negli oltre mille fusti accatastati presso l’impianto.

Archiviazione o rinvio a giudizio, sono due le opzioni al vaglio del sostituto procuratore de Nozza a carico di Lorenzo Ferraro, 58 anni; Francesco Taveri, 51 anni; Francesco Mollica, 53 anni; Andrea Campi, 46 anni; Maurizio Casentino, 35 anni, e Franco Zanon, 53 anni, assistiti dai legali Cosimo Pagliara, Roberto Cavalera, Orazio Vesco e Francesco Arigliano.

Sono state le conclusioni della monumentale perizia effettuata in fase di incidente probatorio, depositata il 15 ottobre scorso dagli ingegneri incaricati dalla stessa procura - Giovanni Moschioni, Guido Pavan e Angelo Rizza - a determinare il dissequestro dell’impianto. Lo dice il pm nella ordinanza emessa ieri pomeriggio:  “Ritenuto che i fatti denunciati dalla Veolia servizi ambientali sono stati oggetto di adeguato approfondimento in seno ad una articolata e complessa attività di indagine, rilevato che i consulenti tecnici incaricati dal pubblico ministero hanno portato a compimento le valutazioni tecniche loro commissionate, ritenuto che allo stato sono da ritenersi interamente soddisfatte le esigenze di prova che hanno giustificato il vincolo del sequestro probatorio, ritenuto che ricorrono le condizioni per addivenire alla revoca del provvedimento di sequestro adottato, revoca il decreto di sequestro e ordina la restituzione di tutto quanto in sequestro”.

Ma c’è un ma, legato al provvedimento della procura: “La restituzione dei fusti e di quanto in essi contenuto, nonché la restituzione dei serbatoi e di quanto in essi contenuto viene disposta a condizione che la società prima indicata (Veolia, ndr) provveda in modo sollecito alle operazioni di relativo smaltimento in impianto autorizzato, dando attuazione ad una volontà in tal senso già manifestata dalla medesima con atto depositato nell’ufficio in intestazione in data 27 settembre 2010”. Tocca adesso alla multinazionale francese, a prescindere dall’esito della gara che ha individuato nella Cisa il nuovo gestore dell’impianto, provvedere allo smaltimento dei rifiuti e dei fusti, con riguardo alle rigorose procedure stabilite dalla legge in materia. I carabinieri del Nucleo operativo ecologico di Lecce, che il 4 marzo 2009 apposero i sigilli al termovalorizzatore, sono stati incaricati dallo stesso sostituto procuratore della consegna della missiva, che sarà recapitata a Veolia ma anche al commissario Armando Serra in qualità di legale rappresentante pro-tempore (dall’agosto 2010, ndr) soggetto giuridico proprietario dell’impianto in contrada Pandi.

Il termodistruttore era entrato in funzione nel 2001, le attività dell’impianto scandite in tre fasi: pretrattamento, ossia stoccaggio e movimentazione dei rifiuti; impianto di termodistruzione; ciclo termico e produzione di energia elettrica. E’ il 22 gennaio 2003 che la Provincia autorizza il trattamento dei rifiuti industriali, disponendo una procedura assai meticolosa per la identificazione, lo stoccaggio e il trattamento dei rifiuti. Più recente il passaggio da Termomeccanica alla multinazionale francese che, solo dopo aver rilevato l’impianto (e i problemi occupazionali ad esso legati), curiosamente si accorge della presenza dei mille fusti di troppo. Nessuno sapeva dire cosa contenessero, né da dove provenissero. Forse reagenti chimici, forse chissà cosa. Il quesito sul contenuto dei fusti, fino a un attimo prima del deposito della perizia disposta dalla procura assolutamente anonimo, fu posto proprio da Veolia in una denuncia-querela indirizzata alla procura, decisione dei vertici della multinazionale, salvo poi ritrovarsi iscritti nel registro degli indagati.

Per arrivare a definire la tipologia dei rifiuti contenuti nei fusti, i tecnici incaricati dal pm hanno utilizzato dunque una “corposa documentazione fotografica del singolo rifiuto”, ma su “campioni di cui non è stato possibile rintracciare né l’origine, né l’eventuale ciclo produttivo che li ha prodotti”. Malgrado la falla nella procedura stabilita dell’ente provinciale, tutte le sostanze contenute nei fusti, analizzate singolarmente dai periti della procura, vengono giudicate  “compatibili” con le autorizzazioni rilasciate dalla Provincia stessa. Nel dettaglio: “641 sono i fusti contenenti reagenti chimici con probabile provenienza da laboratori pubblici e privati derivanti da attività di ricerca ed analisi chimica, biochimica e chimica-clinica; 22 i fusti contenenti pesticidi con probabile provenienza da consorzi agrari o attività agricole; 124 i fusti contenenti rifiuti liquidi di origine e contenuto sconosciuto sottosti ad analisi chimica di laboratorio per procedere ad una possibile identificazione; 187 i fusti contenenti rifiuti di origine e contenuto sconosciuto sottoposti ad analisi chimica di laboratorio per procedere ad una possibile identificazione”.

Positiva anche la risposta al secondo quesito, quello relativo al sistema di monitoraggio, software e hardware, delle emissioni in atmosfera, dato che l’impianto misurava sia la presenza del carbonio organico che la pressione e la temperatura dei fumi. La procura chiedeva ai tecnici di accertare le “eventuali abusive manomissioni e manipolazioni poste in essere sul medesimo, nonché sui tempi e sulle modalità di realizzazione delle stesse, valutando la corrispondenza tra i dati registrati dai sensori del sistema e quelli comunicati all’autorità di controllo”. Impianto accusatorio demolito? Così pare. Tranne un dettaglio tutt’altro che trascurabile. In base alle autorizzazioni, i periti hanno concluso che tutte le tipologie di rifiuti trovate nei fusti potevano essere trattate, aggiungendo però che: “Non altrettanto si può dire delle modalità con cui tali rifiuti venivano avviati al trattamento”. E ancora: “Sia il contenuto dei serbatoi, sia il contenuto dei fusti è risultato, fatte salve alcune rare eccezioni, completamente anonimo sia contenuto sia come provenienza”. Si tratta dell’unica incognita, che potrebbe fare la differenza.

La rimozione dei sigilli, legata al corretto e tempestivo smaltimento dei rifiuti, apre solide prospettive anche sulla ripresa della funzionalità dell’impianto e sul destino professionale dei lavoratori. Il termodistruttore, questo è un fatto, dopo due anni di fermo adesso necessita di un revamping totale, una ristrutturazione che secondo il piano elaborato dalla Cisa impegnerà le ditte specializzate chiamate in causa dal nuovo gestore per i prossimi due anni: ventiquattro mesi di lavoro e oltre 20 milioni di investimento. E i trenta dipendenti? Per i lavoratori si prevede il reintegro a partire dall’entrata in funzione – a pieno regime - dell’impianto stesso. Nel frattempo la cassa integrazione dovrebbe essere prorogata per altri sei mesi, a partire dal 28 febbraio prossimo, ma – sembra - trasferendo i dipendenti da Veolia a Cisa.

Ciò per quanto riguarda il termodistruttore, mentre l'altro polo della piattaforma dell'Asi di Brindisi per il trattamento dei rifiuti pericolosi, la discarica posta ai confini della zona industriale, è esaurita, in fase di messa in sicurezza e non avrà una gemella, vista la bocciatura del ricorso dello stesso Consorzio Asi contro la legge regionale che prescrive che le discariche vadano realizzate esclusivamente in terreni argillosi, quindi impermeabili. E non è il caso dell'area industriale brindisina.

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