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Giovedì, 25 Aprile 2024
Ambiente

Torce restituite anche a Basell, e alle stesse condizioni imposte a Polimeri Europa

BRINDISI – La Digos di Brindisi, che ha condotto le indagini di polizia giudiziaria a base dell’inchiesta della procura insieme alla perizia del consulente del pm Antonio Negro, l’ingegnere Mauro Sanna, oggi ha notificato a Basell un decreto di restituzione all’uso delle due torce di emergenza oggetto del sequestro preventivo del 26 ottobre. Impianti su cui permarranno i sigilli sino a quando il magistrato inquirente riterrà necessario, e comunque almeno sino al completamento del termossidatore per il trattamento dei reflui gassosi delle lavorazioni. Fata stabilita per la conclusione dei lavori, il 15 luglio 2011. Cauzione depositata, 6 milioni di euro.

BRINDISI – La Digos di Brindisi, che ha condotto le indagini di polizia giudiziaria a base dell’inchiesta della procura insieme alla perizia del consulente del pm Antonio Negro, l’ingegnere Mauro Sanna, oggi ha notificato a Basell un decreto di restituzione all’uso delle due torce di emergenza oggetto del sequestro preventivo del 26 ottobre. Impianti su cui permarranno i sigilli sino a quando il magistrato inquirente riterrà necessario, e comunque almeno sino al completamento del termossidatore per il trattamento dei reflui gassosi delle lavorazioni. Fata stabilita per la conclusione dei lavori, il 15 luglio 2011. Cauzione depositata, 6 milioni di euro.

Il decreto consegnato oggi ai rappresentanti della società americana nel Petrolchimico consortile di Brindisi dagli investigatori del vicequestore Vincenzo Zingaro per conto del giudice delle indagini preliminari Paola Liaci dunque è quasi una fotocopia di quello ricevuto nei giorni scorsi da Polimeri Europa: dettagli tecnici, entità della fidejussione e termini imposti coincidono. E diversamente non potrebbe essere visto che entrambe le compagnie, quella Usa e quella del gruppo Eni, sono chiamate senza deroghe ad adottare sistemi di trattamento ed eliminazione dei gas e di altri fluidi di lavorazione  completamente diversi rispetto alla fase pre-sequestri, quando le torce del sistema di sicurezza venivano impiegate frequentemente come termodistruttori di sostanze non certificabili e con ricadute inquinanti quasi mai misurate.

Il Petrolchimico, se esclude la contrastata vicenda dell’inquinamento della falda sotto la zona industriale di Brindisi, era rimasto in disparte nell’annosa contesa sulle emissioni delle centrali a carbone dell’Enel e di Edipower, mentre oggi la procura non esclude che a certi picchi di PM10 nell’hot spot Torchiarolo, Comune di 5mila abitanti con una media milanese di polveri sottili, possano aver dato un grosso contributo proprio le torce della grande fabbrica chimica. Ma questo si vedrà in seguito.

Il caso ha un rilievo tecnico-giuridico particolare, perché è la prima volta che una procura in Italia applica l’assunto (utilizzando una modifica intervenuta nel 2008 al Testo unico sull’ambiente) che le emissioni industriali gassose siano dei rifiuti a tutti gli effetti, e come tali soggetti ad autorizzazione per il trattamento. Ed ecco che ad una serie di ipotesi di reato perseguibili con semplici ammende malgrado gli impatti ambientali e sociali si è potuto accompagnare un sequestro preventivo con obbligo di riconduzione a norma degli impianti.

Quindi non più fiammate dalla combustione di sostanze ignote nell’aria, non più torce di emergenza prive di sensori per l’identificazione e la misurazione dei flussi delle materie inviate alla combustione, non più ricorso alle torce se non in casi – appunto – di assoluta necessità per prevenire reazioni pericolose per avarie o black-out. In questo senso, quella di Brindisi è una indagine di svolta.

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