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Cito: «Così ho temuto di morire»

BRINDISI – Un camion che ti viene addosso a tutta velocità, e ti butti a terra perché pensi che si tratti un attentato e quello è l’unico modo per sperare di salvarsi. Pier Paolo Cito ha visto la morte in faccia, qualche giorno fa, mentre in Afghanistan viaggiava con i militari italiani.

BRINDISI – Un camion che ti viene addosso a tutta velocità, e ti butti a terra perché pensi che si tratti un attentato e quello è l’unico modo per sperare di salvarsi. Pier Paolo Cito ha visto la morte in faccia, qualche giorno fa, mentre in Afghanistan viaggiava sulla High Way One, venti chilometri a sud di Camp Arena. Era con la Task Force Genio del quarto reggimento guastatori di Palermo per realizzare un reportage.

«Ero arrivato a Herat da alcuni giorni. Ero già stato in Afghanistan nel Febbraio del 2010 embedded con l’esercito Usa nel battaglione (1st Battalion, 17th Infantry Regiment, 5th Brigade,) che aveva avuto il può alto numero di vittime di ogni altro battaglione con caratteristiche simili. Già quella volta, eravamo stati attaccati dai talebani e dopo uno scontro a fuoco tra i campi di papaveri ero riuscito a cavarmela dopo aver corso almeno 300 metri tra le pallottole sibilanti e troppo vicine».

All’epoca gli americani se la cavarono con un solo un ferito, mentre un afgano era stato ucciso ed altri furono feriti. «Cose che succedono da quelle parti. Nessuna sorpresa, solo paura». Quest’anno invece Cito è tornato in Afghanistan, ma con i soldati italiani.

«Sono impegnato insieme ad una mia collega giornalista in un progetto che prevede anche la pubblicazione di un libro. Nell’ambito della copertura delle attività dei soldati eravamo usciti in un convoglio del Genio».

L’intelligence militare aveva già diramato un warning per una possibile minaccia di un kamikaze. Il gruppo si era fermato per scattare qualche fotografia durante un’operazione di “Route Clearance”, ovvero un controllo delle possibili insidie (presenza di Ied, ordigni esplosivi artigianali) lungo il percorso , ma a un certo punto tutti sensono un rumore assordante.

«Abbiamo visto un camion che trasportava un ruspa venire contro di noi ad alta velocità. Accelerava sempre di più, e quando ha sfondato il posto di blocco, tutti hanno temuto che si trattasse di un attacco suicida. I soldati, dalle torrette dei loro mezzi hanno aperto il fuoco, ed io ed alcuni militari che eravamo per strada ci siamo lanciati a terra in attesa dell’esplosione. In questi casi è la cosa migliore da fare per evitare di essere investiti interamente. Ma ciò non fornisce alcuna garanzia di sopravvivenza! Tutto dipende dalla quantità di esplosivo, e dai frammenti metallici che “volano” per aria. Ci provi e basta, d’altronde non hai molto altro da fare!».

Ovviamente sono stati attimi terrificanti: « Per alcuni secondi ho continuato a ripetermi “quando esplode? quando esplode?” sperando di non essere investito completamente, poi il camion mi è passato affianco, non è esploso, ed è andato fuori strada un centinaio di metri dopo, verso la coda del convoglio».

L’autista, ferito gravemente in seguito ad una contusione provocata da un urto all’interno della cabina, è stato recuperato dalla polizia afghana. È in fin di vita, probabilmente era un corriere della droga che aveva pensato di forzare il posto di blocco per paura di essere fermato.

«Si è comportato come hanno fatto tanti mezzi carichi di esplosivo, che per le strade afgane hanno ucciso moltissimi militari in transito sui convogli e altrettanti civili afgani, totalmente estranei al conflitto», racconta Cito.

Non c’era esplosivo a bordo, ma la paura è stata tanta, e quando tutto è tornato più o meno alla normalità, il colonnello Bruno Pisciotta, comandante del 4° Reggimento Genio Guastatori e comandante della Task Force “Genio” di Herat, ha tentato di far tornare il sorriso sulle labbra del fotoreporter brindisino e di una giornalista che era presente, Chiara Giannini: «Vi siete guadagnati il titolo di genieri», ha detto loro.

«Divertito, ho pensato tra me e me: “Avrei preferito una cerimonia di consegna più tranquilla, ma qui, nulla è veramente tranquillo, anche quando lo sembra...». In questi giorni Cito è a Roma, dove risiede da anni, «ma prima o poi rientrerò a Brindisi per andare a mangiare qualcosa davanti al mio mare… in santa pace». Poi lo attende una nuova missione in Armenia. «Dovrebbe essere un posto più tranquillo, vedremo…».

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