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Giovedì, 25 Aprile 2024
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Centrali a carbone e cattura Co2: a Brindisi l'impianto-pilota, a Porto Tolle quello in scala

BRINDISI – Il programma italiano di Enel per il miglioramento della tecnologia di cattura dell’anidride carbonica dai fumi delle centrali termoelettriche si muove lungo l’asse Brindisi-Porto Tolle, con l’approvazione della Commissione europea che ha stanziato 100 milioni di euro per questa prima fase del progetto. A Brindisi la ricerca e la sperimentazione, a Porto Tolle (centrale gemella della “Federico II” di Cerano) entro il 2015 il primo impianto in scala che abbatterà del 40 per cento le emissioni di Co2 di uno dei gruppi termoelettrici da 660 megawatt, qualcosa come un milione di tonnellate annue. L’impianto di Brindisi, già realizzato e pronto ad entrare in funzione nel 2012 quando saranno pronti anche l’impianto criogenico per la liquefazione del gas serra sequestrato, e il sistema di trasporto su gomma sino al giacimento esausto Eni di Stogit a Cortemaggiore (Piacenza), servirà invece a capire come rendere economico e sempre più efficiente il processo, che in fase sperimentale richiederà un impiego di carbone del 30 per cento superiore. Questo pomeriggio l’inaugurazione, con la ministra Stefania Prestigiacomo e il commissario europeo per l’energia Gunther Oettinger.

BRINDISI – Il programma italiano di Enel per il miglioramento della tecnologia di cattura dell’anidride carbonica dai fumi delle centrali termoelettriche si muove lungo l’asse Brindisi-Porto Tolle, con l’approvazione della Commissione europea che ha stanziato 100 milioni di euro per questa prima fase del progetto. A Brindisi la ricerca e la sperimentazione, a Porto Tolle (centrale gemella della “Federico II” di Cerano) entro il 2015 il primo impianto in scala che abbatterà del 40 per cento le emissioni di Co2 di uno dei gruppi termoelettrici da 660 megawatt, qualcosa come un milione di tonnellate annue. L’impianto di Brindisi, già realizzato e pronto ad entrare in funzione nel 2012 quando saranno pronti anche l’impianto criogenico per la liquefazione del gas serra sequestrato, e il sistema di trasporto su gomma sino al giacimento esausto Eni di Stogit a Cortemaggiore (Piacenza), servirà invece a capire come rendere economico e sempre più efficiente il processo, che in fase sperimentale richiederà un impiego di carbone del 30 per cento superiore. Questo pomeriggio l’inaugurazione, con la ministra Stefania Prestigiacomo e il commissario europeo per l’energia Gunther Oettinger.

Naturalmente bisogna ricordare, ha sottolineato Livio Vido, responsabile Ingegneria e innovazione di Enel, “che stiamo parlando di un prototipo, quindi non si tratta di un costo a regime. Non sarebbe un riferimento sensato. E’ una strada per individuare limiti di tecnologia e sostenibilità, ma anche per la definizione normativa necessaria”. Un prototipo che dovrebbe trattare 10mila metri cubi di fumi l’ora ed estrarne 2,5 tonnellate di Co2, in tutto 8mila l’anno. Praticamente una frazione molto piccola dei 12milioni di tonnellate di gas serra che Cerano non dovrà superare nel 2012. Ma la strada maestra è questa perché a parità con altri due tipi di processi, quello della cattura post-combustione su cui Enel ha deciso di lavorare è il più economico a parità di efficienza”. L’impianto pilota di Brindisi, incluso il sistema di trasporto della Co2 a Cortemaggiore e l’imprigionamento a 1500 metri di profondità in uno dei pozzi Eni, costerà alla fine 20 milioni sui 100 stanziati dalla Ue. Il resto servirà per gli interventi preliminari a Porto Tolle, nel Delta del Po, dove poi, ha detto oggi l’amministratore delegato di Enel, Fulvio Guidi, in 10 anni bisognerà investire un miliardo di euro per la realizzazione dell’impianto e i successivi sviluppi (la Co2 di Porto Tolle andrà attraverso una condotta subacquea sino ad un pozzo petrolifero esausto sul fondale dell’Alto Adriatico).

L’impianto sperimentale di Brindisi Cerano è uno dei primi della sua taglia in Europa e nel mondo. In Europa sono sette gli impianti pilota finanziati dalla Commissione europea. Sfrutta il principio della cattura post-combustione, cioè cattura i fumi del gruppo termoelettrico dopo che questi sono già stati trattati dai denitrificatori, dai desolforatori e dai sistemi di abbattimento delle polveri. L’unità di cattura della Co2 “è composta dall’assorbitore, dallo stripper, da un reboiler per la rigenerazione del solvente e dal condensatore. All’interno della colonna di assorbimento, i fumi – spiegano i tecnici Enel - vengono in contatto controcorrente con la soluzione assorbente di monoetanolammina (MEA) e cedono la Co2. Vanno così alla ciminiera privi di anidride carbonica ed escono in atmosfera.  La soluzione ricca di Co2 esce dall’assorbitore ed entra nello stripper dall’alto. Scendendo, sfrutta il calore fornito dal reboiler e si scalda favorendo il rilascio della CO2.

Si forma pertanto una fase gassosa di CO2 e vapore  che procede verso la testa dello stripper. La soluzione liquida rigenerata, invece, scende verso il basso e può essere inviata nuovamente all’assorbitore. Il  mix di anidride carbonica e vapore acqueo in uscita dallo stripper passa al condensatore, dove il vapore torna allo stato liquido. La condensa rimossa della CO2 viene rimandata in testa allo stripper, mentre la CO2 pura continua il percorso di trasporto e successivo stoccaggio. Le ammine che costituiscono il solvente impiegato per il processo vengono recuperate. La Co2 catturata è pronta per essere compressa fino a raggiungere lo stato liquido e quindi trasportata e stoccata”. Per lo stoccaggio, Enel ed Eni hanno siglato un accordo il 21 ottobre del 2008. Sauro Pasini, responsabile dell’Area tecnica ricerca di Enel, ha detto oggi che è stata calcolata nel mondo la disponibilità di stoccaggio in pozzi esausti di gas e petrolio di 900 miliardi di metri cubi di anidride carbonica (a 800 metri di profondità, peraltro, 1000 metri cubi di Co2 si riducono sino a 2,7 metri cubi). Che possono diventare 100mila miliardi sfruttando le falde saline acquifere, cavità più profonde, dove in tempi geologici la Co2 si trasforma in carbonati.

Bisogna però scegliere giacimenti impermeabili rispetto alle zone superiori, dove esiste cioè  il cosiddetto caprock (cappello di roccia). E qui subentra il ruolo di Eni. L’obiettivo che Eni si propone infatti con la propria esperienza pilota di iniezione di anidride carbonica a Cortemaggiore è quello di maturare il know-how specifico necessario per progettare future applicazioni della tecnologia su larga scala. Non a caso l’altro grande gruppo energetico nazionale Eni è impegnata nello sviluppo della tecnologia anche tramite la partecipazione al Consorzio internazionale “Co2 Capture Project” (CCP) (www.co2captureproject.org) insieme alla maggior parte delle principali società  petrolifere e, soprattutto, con lo sviluppo di nuove attività industriali per il sequestro della Co2 finalizzate ad aumentare la produttività dei giacimenti idrocarburici, sia nel campo del recupero avanzato di oli pesanti che in quello della valorizzazione del gas povero (gas naturale ricco in Co2).

“Le attività relative al progetto pilota di iniezione nel sottosuolo stanno procedendo a ritmo intenso: è stata completata la fase di progettazione, sono già stati avviati da alcuni mesi i monitoraggi di base (microsismico superficiale e geochimico del suolo e dell’acqua di falda) per accertare i livelli preesistenti di Co2 nell’area coinvolta ed è stata inoltre installata e testata la stazione geochimica per la rilevazione della CO2 di giacimento al pozzo di monitoraggio”, spiegano fonti aziendali. Allo stesso tempo, procede l’iter autorizzativo: dopo aver ottenuto il parere favorevole del Ministero dello Sviluppo Economico, si è in attesa del rilascio dell’autorizzazione Via(Valutazione di Impatto Ambientale) da parte del Ministeri dell’Ambiente e dei Beni Culturali,” per poi ottenere le ultime autorizzazioni che permettano la realizzazione del pozzo di iniezione, previsto in operazione intorno alla metà del prossimo anno. Riguardo la comunicazione su questo progetto, Eni si è anche confrontata con istituzioni e comunità locali .

La procedura Ccs (Carbon capture and storage), di cui Enel vuole migliorare l’efficienza e i costi (“non siamo interessati a sviluppare nuove tecnologie”, ha dichiarato Pasini), unita al lungo periodo si autonomia dei possibili siti di stoccaggio, consentiranno “possibilità di vita interessanti” per l’utilizzo del carbone. “E’ il combustibile che costa meno ma che inquina di più, quindi dobbiamo renderne più pulito l’utilizzo”, ha concluso il responsabile ricerca di Enel. E che la scelta della società elettrica sia questa, lo dimostrano i 2,5 miliardi di euro investiti per la riconversione a carbone della centrale di Porto Tolle (potenziale installato identico a quello di Cerano, con quattro gruppi da 660 Mw). Cui si aggiungerà l’investimento per l’impianto in scala di cattura della Co2 legato ai risultati dell’esperienza pilota di Brindisi. Ai 500 milioni di euro necessari per costruirlo, “bisognerà aggiungere il costo del processo per i successivi 10 anni, che sarà penalizzante per quel pezzo di centrale”. Insomma, l’Unione europea ci ha messo parecchi soldi, ma l’operazione costerà indubbiamente parecchio soprattutto ad Enel. L'obiettivo finale dichiarato però vale la spesa: centrali a emissioni zero.

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