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Intervento/ Il piano di A2A non serve a Brindisi

Brindisi non può più tollerare né sopportare altri attacchi al proprio ambiente e alla salute dei suoi cittadini. La città, oramai da 20 anni, soffre quotidianamente per le emissioni inquinanti delle centrali termoelettriche a carbone. Adesso è arrivato il momento di dire basta.

Brindisi non può più tollerare né sopportare altri attacchi al proprio ambiente e alla salute dei suoi cittadini. La città, oramai da 20 anni, soffre quotidianamente per le emissioni inquinanti delle centrali termoelettriche a carbone. Adesso è arrivato il momento di dire basta: è ora di porre definitivamente un freno al ricatto occupazionale di chi mette i cittadini di fronte alla scellerata scelta tra lavoro, salute e ambiente. A tutti domando: la lezione dell'Ilva non è servita proprio a niente?

Leggo con stupore quanto riportato da 'BrindisiReport.it' sulle 'nuove frontiere' scelte per alimentare la centrale termoelettrica Costa Morena-Brindisi Nord. Infatti secondo Edipower e la A2A, la stessa che ha brevettato l'idea, la centrale potrà continuare a funzionare bruciando in parte carbone, già di per sé molto inquinante, e in parte nuovi combustibili ricavati dai rifiuti. Questi ultimi, per diventare combustibile accettato da una centrale termoelettrica, dovranno essere trattati in un nuovo mostro produttore di inquinamento, che sorgerebbe a 20 chilometri dalla stessa centrale. In quest'area giungeranno non solo i rifiuti di Brindisi, insufficienti a sfamare il mostro, ma anche quelli di altre province.

Una idea che equivale, a mio parere, a voler curare un tumore ai polmoni prescrivendo al paziente due pacchetti di sigarette al giorno. Credo che Brindisi sarà ben lieta di fare a meno di sperimentare questa nuova follia. La centrale di "Costa Morena, infatti - come si legge nell'articolo - sarebbe la prima in Italia a far funzionare un gruppo termoelettrico a carbone con l'impiego di percentuali di questo derivato del Cdr (Combustibile da rifiuti) e del Css (Combustibile solido secondario)".

Altro che 'combustibile alternativo', come lo definisce la multiutility che controlla Edipower. Io parlerei piuttosto di 'inquinamento alternativo'. O, meglio ancora, parlerei di un ricatto da parte di chi sostiene che non vi sia alternativa all'inquinamento. Non è un caso che l'azienda dica di poter mantenere l'attuale organico e un imprecisato indotto, solo se questa 'rivoluzione' del combustibile andrà in porto.

E allora mi domando come si possa definire questa posizione un 'motivo di orgoglio, anche per la considerazione dimostrata per Brindisi'; e addirittura 'uno scenario da accogliere con grande interesse'. Piuttosto da una azienda di queste dimensioni, che non fa interventi di manutenzione da circa 10 anni, ci saremmo aspettati quanto meno un progetto industriale più dettagliato, con dati precisi sull'impatto ambientale dell'iniziativa e sui ritorni economici e occupazionali che imporrebbero a Brindisi di giocare ancora d'azzardo sul proprio futuro.

Inoltre, non si comprende bene il piano di smantellamento di due dei tre gruppi di produzione. Infatti, secondo quanto riportato nell'articolo, le intenzioni sarebbero quelle di ridurre la produzione termoelettrica di Edipower-A2A a un solo gruppo da 300 megawatt per 4.500 ore di attività annua, con un secondo gruppo di supporto. Mentre gli altri due impianti, fermi dal 2005, sarebbero smantellati secondo tempi da concordare.

Come ha anche sottolineato il sindaco di Brindisi, Mimmo Consales, col quale condividiamo lo stesso punto di vista, per noi la soluzione sta nella dismissione della centrale e nel riutilizzo dell'area a beneficio del Porto e dell'Area Industriale. Questo permetterebbe di liberare un sito enorme che ora sarebbe utilizzato solo per far funzionare un impianto da 300 megawatt, e soprattutto farebbe in modo che quel centinaio di dipendenti siano occupati immediatamente in altre aziende. Non possiamo più permetterci di sbagliare. Brindisi deve tornare di nuovo a respirare.

*Capogruppo Pd Consiglio regionale pugliese

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