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Giovedì, 25 Aprile 2024
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La grande sfida delle torri galleggianti. "Brindisi non deve perdere questo treno"

BRINDISI – Il futuro della produzione di energia eolica è in mare. E sono già in corsa verso l’applicazione di tecnologie avanzate – per restare all’Europa – la Gran Bretagna e la Germania. Quest’ultima ha addirittura affidato all’eolico offshore la totale sostituzione dell’energia prodotta dal nucleare, mentre gli inglesi cominceranno entro due anni a costruire i super-aerogeneratori da 10 megawatt ciascuno.

BRINDISI – Il futuro della produzione di energia eolica è in mare. E sono già in corsa verso l’applicazione di tecnologie avanzate – per restare all’Europa – la Gran Bretagna e la Germania. Quest’ultima ha addirittura affidato all’eolico offshore la totale sostituzione dell’energia prodotta dal nucleare, mentre gli inglesi cominceranno entro due anni a costruire i super-aerogeneratori da 10 megawatt ciascuno.

In entrambi i casi, i governi nazionali partecipano direttamente ai consorzi e agli investimenti in ricerca e sviluppo. La chiave di volta sono le piattaforme galleggianti semisommerse che consentono di risparmiare ai fondali marini il pesante impatto delle trivellazioni, e che consentono di spostare perciò molto al largo i campi eolici marini abbattendone anche l’impatto visivo.

Queste sono le parole magiche che rendono ormai l’eolico offshore più conveniente di quello sulla terraferma: ecocompatibilità, alta resa energetica. In più, possibilità di un diffuso indotto lungo la costa interessata, perché per la costruzione delle torri e delle piattaforme bisogna avere fabbriche e cantieri sul mare, onde evitare enormi problemi di trasporto.

La Germania, in questo settore, ha già deciso che sarà l’energia eolica prodotta da campi in alto mare a sostituire quella delle centrali nucleari di cui è stata decisa la fermata progressiva: 25 gigawatt installati entro il 2030. Per sostenere tale sforzo, il governo Merkel ha stanziato già 5 miliardi di euro. Una manna per le imprese specializzate tedesche come Siemens, che viaggia verso il potenziamento di tutte le sue fabbriche a partire da quelle che ha in Danimarca ma anche negli Stati Uniti, e le ricerche sui materiali e la portanza delle pale.

Non solo. C’è un esempio che può interessare Brindisi, ed è il piccolo porto tedesco di Cuxhaven, città di 52mila abitanti sul Mare del Nord, che è già uscito dalla fase in cui l’attività principale era la pesca, e diventerà invece uno dei siti di assemblaggio delle piattaforme e degli aerogeneratori destinati ai campi galleggianti che saranno collocati al largo delle acque territoriali delle Repubblica federale.

Nel Regno Unito, invece, che guida la classifica dei Paesi europei nel campo dell’energia eolica offshore con 1.341 megawatt già installati, tra il 2013 e il 2014 comincerà la produzione di Aerogenerator X, con una potenza installata di 10 megawatt, oltre il triplo di una torre eolica terrestre. E’ una struttura di 180 metri di altezza per un diametro delle pale di 275 metri, il cui engineering si deve alla Arup, ma dietro c’è un consorzio di cui fanno parte il governo, alcune università, Rolls Royce, Caterpillar, Shell e altre imprese.

E l’Italia? Il nostro Paese presenta le condizioni più vantaggiose in Mediterraneo per lo sfruttamento dell’energia eolica in mare. La tecnologia del solo ancoraggio con supporti degli aerogeneratori costituiti da piattaforme galleggianti consente, al momento, di operare su fondali sino a 500 metri di profondità (mentre nel Mare del Nord si va dai 20 ai 40 metri in media), e una delle zone più convenienti per il regime dei venti è la Puglia. Ma mentre per i campi offshore che prevedono torri installate direttamente nei fondali la distanza dei campi dalla costa si mantiene entro le 5-6 miglia, per l’offshore galleggiante si può andare molto più al largo rendendo invisibili i campi dalla terraferma.

Per l’Italia, una virata decisa dei programmi del governo verso l’eolico offshore vuol dire soluzione per alcune crisi di grande portata come quella di Fincantieri, e di sviluppo di know-how del settore privato come quelli detenuti ad esempio da Ansaldo. Basterebbe poco per riconvertire linee di produzione verso le piattaforme galleggianti. E ci sarebbero opportunità anche per Brindisi, dove non solo esiste una base di imprese metalmeccaniche all’altezza del compito, ma nella cantieristica ci sono addirittura esempi di tecnologie sperimentate.

“Noi siamo tra i precursori. Possiamo affermarlo tranquillamente – dice Gaetano D’Astore, amministratore del cantiere Cbs Srl – perché la nostra azienda ha progettato e realizzato la piattaforma galleggiante prototipo per Sky Saver – Blue H nel Canale d’Otranto, progetto che prevede 24 aerogeneratori ancorati su un fondale di 100 metri venti miglia al largo di Tricase Porto”. Ma sono passati già due o tre anni dal varo.

“Il problema è proprio questo. L’iter autorizzativo è durato quattro anni, e ciò ha indotto i finanziatori del progetto a investire intanto i capitali disponibili in una analoga operazione in Massachusetts. Noi abbiamo un contratto con Sky Saver per la realizzazione delle 24 piattaforme, quindi lavoro per almeno sei-sette anni con i vantaggi occupazionali immaginabili. Speriamo che adesso gli investitori riprogrammino anche il progetto di Tricase. Problemi con la Regione non ce ne sono più, anzi potremmo contare sul suo pieno appoggio, perché gli aerogeneratori su piattaforme galleggianti superano ogni obiezione riguardo gli impatti ambientali”, sottolinea Gaetano D’Astore.

C’è a Brindisi la tecnologia per le piattaforme, c’è un grande porto in attesa di riconversione, c’è un settore di costruzioni meccaniche avanzato, c’è la prima impresa italiana nel campo della realizzazione delle torri per aerogeneratori, con clienti in tutto il mondo, incluso un colosso come Vestas. E di questa azienda, la Leucci Costruzioni, è amministratore l’attuale presidente di Confindustria Brindisi, Giuseppe Marinò, che ci parla quindi in duplice veste.

“Ci vorrebbe molto poco per riconvertire imprese e porto e collocare Brindisi in  prima fila nella sfida dell’eolico offshore. Ma il nostro territorio ha gli stessi problemi del nostro Paese, che non riesce a stare al passo con gli altri. Sino al 2003 non avevamo un campo offshore, mentre il primo in Danimarca è entrato in funzione nel 1991”, dice Marinò. “E il problema in Italia e da noi è la politica del no, mentre altrove colossi come Google investono il 37% per cento del proprio patrimonio nell’energia eolica prodotta in mare”.

Ma queste obiezioni, con le piattaforme semplicemente ancorate e a grande distanza dalla costa dovrebbero cadere. “Veramente non avrebbe avuto gli impatti temuti neppure il progetto della Trevi Energy a cinque miglia dalla nostra costa sud – risponde il presidente di Confindustria Brindisi – ma adesso, dopo aver collocato con i referendum una pietra tombale sul nucleare dobbiamo stabilire subito come usare ciò che abbiamo, quindi fonti rinnovabili come l’eolico, e tornare a pensare con la nostra testa senza decidere come al solito solo sulla base delle esperienze altrui (come nel caso del Giappone)”.

“Quindi – prosegue Marinò – anche il partito del no rifletta sui vantaggio delle nuove tecnologie. Noi abbiamo una base di aziende, non solo la mia, all’altezza di questa sfida, e un porto che possono diventare una grande base industriale e logistica per l’intero Mediterraneo. Possiamo portare le nostre macchine ovunque, ed evitare di finire ancora in secondo piano. La tedesca Siag, nostra diretta concorrente, si è già insediata in Egitto. C’è una competizione da affrontare e vincere nel campo del nuovo eolico offshore. Non possiamo perdere tutti i treni – avverte Giuseppe Marinò – ma uno dobbiamo prenderlo ed è questo. Inoltre, non dobbiamo pensare di dover sempre produrre per gli altri: la Puglia può diventare una regione modello per la produzione di energia in mare, l’occupazione può crescere, bisogna partire liberandosi del terribile peso dei dubbi e delle impostazioni superate”.

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