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Mercoledì, 24 Aprile 2024
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"Pianeta carcere, l'università può fare molto per innovare la soluzione dei problemi"

BRINDISI – Gli studenti della facoltà di Scienze sociali, politiche e del territorio presso la Cittadella della Ricerca in Brindisi incontrano Pino Gennaro, medico di base specializzato in psichiatria, che illustra come i fenomeni di devianza possono essere spiegati all’interno di un istituto di pena e poi propone agli interlocutori di attivare l’università come mediatrice tra società esterna, istituzioni locali e carcere, utilizzandola come punto di osservazione-madre per fare ricerca e innovazione.

BRINDISI – Gli studenti della facoltà di Scienze sociali, politiche e del territorio presso la Cittadella della Ricerca in Brindisi incontrano Pino Gennaro, medico di base specializzato in psichiatria, che illustra come i fenomeni di devianza possono essere spiegati all’interno di un istituto di pena e poi propone agli interlocutori di attivare l’università come mediatrice tra società esterna, istituzioni locali e carcere, utilizzandola come punto di osservazione-madre per fare ricerca e innovazione.

Gennaro inizia col raccontare l’avvio della sua carriera cominciata circa tredici anni fa come consulente psichiatrico nel carcere di Brindisi e in parte a Lecce. Il budget delle ore era però scarso: appena 20 al mese. Lo psichiatra rileva il mancato sostegno da parte dello Stato nei confronti delle figure professionali che si occupano delle patologie psichiche dei detenuti. Gennaro denuncia le condizioni di totale disagio negli istituti di pena, quali sovraffollamento e mancata assistenza medica in primo luogo. La struttura di Borgo San Nicola a Lecce, infatti, è satura di 1840 detenuti quando potrebbe legalmente supportarne solo 600. L’attenzione del medico, spiega Pino Gennaro, non si deve limitare a curare solo l’aspetto amministrativo ma va rivolta soprattutto a migliorare il tenore di vita dei carcerati: “una gabbia per animali” è il modo con cui egli definisce la situazione attuale dell’istituto salentino. Essendo una “gabbia”, quindi, il carcere “sublima gli istinti”.

La gratificazione può arrivare, invece, - come è accaduto a lui - quando viene messo a disposizione un maggiore numero di ore: “Allora mi sono sentito apprezzato come professionista”. Per instaurare un rapporto anche affettivo col detenuto “bisogna dare amore”, sottolinea il medico. Le condizioni di devianza nelle quali agiscono i detenuti si manifestano attraverso gesti estremi, di tipo auto lesivo e tentativi di suicidio scaturiti proprio da “anestesia affettiva”. La ricerca dello psichiatra parte dalla constatazione del continuo stato di innocenza alla quale si appellano i detenuti; a posteriori si giunge alla conclusione che il “paradigma dell’innocenza” in realtà rappresenta per il soggetto l’unico appiglio per sfuggire alla condizione di alienazione cui inevitabilmente va incontro.

Nonostante i suoi buoni propositi, lo psichiatra Pino Gennaro viene poi costretto a lasciare le 40 ore dedicate al carcere a causa dell’inconciliabilità pratica con la sua professione di medico di base. Contemporaneamente viene emanata una legge che decreta che l’assistenza medica e psichiatrica venga assegnata a carico delle Asl, ma questo comporta una diminuzione del tempo dedicato ai pazienti.

Uno sguardo particolare è rivolto da Gennaro alla tossicodipendenza, con l’invito – anche in questo caso - a riflettere, operatori ed istituzioni insieme, sull’esigenza che la droga non venga studiata solo come fenomeno deviante, ma anche come caso clinico in analogia con tutte le altre patologie. Proprio da un approccio limitato, sostiene lo psichiatra, derivano gli scarsi successi di recupero dei tossicodipendenti. L’interrogativo che assilla il dottore è quello della vera utilità del carcere, e a tal proposito Pino Gennaro conclude paragonandolo ad un terreno difficile da coltivare: “Ma se in mezzo ai sassi si riesce a trovare anche un solo pezzo di terreno fertile, si riesce a cogliere i frutti migliori”.

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