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Giovedì, 18 Aprile 2024
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"Il polo universitario si difende dai tagli con facoltà inter-ateneo"

BRINDISI – Le università meridionali rischiano di rimetterci le penne, in uno scenario di tagli alla spesa pubblica che va facendosi sempre più fosco. Nessuno è tranquillo, neppure a Brindisi dove il polo universitario, con i suoi 2276 studenti, è al settimo posto in Italia tra le sedi decentrate. In rapporto al numero degli abitanti, la percentuale di iscritti è elevata: 878 sono quelli dei corsi collegati all’Università di Bari, che si tengono tra la sede dell’ex Ipai al quartiere Casale e quella dell’ex ospedale Di Summa (la maggior parte frequenta Economia); 1398 sono quelli delle due facoltà dell’Università del Salento con sede in Cittadella della Ricerca, Scienze sociali, politiche e del territorio e Ingegneria industriale. La soluzione? Puntare su facoltà inter-ateneo e chiedere anche l’intervento finanziario della Regione Puglia accanto a quello di Provincia e Comune di Brindisi. Ma ottenere fondi anche dalle società energetiche in sede di nuove convenzioni.

BRINDISI – Le università meridionali rischiano di rimetterci le penne, in uno scenario di tagli alla spesa pubblica che va facendosi sempre più fosco. Nessuno è tranquillo, neppure a Brindisi dove il polo universitario, con i suoi 2276 studenti, è al settimo posto in Italia tra le sedi decentrate. In rapporto al numero degli abitanti, la percentuale di iscritti è elevata: 878 sono quelli dei corsi collegati all’Università di Bari, che si tengono tra la sede dell’ex Ipai al quartiere Casale e quella dell’ex ospedale Di Summa (la maggior parte frequenta Economia); 1398 sono quelli delle due facoltà dell’Università del Salento con sede in Cittadella della Ricerca, Scienze sociali, politiche e del territorio e Ingegneria industriale. La soluzione? Puntare su facoltà inter-ateneo e chiedere anche l’intervento finanziario della Regione Puglia accanto a quello di Provincia e Comune di Brindisi. Ma ottenere fondi anche dalle società energetiche in sede di nuove convenzioni.

Lo sostiene Paolo Cavaliere, professore associato della Facoltà di Ingegneria industriale, il quale non nega affatto l’esigenza di una riforma dell’istituzione universitaria, “che si regge su una normativa che ha ormai 30 anni mentre la società ha subito cambiamenti profondi”, ma contesta fortemente i criteri annunciati dal ministro Gelmini. Mostrare l’attuale legge 382 del 1980 e le sue 64 pagine, al cospetto del tomo dell’Ordinamento universitario con ben 2096 pagine di disposizioni attuative e progressive modifiche, rende bene la necessità “di regole semplici e univoche, unico mezzo per governare bene 2 milioni di studenti e docenti dell’Università italiana”, dice Cavaliere. Invece se si legge la proposta di riforma della Gelmini “la frase che ricorre 11 volte è ‘senza aggravio di spesa”. Ma in questi ultimi due anni di crisi economica globale nessun Paese industrializzato ha ridotto il finanziamento all’università ed alla ricerca. Un solo esempio per tutti: la Corea del Sud ha elevato il budget da 2,85 al 5 per cento del Pil nazionale”.

L’Italia invece taglia, agitando lo spettro di sedicenti sprechi. “Personalmente, nel corso di dibattiti televisivi –racconta Cavaliere- ho sfidato le istituzioni politiche ad indicare gli sprechi di cui parlano. Nel corso degli stati generali dell’Università del Salento da rappresentanti del Pd è venuta una proposta ragionevole: si istituisca un tavolo tecnico al Miur, e lo staff del ministro indichi caso per caso quali sono gli sprechi e quali misure adottare. Ma nel corso di questo confronto sull’Università del Salento tale proposta è stata respinta, mentre il sindaco Paolo Perrone e il sottosegretario Alfredo mantovano hanno parlato di riduzione dei corsi”.

E quest’ultima non potrebbe essere una via da percorrere? “Il taglio dei corsi decentrati non comporta alcun risparmio –risponde Paolo Cavaliere- perché i professori, che non vengono certo pagati in base al numero dei corsi dove insegnano, rappresentano un costo invariabile. Quindi dove sta il risparmio? C’è anche la proposta di Bersani, che dice tutti i professori in pensione a 65 anni, ma si dimentica che in Italia uno diventa docente spesso a 45-50 anni. Ma sarebbe comunque una forma per spezzare proprio questo circuito strozzato di accesso all’insegnamento, quindi da accompagnare con interventi sull’intero meccanismo”.

Conclusione, “l’unica operazione saggia da fare è bloccare la riforma Gelmini –sostiene il professore Paolo Cavaliere- e mettersi a riflettere su cosa fare per migliorare davvero l’Università in Italia”. Recentemente Nicola Zingaretti, Pd, presidente della Provincia di Roma, ha scritto su “Il Riformista” che non è giusto fare pagare tasse universitarie uguali per tutti, ma bisogna valutare qualità della formazione e delle strutture di ognuna delle università. Cosa ne pensa Cavaliere? “La proposta di Zingaretti apre un dibattito su ciò che costituisce un considerevole patrimonio della nazione. Il diritto allo studio, è bene sia chiaro, equivale a quello alla salute e deve essere costituzionalmente garantito a tutti. Perché chi nasce nel profondo Salento ed è bravo ma non ha i soldi non deve essere messo in condizione di studiare dove crede? Vogliamo fare l’esempio delle celebrate università americane?”. Facciamolo.

“Sono 30 anni che alcune istituzioni specializzate –spiega Cavaliere- fanno l’elenco delle migliori 30 università al mondo. Il Mit di Boston è sempre tra le prime cinque, ma seguendo il suo motto nessuno studente meritevole è mai stato impedito l’accesso’. Come fanno? Gli studenti ricchi pagano la retta di 45-50mila dollari, a quelli poveri i soldi li trova l’università attraverso il prestito d’onore o borse di studio. All’esame di ammissione al Mit l’anagrafe tributaria non è richiesta. Qui invece –prosegue il professore Cavaliere- la situazione è opposta. Ecco perché occorre porsi il problema del costo della formazione universitaria soprattutto al Sud, dove il Pil è la metà rispetto alla media nazionale. La questione non è la tassa, ma il mantenimento agli studi. A quanti talenti potenziali rinuncia il Sud, perché i giovani capaci e desiderosi di studiare non possono accedere ad università fuori sede per i costi enormi di permanenza nelle città del Centro-Nord?”.

“Allora come si garantisce a tutti i giovani bravi l’accesso alla formazione universitaria? Come è possibile che vi siano gravi disparità di qualità della formazione e dei servizi tra una sede e l’altra se uno dei fondamenti in Italia è che il titolo di studio ha uguale valore sul territorio nazionale? Come si garantisce il diritto costituzionale e il valore stesso della laurea se gli investimenti non sono funzionali a ciò? Tutto allora diventa senza senso”, afferma Cavaliere. “Per il ministro Gelmini 80 università pubbliche in Italia rappresentano una catastrofe. Negli Usa le università pubbliche sono 600, e se dovessimo stabilire una relazione in base al rapporto con la popolazione, in Italia dovrebbero essere 120”.

C’è però un problema obiettivo che riguarda l’insegnamento. “La questione dei professori e della loro funzione esiste –ammette Cavaliere- . Rifacciamo l’esempio degli Usa, dove il professore può fare solo il professore, ricavando al massimo i 9 dodicesimi dello stipendio dall’insegnamento nell’università dove lavora, e il resto (ma nell’arco rigoroso di tre mesi) da attività integrative in sede o dalla ricerca. In Italia invece uno può andare in pensione anche senza aver fatto neppure mezz’ora di lezione in tutta la propria storia professionale. Vedi casi eclatanti di chi ha acquisito la docenza mentre era parlamentare o occupava una carica istituzionale, e in università non ci è mai andato. Per me questa è una delle correzioni da apportare al sistema”.

Ma veniamo al polo universitario brindisino. “E’ un’esperienza che è partita solo da quattro anni, e che oggi ha 2276 studenti. Per numero di iscritti è il settimo tra i poli decentrati in Italia su ben 200 esempi. Da questo punto di vista è un esperimento straordinariamente riuscito. Tantissimi studenti che non avrebbero potuto frequentare fuori sede, hanno avuto la possibilità di iscriversi e soprattutto di frequentare le lezioni. Ma è anche un esperimento che si può migliorare ancora di molto. Come tutte le cose partite senza troppa meditazione preliminare, si può razionalizzare. Ma è necessario un intervento corale molto ampio”, ritiene Cavaliere.

In che senso? “Tenendo conto che gli enti locali investono risorse non trascurabili nel polo universitario brindisino, dobbiamo valutare intanto se l’offerta formativa è adeguata alle esigenze del territorio, se agli studenti vengono assicurati formazione e servizi adeguati, se l’attività culturale è adeguata all’obiettivo formativo –spiega il professore Paolo Cavaliere-. Su ciò, è bene si sappia, l’università non ha alcuna remora, proprio perché nessuno pensa che in quattro anni si potesse fare la cosa migliore del mondo, ma consapevoli che attrezzature, personale, ambienti qualificati e funzionali hanno costi molto più alti di quanto Provincia e Comune di Brindisi possano garantire”Il prossimo passo, per Cavaliere, è perciò quello –al cospetto di una riforma fondata sui tagli- di possibili facoltà inter-ateneo tra Bari e Lecce, “ma con governante autonome che consentano si essere interlocutrici reali del territorio”. Ad integrare le risorse finanziare deve provvedere, secondo Cavaliere, la Regione Puglia.

“E’ già intervenuta per finanziare i laboratori di Ingegneria a Brindisi, ma i laboratori hanno bisogno anche di bravi tecnici. E allora perché non chiedere finanziamenti anche alle aziende energetiche nell’ambito delle future convenzioni? Infine, è necessario probabilmente verificare costantemente la domanda di formazione: ciò va fatto con gli istituti superiori, a partire da quest’anno. Io credo che siano questi i passai giusti di cui ha bisogno il sistema universitario in generale, e il polo brindisino nello specifico.  I tagli sono una risposta assolutamente inadeguata”.

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