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Martedì, 23 Aprile 2024
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Nafta, fango e Sant'Elia: quando la vita è una bella mischia di rugby

BRINDISI - Coesione, sostegno, accompagnamento, aiuto, spinta, avanzamento, tocco, pausa, ingaggio, maul, touche, placcaggio, mischia, drop, meta, in una sola parola Rugby. Un gioco bestiale giocato da gentiluomini, ha detto qualcuno. Sì, perché nel rugby ci sono regole ferree, e delle punizioni ancor più rigide che vanno dall’arretramento di una decina di metri sino alla radiazione, l’espulsione di un giocatore dal gioco vita natural durante. Forse un gioco per soli duri perché bisogna avere muscoli d’acciaio e gambe solide; molto probabilmente un gioco sporco, ma solo perché a volte è davvero difficile restare puliti quando piove ed il campo è pieno di fango; senza dubbio un gioco di contatto, perché se hai paura del contatto fisico forse è il caso di restare sugli spalti, ma soprattutto un gioco per cuori gentili, dove è necessario sempre rispettare le regole, per l’incolumità degli altri giocatori, e dove il sostegno è fondamentale, perché la squadra si muove come un solo corpo, e tutti devono proteggere e accompagnare l’arto più lungo, il giocatore che porta la palla.

BRINDISI -  Coesione, sostegno, accompagnamento, aiuto, spinta, avanzamento, tocco, pausa, ingaggio, maul, touche, placcaggio, mischia, drop, meta, in una sola parola Rugby. Un gioco bestiale giocato da gentiluomini, ha detto qualcuno. Sì, perché nel rugby ci sono regole ferree, e delle punizioni ancor più rigide che vanno dall’arretramento di una decina di metri sino alla radiazione, l’espulsione di un giocatore dal gioco vita natural durante.  Forse un gioco per  soli duri perché bisogna avere muscoli d’acciaio e gambe solide; molto probabilmente un gioco sporco, ma solo perché a volte è davvero difficile restare puliti quando piove ed il campo è pieno di fango; senza dubbio un gioco di contatto, perché se hai paura del contatto fisico forse è il caso di restare sugli spalti, ma soprattutto un gioco per cuori gentili, dove è necessario sempre rispettare le regole, per l’incolumità degli altri giocatori, e dove il sostegno è fondamentale, perché la squadra si muove come un solo corpo, e tutti devono proteggere e accompagnare l’arto più lungo, il giocatore che porta la palla.

“Perché la cosa più stupida che qualcuno possa fare è prendere la palla e correre verso la meta all’insaputa dei tuoi compagni”  dice l’allenatore della Asd Nafta Brindisi Rugby, Mario Spalluto, ex giocatore ed insegnante di letteratura inglese. Lo abbiamo incontrato ieri alla redazione del giornale con alcuni studenti della Facoltà di Scienze Sociali, Politiche e del Territorio in occasione  del progetto “giornale on line di Facoltà” (attualmente nella fase di scoperta e conoscenza del territorio) al quale gli studenti dell’Università del Salento del Polo di Brindisi e il giornale BrindisiReport.it stanno lavorando.

Con il prof. Spalluto c’era anche  Emanuele Amoruso, sociologo ed appassionato di rugby, che in un pub di Dublino, assieme ad alcuni amici, ha avuto l’idea di usare il rugby come strumento di inclusione sociale reclutando ragazzi dei quartieri più disagiati di Brindisi per sottrarli ad una vita a rischio di devianze, in una città che fino a qualche anno fa era avvelenata dal cancro del contrabbando. Ed è proprio in uno dei quartieri maggiormente a rischio per l’alto tasso di devianza giovanile e non solo, il quartiere Sant’Elia,  che nasce l’unico campo da rugby di Brindisi, scampato alle grinfie dello sport più celebre al mondo solo per una questione di fortuna, visto che la zone dove nasce il campo non poteva essere estesa per motivi urbanistici, e dunque non risultava avere i requisiti giusti per diventare un campo di calcio.

“Un gioco pieno di handicap”, lo ha definito il coach Spalluto, dove una delle regole fondamentali è che la palla può e deve essere passata solo all’indietro, un movimento difficile al quale il corpo deve esser educato, educato a correre in avanti e torcere il busto per passare la palla all’indietro. Un gioco per certi versi anti-intuitivo perché se vieni placato, bloccato e fatto cadere al suolo da un avversario, invece che proteggere la palla, come istintivamente verrebbe di fare, devi posizionarti nella maniera migliore possibile e lasciarla andare dove i tuoi compagni possono prenderla e continuare l’azione. Un gioco nel quale il rispetto per l’avversario la fa da padrone a cominciare dall’applauso che la squadra vincitrice della partita fa agli sconfitti  mentre questi passano in un tunnel fatto dai giocatori della prima, fino ad arrivare al cosiddetto terzo tempo, momento in cui tutte le rivalità vengono lasciate al campo e le due squadre consumano un boccone ed una birra fresca alla fine della partita, dopo la doccia, regola valida anche per le rispettive tifoserie.

Uno sport quasi fuori dagli schemi se confrontato con il calcio, dove gli screzi vengono risolti spesso con le capocciate e altri colpi proibiti, e sugli spalti affiorano cori e striscioni razzisti. “Una squadra di rugby è come un’intelligenza collettiva, tutti i giocatori sembrano muoversi come se fossero tutti collegati da fili invisibili, come un unico corpo”, dice Lele Amoruso, che sottolinea il valore educativo dello sport in generale e del rugby in particolare, che possiede regole forti dal punto di vista dell’entità di squadra che per funzionare ha bisogno di assoluta coesione, non ci sono individualità emergenti su cui fare affidamento per vincere il match, tutti i ruoli sono importantissimi e devono cooperare per arrivare alla meta. “Il rugby, dice ancora Amoruso, non produce il leaderismo che producono altri sport, ma promuove dinamiche di collaborazione e rispetto delle norme sociali, limita la devianza ed insegna l’appartenenza ad un corpo collettivo, è come se si appartenesse ad un movimento nel quale si sta insieme perché si crede in qualcosa”.

Ma il caso di Brindisi non è l’unico esempio di inclusione sociale prodotta dal rugby, a livello mondiale ci sono in particolare due grandi dimostrazioni delle potenzialità educative di questo sport da gentiluomini. La prima è quella della nazionale dell’Irlanda che nel rugby si presenta unita senza cioè rispecchiare la rivalità socio-politica  tra nord e sud. L’altra dimostrazione, forse la più nota grazie anche ad un film di recente uscita del grande regista americano C. Eastwood, è quella della nazionale di rugby del Sud Africa utilizzata da Nelson Mandela come strumento per contrastare l’apartheid tra la popolazione nativa e i coloni inglesi. Non si tratta dunque di uno sport per teste calde, al contrario impone rigore anche in quelle situazioni in cui ci si aspetterebbe disordine totale come suggerisce la parola stessa, nella mischia, che altro non è se non un modo ordinato di riprendere il gioco dopo un’infrazione, un “equivoco linguistico” come nel senso comune il rugby. Un insegnamento anche per la vita di tutti i giorni: dopo una mischia c’è sempre una speranza di andare in meta.

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