Posto che prima del sottoscritto, la notizia della proroga 30 giorni richiesta dai comuni di Torre Santa Susanna e di Oria all’amministratore dell’agenzia dei beni confiscati di mantenere ancora la gestione degli stessi, era stata riportata e sottoposta da varie ed autorevoli testate giornalistiche
Con decreto del 30 settembre 2015 l'Anbsc (Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata), ha assegnato i beni della famiglia Bruno di Torre Santa Susanna, confiscati definitivamente ad aprile del 2014, ai Comuni di Torre Santa Susanna, Oria, Mesagne e San Pancrazio Salentino
Scatta la confisca definitiva dei beni della famiglia Bruno. Tale provvedimento, eseguito alle prime luci del giorno dai carabinieri del nucleo investigativo del reparto operativo del comando provinciale di Brindisi, riguarda beni mobili e immobili per una valore di 5 milioni di euro nella disponibilità del sodalizio criminale
L’impianto accusatorio è stato del tutto confermato per quelli di Contrada Canali. Il conto era diventato più salato in secondo grado, quando la Corte d'Appello accolse in toto l'appello del pm Milto Stefano De Nozza, la Cassazione ora ha stabilito: rigettati tutti i ricorsi delle difese. Le pene sono definitive.
BRINDISI - Erano legati a doppio filo con “quelli di contrada Canali”, al clan Bruno di Torre Santa Susanna, ma dediti principalmente al traffico di droga. Sono stati condannati in primo grado, in secondo grado e ora anche la Cassazione ci ha messo il sigillo: sono stati infatti rigettati i ricorsi delle difese per 12 imputati.
BRINDISI - Centosei anni e tre mesi. Arriva il conto della giustizia nei confronti del clan di contrada Canali, sgominato dai carabinieri il 31 marzo 2008. Il sodalizio di Torre Santa Susanna riconducibile alla famiglia Bruno, accusato oltre che per associazione mafiosa anche di droga, armi, estorsioni.
BRINDISI - Poco meno di due secoli di carcere, 197 anni in totale per undici imputati, più una assoluzione. E' il bilancio presentato dal pubblico ministero Milto De Nozza nella requisitoria finale del processo a carico del presunto clan torrese capeggiato dalla famiglia Bruno. Associazione a delinquere di stampo mafioso e traffico di stupefacenti, intorno alle due principali ipotesi di reato a carico del clan decimato il 31 marzo 2008 dai carabinieri del comando provinciale di Brindisi, in uno con la stazione dell’Arma di Torre, si è dipanata la lunga discettazione del magistrato inquirente, in punta di diritto. Ma anche e soprattutto di fatti, di sentenze già passate in giudicato, di pronunciamenti del Riesame, di sequestri di armi e droga, e solo in ultimo di rivelazioni concesse da due collaboratori di giustizia, che non hanno fatto altro che confermare un quadro accusatorio già solidamente delineato, gravido di una mole impressionante di intercettazioni, molte delle quali considerate dal pm “di una evidenza schiacciante”.
TORRE S. SUSANNA - L’ex primula rossa della Scu, Francesco Campana, sarà in aula il 19 maggio prossimo. Il super-boss fedelissimo di Pino Rogoli, a capo del clan già presieduto da Salvatore Buccarella, testimonierà nel processo Canali, scaturito dall’operazione che decimò il clan Bruno di Torre Santa Susanna. La testimonianza di Campana è stata invocata dal collegio difensivo, sulla scorta delle dichiarazioni rese dal collaboratore di giustizia Ercole Penna. In uno dei verbali di interrogatorio resi all’atto del pentimento, Penna racconta: “I Campana infatti erano molto legati a Pino Rogoli e non ritenevano giusto il trattamento che era stato riservato al ‘vecchio’ quando nel 1998 era stato, in un certo senso, messo da parte. Francesco Campana era infatti rimasto fedele a lui ed era in buoni rapporti con Salvatore Buccarella e con ‘quelli della Torre’, cioè i fratelli Bruno. Francesco Campana ha sempre avuto un debole per loro…”. Affermazioni tutte da verificare che la difesa, a rigor di logica, non ritiene possano trovare conferma alcuna nelle dichiarazioni di Campana.
TORRE S. SUSANNA - Dopo tredici anni di 41 bis Ciro Bruno, boss torrese della Scu due volte condannato all’ergastolo per omicidio, torna nelle aule del tribunale di Brindisi. Il processo è quello che deciderà le sorti del sequestro preventivo che il 15 giugno 2009 fece finire sotto sigillo beni immobili per circa cinque milioni di euro, tanto almeno secondo la stima dei consulenti interpellati dal sostituto procuratore Adele Ferraro. I fratelli Bruno, il maggiore Ciro, e il capo in seconda Andrea, assurto al rango di capoclan dopo la condanna a vita del fratello, hanno assistito dietro le sbarre alla querelle fra consulenti: se la stima dei beni per i tecnici del pm ammonta a cinque milioni, per i consulenti del collegio presieduto dal giudice Gabriele Perna, quel patrimonio vale non più di 2.500.000 euro, mentre si riduce a un milione di euro per i consulenti chiamati in causa dalla difesa, gli avvocati Cosimo Lodeserto e Vito Epifani.