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Giovedì, 25 Aprile 2024
Cronaca Francavilla Fontana

Omicidio di Paolo Stasi: "Avevano intenzione di uccidere anche la madre della vittima"

Nuovi retroscena dell'inchiesta che ha portato all'arresto dei presunti responsabili dell'uccisione del 19enne di Francavilla Fontana emergono dall'ordinanza del gip

FRANCAVILLA FONTANA – “Adesso quella dovevamo ‘fare’”. Questa frase rientra in una conversazione che secondo il gip sarebbe emblematica della volontà di uccidere anche la madre di Paolo Stasi, dopo l’omicidio del figlio. Il termine “quella” sarebbe infatti riferito alla donna. Per “fare” si intenderebbe sparare. A pronunciarla sarebbe stato il 18enne L.B., minorenne all’epoca dei fatti, mentre parlava con il 21enne C.C. I due, entrambi di Francavilla Fontana, sono stati condotti in carcere stamattina (lunedì 22 maggio) per l’omicidio premeditato del 19enne avvenuto il pomeriggio dello scorso 9 novembre davanti all’ingresso dell’abitazione della vittima in via Occhi Bianchi, nel centro di Francavilla. 

Il retroscena emerge dalle 142 pagine di ordinanza di custodia cautelare a firma del gip del tribunale di Brindisi, Vittorio Testi, notificate stamattina ai due giovani e ad altri sei indagati (fra cui una 24enne sottoposta ai domiciliari e due 24enni gravati dalla misura dell’obbligo di dimora) che non rispondono dell’omicidio ma di reati in materia di droga. Fra gli indagati a piede libero figura anche la madre di Paolo Stasi, la 53enne A.D.E., accusata di detenzione in concorso di sostanze stupefacenti. 

Paolo Stasi-2

Le indagini sono state condotte dai carabinieri del Nucleo investigativo del reparto operativo di Brindisi al comando del tenente colonnello Raffaele Federico, coordinati dai pm del tribunale di Brindisi Giuseppe De Nozza e Paola Guglielmi. Nei confronti del 18enne L.B., proprio perché minorenne all’epoca dei fatti, procede il procuratore presso il tribunale dei minori di Lecce, Simona Filoni. 

Telecamere, intercettazioni e analisi dei telefonini

L’analisi del telefono cellulare di Paolo Stasi effettuata nell’immediatezza del delitto ha fornito degli elementi che a stretto giro hanno indirizzato gli investigatori verso i due sospettati e quindi verso la pista della droga. Riscontri di fondamentale importanza sono arrivati anche dall’analisi delle immagini riprese dalle telecamere installate nei pressi dell’abitazione del 19enne e dalle intercettazioni ambientali dei dialoghi fra gli stessi sospettati e le rispettive fidanzate, che devono rispondere di una serie di episodi di spaccio di sostanze stupefacenti.  Il confronto incrociato fra le registrazioni degli impianti di videosorveglianza e le analisi delle utenze telefoniche è stato preziosissimo. 

La ricostruzione dell’omicidio

Da quanto accertato dai carabinieri, L.B. sarebbe arrivato nei pressi dell’abitazione di Paolo Stasi a bordo di una Fiat Grande Punto con i vetri e il lunotto posteriori oscurati, condotta da C.C. Il 18enne, seduto sul sedile posteriore, alle ore 17.31 del 9 novembre sarebbe sceso dalla vettura, parcheggiata all’altezza dell’incrocio con via Di Vagno, e dopo aver percorso poche decine di metri sarebbe arrivato davanti casa di Paolo Stasi, uccidendolo con due colpi di pistola di piccolo calibro (non ancora ritrovata), uno dei quali, quello fatale, in pieno petto.

Nel giro di un paio di minuti il 18enne (17enne all’epoca dei fatti) sarebbe tornato a bordo della Grande Punto condotta dal complice e da lì si sarebbero dileguati verso le campagne. Pochi minuti prima dell’agguato, L.B. avrebbe contattato telefonicamente Stasi. Lo avrebbe fatto da un’utenza intestata a uno straniero residente in Campania, con l’accorgimento della telefonata da “numero sconosciuto”. L’escamotage però è servito a poco, perché i carabinieri sono comunque risaliti al numero di telefono da cui è partita la chiamata. Quello stesso numero era memorizzato nella rubrica telefonica dello smartphone di Stasi con nome e cognome di L.B. 

Il 19enne, dunque, sarebbe sceso da casa su richiesta del suo amico, che intorno alle ore 15.30 quello stesso giorno era già andato a trovarlo presso la sua abitazione. A riferire questa circostanza è stata la madre di Stasi, nel corso di una deposizione resa alcuni giorni dopo. Da quanto riferito dalla donna, L.B. aveva fatto visita al figlio dicendogli di aver avuto una discussione con altre persone e preannunciandoli che sarebbe tornato per ricevere “la borsa con le bustine”. 

E in effetti, due ore dopo, Stasi sarebbe andato incontro al suo killer con una borsa della spesa verde contenente circa 3 grammi di marijuana, dei bilancini di precisione e materiale da taglio. Prima dell’arrivo dei carabinieri e dei soccorritori del 118, la madre del 19enne avrebbe spostato la busta nella camera da letto del figlio, dove poi è stata recuperata dai carabinieri. 

Il movente

Stasi e L.B., dunque, da quanto accertato dagli investigatori, si conoscevano bene. Il primo avrebbe custodito la droga in casa (perlopiù marijuana) per conto del secondo. Nell’ambito di questo rapporto il 19enne avrebbe accumulato con L.B. un debito per una somma complessiva pari a circa 5mila euro. E’ lo stesso indagato a parlare del movente nel corso di una conversazione con C.C. “Ho perso i soldi – afferma l’indagato – non li ho recuperati. Poi sapendo che in tanti anni mi hai rubato sempre…non è nemmeno bello”. Sempre parlando con il suo amico, sembra che L.B. faccia un chiaro riferimento all’omicidio. “No eppure io mi allontanai – dice il 18enne (all’epoca 17enne) – quando lo sparai e là diede un colpo più (nel cadere per terra, si precisa nell’ordinanza) hai capito?” 

L’intenzione di uccidere la madre

E in uno dei dialoghi agli atti dell’inchiesta, emergerebbe il proposito di uccidere la madre di Stasi. Nel motivare il “serio pericolo” di reiterazione del reato, il gip fa riferimento al fatto che “i due indagati e il L.B. in particolare (dissuaso da C.C. solo con riguardo alla tempistica) abbiano palesato nel corso di alcune conversazioni l’intenzione di uccidere anche la madre di Paolo Stasi, ritenendo nella loro ingenuità che la A.D.E. fosse l’unica persona a conoscenza dei rapporti illeciti che coinvolgevano L.B. e il figlio defunto e, soprattutto che fosse l’unica persona che avrebbe potuto far emergere il coinvolgimento di L.B. nell’omicidio del figlio”. 

La posizione della madre

Per quanto riguarda la posizione della donna, a detta del gip “dalle indagini non emergono elementi per apprezzare un suo effettivo contributo agevolatorio, di tipo materiale o semplicemente morale, alla commissione del reato (di detenzione di sostanze stupefacenti, ndr)”. “La donna – si legge ancora nell’ordinanza – si limitò da un lato ad accettare che sui figlio Paolo consumasse in casa sostanze stupefacenti del timo marijuana (e forse hascisc), che detenesse in casa quelle stesse sostanze per conto e unitamente a L.B. e dall’altro, a consumare modici quantitativi di quelle stesse sostanze stupefacenti grazie alla collaborazione del figlio”. 

Spaccio di droga anche dopo l’omicidio

È nello scenario dello spaccio di droga, dunque, che è maturato il delitto: uno dei più gravi fatti di cronaca avvenuti negli ultimi anni nel Brindisino, una vicenda che ha profondamente scosso la comunità di Francavilla. Anche dopo l’omicidio, fino a dicembre inoltrato, nonostante gli occhi puntati degli investigatori (il 3 dicembre L.B subì una perquisizione domiciliare nel corso della quale furono rinvenuti quasi 9mila euro in banconote ritenuti proventi o profitto dell’attività di spaccio e delle bustine di sostanza stupefacente), il 18enne e il 21enne, in concorso con altri indagati, sarebbero stati coinvolti in vari episodi di spaccio di sostanze stupefacenti trasportate in alcuni casi da Bari e in altri da Taranto. 

“L’aspetto più sconcertante della vicenda in esame – scrive ancora il gip – è rappresentato dal peculiare contesto di (dis)valori emergente dai dialoghi intercorsi tra L.B, C.C. e le rispettive fidanzate. I quattro indagati, e in particolare L.B., C.C. e M.M. (la fidanzata di L.B.) continuarono a svolgere senza sostanziale soluzione di continuità i loro traffici delittuosi concernenti le sostanze stupefacenti, incuranti delle indagini preliminari che sapevano essere indirizzate anche nei loro confronti, e preoccupandosi soltanto di reperire un nuovo collaboratore che li agevolasse nella custodia e nella suddivisione in dosi delle sostanze stupefacenti trafficate, non potendo più contare, dopo la sua uccisione, su Paolo Stasi”. 
 

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