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Redazione

Abuso dei gastroprotettori: una pratica molto diffusa

Sempre pià studi mostrano gli effetti avversi di questi farmaci, che andrebbero utilizzati solo quando indicato e necessario

Gli inibitori di pompa protonica (Ppi) come pantoprazolo, omeprazolo e lansoprazolo rientrano tra i farmaci più commercializzati in Italia. Tuttavia, come diceva Paracelso “sola dosis facit venenum”. In effetti, per ogni farmaco commercializzato e somministrato, tra le tante cose, bisogna sempre valutare i suoi effetti collaterali nel breve e nel lungo periodo. Però, se gli effetti di una molecola sul breve periodo sono semplici da studiare, differente è il discorso riguardante gli effetti di una terapia nel lungo periodo. Questo perché, oltre che necessitare per l’appunto di tempo, vi sono tutta una serie di fattori confondenti che con il tempo stesso possono insinuarsi rendendo difficoltosa l’analisi dei dati a disposizione.

Tutto questo per dire che nonostante i Ppi  siano ad oggi tra i farmaci più sicuri e utili nel trattamento e prevenzione di quadri patologici oramai endemici nella nostra società, è pur vero che dovrebbero essere prescrit ed utilizzati al dosaggio inferiore e per il minor lasso di tempo in relazione al quadro clinico e non “ad libitum” come spesso accade. Sempre più sono oramai gli studi che mostrano gli effetti avversi, più o meno rari, che possono associarsi alla somministrazione cronica di suddetti farmaci. Sicuramente un primo problema riguarda la possibile interazione con altri farmaci assunti. Inoltre, studi hanno mostrato come l’assunzione di Ppi in cronico si possa associare ad un ridotto assorbimento di vitamina B12, ferro, magnesio e anche ad un rischio aumentato di fratture ossee per una potenziale influenza sul metabolismo del calcio. Se ci spostiamo sul fronte delle complicanze infettive, invece, un uso cronico di Ppi  è stato associato in più studi ad un aumento del rischio relativo di infezioni intestinali, tra cui quelle da Clostridium difficile.

Possiamo quindi ben capire come essi espongano potenzialmente a quadri di disbiosi intestinale, spesso a sua volta causa di quadri patologici oramai ben noti. Quanto detto fin ora ha portato in alcuni casi ad avvertimenti da parte delle agenzie di farmacovigilanza. Tuttavia, nonostante un plausibile meccanismo biologico sottostante a tutti questi affetti avversi, non è stato sempre possibile evidenziare una forte associazione tra l'uso protratto dei Ppi e queste condizioni. Nell’attesa quindi che la ricerca possa darci risposte certe e sicure, la raccomandazione principale è quella di utilizzare i Ppi solo quando indicato e necessario. In questo contesto, il ruolo del farmacista insieme a quello del medico è di fondamentale importanza per sensibilizzare ed educare il paziente ad una revisione periodica dei propri farmaci onde evitare l’assunzione di terapie non più necessarie

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