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Carbonile Brindisi Nord, tutti assolti

BRINDISI - Sono dieci anni o poco meno che si dibatte di carbone e carbonili, in particolare di quello di Brindisi Nord che fu condiviso da Enel e da Edipower, che era scoperto e il carbone svolazzava qua e là. Di quella coltre nera che costringeva a chiudere le finestre, dell’inquinamento del suolo e del sottosuolo. C’è stata un indagine. Oggi, nel tardo pomeriggio, si è chiuso il processo che già nel 2009 si era ritrovato in un punto di svolta: il giudice Stefania De Angelis ha stabilito che il ‘fatto non sussiste’ e ha assolto i tre imputati rimasti alla sbarra per l’inquinamento provocato dal carbonile di Brindisi Nord.

BRINDISI - Sono dieci anni o poco meno che si dibatte di carbone e carbonili, in particolare di quello di Brindisi Nord che fu condiviso da Enel e da Edipower, che era scoperto e il carbone svolazzava qua e là. Di quella coltre nera che costringeva a chiudere le finestre, dell’inquinamento del suolo e del sottosuolo. C’è stata un indagine. Oggi, nel tardo pomeriggio, si è chiuso il processo che già nel 2009 si era ritrovato in un punto di svolta: il giudice Stefania De Angelis ha stabilito che il ‘fatto non sussiste’ e ha assolto i tre imputati rimasti alla sbarra per l’inquinamento provocato dal carbonile di Brindisi Nord.

In 51, tutti ‘padroncini’, avevano accettato quattro anni fa la prescrizione anticipata: erano imputati per getto pericoloso di cose e per danneggiamento. Da oggi sono liberi da ogni affanno, per lo meno stando al pronunciamento di primo grado, anche Mirko Luciano Pistillo, all’epoca dei fatti contestati responsabile dell’area Business Termoelettrica Enel di Brindisi, Lorenzo Laricchia, dirigente responsabile della Logistica Combustibili dell’Enel e Ivo Fulvio Guidi dirigente della centrale Edipower. I reati loro contestati erano l’attività di gestione rifiuti non autorizzata e l’omessa bonifica dei siti, con conseguente inquinamento del suolo e del sottosuolo.

Il processo che ha riguardato fatti risalenti al periodo compreso tra il 2002 e il 2004, nasce da un’indagine del 2005 e si è chiuso nel tardo pomeriggio di oggi con la lettura del dispositivo. Il pm titolare dell’accusa, Giuseppe De Nozza, aveva formulato richieste di condanna a poco più di un anno di reclusione per i tre imputati, difesi dall’avvocato Tommaso Marrazza, oltre che di confisca del carbonile.

Nel 2009 il giudizio con una prescrizione anticipata per 51 proprietari di ditte di trasporto del carbone, i cosiddetti ‘padroncini’ che erano imputati per getto pericoloso di cose e di danneggiamento. Si trattava del processo, denominato ‘Coke’ nel corso del quale vi fu una transazione in favore del Comune, oltre che un accordo con il Ministero dell’Ambiente che rinunciarono (il primo solo parzialmente) alla costituzione di parte civile.

Tanto per intenderci è il processo della transazione da un milione e trecentomila euro per il sistema del verde del parco Di Giulio, allestito da Enel, oltre che per l’accordo raggiunto con il ministero che oltre a sancirne l’uscita di scena per quelle ipotesi, ha fatto sì che non vi fosse alcuna costituzione di parte civile nel giudizio da parte dello stesso dicastero, sempre innanzi al giudice monocratico, iniziato il 12 dicembre scorso a Brindisi per la dispersione di polveri di carbone dal nastro trasportatore Enel (il Comune di è invece costituito). Sono quindici le persone imputate, oggi, tredici delle quali sono dirigenti Enel.

Tornando alla vicenda del carbonile di Costa Morena, per conoscere le ragioni della decisione del giudice si dovrà attendere che vengano depositate le motivazioni. Sulla base del dispositivo si può solo formulare qualche ipotesi. Il fatto non sussiste forse perché non vi fu dispersione di polveri dal carbonile scoperto. Potrebbe essere così, sebbene le perizie, le indagini, l’evidenza dei fatti abbiano dimostrato il contrario.

Oppure, forse, la conclusione alquanto sorprendente del dibattimento, è ancora una volta la dimostrazione dell’estrema vulnerabilità, da tutti riconosciuta, della normativa in materia ambientale che si ritrova, puntualmente, per una ragione o per un'altra, a provocare il fallimento di indagini che all’avvio (in quella di cui si sta parlando, l’inchiesta Coke c’erano 55 indagati e se ne fece un gran parlare), promettono finali col botto e che, invece, finiscono per sgonfiarsi per via del tempo che trascorre o della difficoltà di qualificare le presunte condotte criminose.

Prescrizione, oblazioni per quelle che effettivamente altro non sono che contravvenzioni, assoluzioni con formula piena. La conseguenza più importante è quella che subiscono le parti civili, alle quali non toccano risarcimenti danni, se non per quanto è possibile rivendicare in sede civile. Il paradosso, se il verdetto dovesse essere confermato anche oltre, nei gradi di giudizio successivi, è che alla fine la tanto polemizzata transazione del 2009, tornata d’attualità lo scorso anno, fu addirittura un bene. Se il Comune non avesse accettato quel milione e trecentomila euro convogliati nella realizzazione di un enorme giardino urbano, non avrebbe forse beccato più neppure un euro.

 

 

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