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Lunedì, 29 Aprile 2024
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A cura di Blog Collettivo

Cosa bolle in pentola per la Scuola italiana. Inquadrati e coperti?

Le riflessioni del professor Mario Carolla in vista dell'avvio dell'anno scolastico 2023-24

Si apre un nuovo anno scolastico targato 2023-2024. Non è facile prevedere ciò che accadrà nella più importante formazione sociale della nostra Repubblica (perché costruisce il futuro). Al di là delle nuove norme che disciplinano il voto in condotta, le sospensioni e le bocciature, di certo, ci sono solo le intenzioni del ministro dell’Istruzione e del merito Giuseppe Valditara, ancorché abbia già firmato alcuni decreti attuativi, come quello della didattica digitale integrata, che individuano le risorse da spendere.

Se diamo uno sguardo a quanto previsto dal Pnrr, per il 2023 in questo settore, e al documento programmatico, firmato il 23 dicembre 2022 dal ministro, possiamo intravedere la direzione nella quale si muoverà la riforma della Scuola italiana da lui annunciata al netto, naturalmente, degli annosi e gravosi problemi dei quali è affetta da anni.

Intanto, come è ormai consuetudine radicata nel nostro Paese a partire dalla seconda metà del secolo scorso, quando si parla di riforma della Scuola non s’intende la riforma complessiva del sistema, dopo qualche fallito tentativo, ma semplicemente una riforma a pezzi che, se la dea greca Atena decidesse d’intervenire con i suoi favori sul suolo italico, riuscirebbe a risolvere solo qualcuno dei problemi che l’affliggono, lasciando intatti e sempre più minacciosi tutti gli altri. Ne elenco solo alcuni di questi che chi scrive ritiene che debbano considerarsi basilari se si vuole una Scuola italiana all’altezza dei tempi che viviamo.

Il primato in questo elenco spetta senza alcun dubbio alla qualità del prodotto del nostro sistema scolastico, come chi riflette sul suo stato non può che ammettere. Trattasi di una parola semplice, comprensibile e inequivocabile, ma che al suo interno contiene molte sfaccettature che vanno ricercate attentamente, esplicitate e curate tutte se si vuole raggiungere l’obiettivo della sua conquista. 

Esse sono, ad avviso dello scrivente: la riforma degli impianti dei vari segmenti scolastici; quella dei programmi da svecchiare; l’adeguamento delle strutture tecnologiche, di quelle edilizie e degli ambienti di studio; la cura particolare dell’apprendimento che per lo più privilegia il teorico a discapito del necessario pragmatismo, caratteristica imprescindibile della società contemporanea recente tutta sbilanciata sulla velocità, proprio anche per effetto di quelle nuove tecnologie di cui si sente la mancanza; puntare a sostituire l’apprendimento di medio-basso livello con uno di più elevato livello per superare l’ormai consolidato dato che vede la Scuola italiana bazzicare verso gli ultimi posti in Europa; dare a tutti le opportunità per crescere superando i condizionamenti di origine e prepararli al mondo del lavoro, abbattere la dispersione scolastica che ha raggiunto livelli percentuali impressionanti dal momento che circa un quinto degli aventi diritto si disperde.

Per puntare alla qualità del sistema scolastico così intesa non bastano le dichiarazioni del ministro della istruzione e del Merito (non a caso uso la minuscola per l’Istruzione e la maiuscola per il merito che invece vanno scritte a lettere invertite) fatte al momento del suo insediamento e ribadite in ogni occasione che gli si presenta, ma occorrono interventi concreti e certamente non parziali, in una sola parola comprensibile a tutti, occorrono seri investimenti.

Gli interventi che hanno ispirato i progetti del Pnrr 2023 semmai saranno attuati bene e fino in fondo, e quelli prospettati dal succitato ministro, allo scrivente sembrano che non siano risolutivi del problema.

Le cose belle che il “nostro” ministro dell’Istruzione e del merito dice sono generiche e aleatorie, ancorché si riferiscano ai principi meravigliosi della nostra Costituzione: al primo comma dell’articolo 3 sull’uguaglianza formale per dire che la Scuola italiana non è scuola dell’uguaglianza perché non è scuola del merito; al secondo comma dello stesso articolo sull’uguaglianza sostanziale per dire la scontatissima affermazione che la Scuola, come articolazione della Repubblica, deve “rimuovere gli ostacoli che impediscono il pieno sviluppo della persona umana”, cosa che a oltre 75 anni dalla entrata in vigore della norma ancora non è attuata; all’articolo 34 sulla “scuola aperta a tutti” e sugli strumenti attuativi di ciò, limitandosi a semplici enunciati e sfiorando soltanto il problema della spaventosa dispersione scolastica in atto; l’accenno all’articolo 2 sui diritti inviolabili dell’uomo che sembrano essere per il ministro solo i diritti di chi, naturalmente dotato e con un vantaggio solido di origine alle spalle, vuole primeggiare al grido: “io merito”.

Il problema della Scuola italiana, caro ministro, è ben più grave delle dichiarazioni formali. Il problema è alle radici della qualità, come chi scrive diceva prima; tale qualità non potrà mai essere raggiunta se non si investono ingenti risorse che, peraltro, non sono soltanto materiali, ma anche e necessariamente umane. Quelle materiali previste dal Pnrr, pur notevoli, e quelle messe a disposizione del Ministero nel documento di Bilancio 2023 e già utilizzabili sono ancora insufficienti. Puntare, poi, alla valorizzazione del personale della scuola, non solo docente, partendo dall’esistente in materia, con misure parziali di formazione e aggiornamento, non risolve il problema nel concreto; puntare concretamente alla sua valorizzazione, in particolare a quella docente, non può in alcun modo ignorare di rivedere la formazione iniziale, che necessariamente deve includere attitudini e motivazioni, e quella in itinere in sintonia con i criteri di qualità di questo eccezionale e ineguagliabile servizio all’uomo che è il sistema scolastico nel suo complesso.

Cosa ci prospetta, invece, per i nostri figli e nipoti la Scuola italiana per il 2023-2024? Sono previste novità sull’orientamento rivolte agli studenti degli ultimi tre anni delle scuole superiori con un monte ore annuale di 30 ore da utilizzare con ampio margine di flessibilità, per cercare di agevolarli nelle scelte ai fini della prosecuzione degli studi a livello universitario e dell’ingresso nel mondo del lavoro. Poi, sempre sull’orientamento vengono introdotte novità anche per le famiglie con titoli altisonanti come: Piattaforma unica d’orientamento; E-Portfolio; Servizio di job placement, i quali altro non sono che piattaforme e servizi di tipo digitale, messi a disposizione degli studenti, delle famiglie e delle scuola, per accedere ad informazioni e dati concernenti le opportunità della prosecuzione degli studi a livello territoriale e nazionale sull’offerta formativa universitaria e dell’istruzione superiore, Its, e Afan,  e dell’inserimento nel mondo del lavoro sul piano qualitativo e quantitativo, infine, per evidenziare le conoscenze digitali e le  altre conoscenze acquisite nel corso di studi dallo studente.

Poi, vi sono novità per i docenti che nelle scuole di I e II grado saranno supportati da un docente tutor (consigliere) con compiti di consulenza per le scelte di rispettiva competenza che devono compiere gli studenti nell’attivazione dell’e-portfolio e le famiglie nelle scelte dei successivi percorsi formativi e di lavoro dei loro figli (mi verrebbe da dire dei loro “pargoletti” in quanto in maniera abnorme assistiti e non lasciati liberi di maturare le scelte scegliendo i propri consiglieri). Ancora, per i docenti il ministro preannunzia altre novità riguardanti la loro formazione che verrà “sagacemente” mirata e coordinata dagli istituendi Nuclei di supporto presso gli USR, ma chi scrive immagina con risultati parziali e inadeguati rispetto alle necessità concrete della formazione docente evidenziate sopra (anche qui con un eccesso di assistenza dall’alto in barba all’autonomia scolastica in materia di formazione e aggiornamento).

Infine, c’è la ciliegina sulla torta che è rappresentata anch’essa dalla istituenda “sovrastruttura”, cioè una super-commissione che avrà il compito non solo di controllare che quanto previsto venga realizzato, ma anche, addirittura, che la cosiddetta riforma produca i risultati sperati (non è il caso di ripetersi sulla mania che ha il ministro dell’assistenzialismo).

Chi scrive deve solo sottolineare ancora che le risorse messe a disposizione dal Pnrr sono di notevole quantità, ancorché ne servirebbero ancora di più, ma che l’Italia ha l’imperativo categorico non solo di spenderle, ma di spenderle bene. Ebbene i progetti messi a punto da questo nuovo staff dirigenziale di destra su tali investimenti e su alcune riforme previsti vanno senza alcun dubbio aggiustati per evitare il flop; le proposte della Flc Cgil e anche quelle del Cspi, che istituzionalmente non può restare inascoltato sulle politiche educative che il governo intende mettere in campo e sulla valutazione della loro efficacia, vanno decisamente accolte. Si riportano qui gli ambiti che vanno necessariamente rivisti con le proposte di modifica avanzate dalla Flc Cgil (tutte condivisibili che si possono trovare sul sito www.flcgil,it); esse riguardano: il piano per asili nido e scuole dell’infanzia e servizi di educazione e cura per la prima infanzia; il piano per l’estensione del tempo pieno e delle mense; l’intervento straordinario finalizzato alla riduzione dei divari territoriali nei cicli I e II della scuola secondaria di secondo grado; lo sviluppo del sistema di formazione professionale terziaria (Its); la didattica digitale integrata e la formazione sulla transizione digitale del personale scolastico: il piano di messa in sicurezza e riqualificazione delle scuole. Inoltre, vanno anche rivisti i progetti riguardanti la riforma degli Istituti Tecnici e Professionali e quello di riforma del sistema di reclutamento dei docenti. 

In conclusione, chi scrive non crede affatto che il complesso degli interventi previsti dal ministro per l’anno 2023-2024, almeno quelli che potranno in tempo essere attuati, possano giustificare la denominazione di “Riforma della Scuola”, dal momento che Essa merita palesemente ben altre risoluzioni, come chi scrive ha evidenziato sopra. È doveroso però aggiungere che nella mente del ministro c’è una scuola classista e improntata all’autoritarismo e che a studenti e famiglie più avvertiti è difficile accettare la sua figura come rappresentante del mondo della Scuola italiana. Frasi come questa: "Lo sciopero non funziona più" ed è finita "l’egemonia della Cgil" lo dimostrano pienamente.

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