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A cura di Blog Collettivo

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Dietro le elezioni: chi vive peggio sceglie i peggiori, l'astensione è una tomba

Ci siamo. Finalmente è finita anche questa tornata elettorale che ha visto interessate varie regioni italiane nel rinnovo delle giunte regionali ed amministrative locali. Come sempre, questi avvenimenti mettono in moto una macchina organizzativa complessa

Ci siamo. Finalmente è finita anche questa tornata elettorale che ha visto interessate varie regioni italiane nel rinnovo delle giunte regionali ed amministrative locali. Come sempre, questi avvenimenti mettono in moto una macchina organizzativa complessa: centinaia di candidati pronti a sfidarsi a suon di pubblicità abusive su maxi cartelloni, spot televisivi più o meno credibili, pose e comizi capaci di metter in ombra anche il celebre "Cetto La Qualunque", personaggio non tanto lontano dalla fantasia, inventato dal geniale Antonio Albanese.

Per carità, declassare tutti i candidati in un aggregato di mediocrità sarebbe un gravissimo errore valutativo da parte di chi scrive e da parte da chi legge questo articolo, però è inconfutabile che il livello scadente dei candidati rende complessa l'individuazione di persone serie ed affidabili che vorrebbero dedicare parte della loro vita alla sana gestione della res publica. Eppure ogni anno ci troviamo a chiederci quanto sia utile il nostro voto, cosa facciano effettivamente i politici per il popolo, insomma, da quando in Italia è nata la Repubblica, è sempre la solita storia. Non ci deve stupire che questa "solita storia" sia ciclica e sempre presente nella nostra vita politica.

E' sin dalla fine del 1800, periodo in cui si formarono i moderni stati nazionali, che psicologi e sociologi hanno iniziato a studiare questi processi sociali, riuscendo ad arrivare in alcuni casi a cogliere aspetti che vengono utilizzati tutt'oggi dai nostri politici per influenzare la nostra intenzione di voto. Un esempio può esser dato dalle teorie dello psicologo ed etnologo Gustave Le Bon (1841-1931), che scrisse nel 1895 la nota opera "La Psicologia delle folle", utilizzata senza remore da personaggi più o meno illustri del '900.

Grazie a quest'opera si ebbe il primo studio scientifico del comportamento delle folle: vennero individuati i caratteri peculiari e tecniche efficaci controllarle in base al proprio volere. Secondo Le Bon, chiunque sia intenzionato a raccogliere facile consenso popolare deve saper cogliere bene le suggestioni del momento: il voto può esser espressione dell'ambiente, degli eventi e delle circostanze che influenzano la sfuggente mente dell'opinione pubblica. Se ciò era vero centoventi anni addietro, immaginiamo quanto possa esser efficace questa dinamica oggi, periodo storico in cui siamo bombardati sistematicamente da notizie sulle tv e su Internet, sapientemente adattate allo scopo che si vuole raggiungere (vi ricordate l'allarme planetario per l'Ebola proveniente dall'Africa?).

La seconda intuizione dello psicologo francese fu la scoperta che, nel lungo termine, la gente sceglie la propria classe dirigente non secondo i capricci del momento ma dal carattere insito nella "razza" a cui appartiene. Concetto per cui se un popolo proviene da stagioni politiche all'insegna del buon operato, è perché ha scelto coscientemente di farsi guidare da buoni politici; dove invece insistono rappresentanti del popolo corrotti, questi sono la mera espressione di quanto gli elettori richiedono. Ed i politici lo sanno. Infine, secondo gli studi di Le Bon, il voto di gruppo tipico della folla si piega all'implicita natura "barbara" dell'uomo che emerge in situazioni gruppali in cui si è capaci di emettere comportamenti impensabili in situazioni in cui si agisce singolarmente.

La folla possiede la spontaneità e l'eroismo, la ferocia e la violenza dei primitivi, priva di ogni elemento razionale e facilmente influenzabile tramite l'utilizzo sapiente di parole e immagini. Quando pensiamo agli spot, alle felpe ed alle trovate pubblicitarie di alcuni politici nazionali e non, è facile intuire cosa si nasconda dietro i loro intenti, soprattutto quando sfruttano speranze e montano paure insite nella psiche umana.

Quindi il nostro voto, soprattutto in questa fase storica estremamente liquida, in cui le generazioni moderne non sentono l'esigenza di lottare per valori conquistati attraverso il sangue da parte dei propri nonni, esso appare come un processo di scelta sempre più "personalizzata", cioè mosso da caratteristiche individuali dei candidati.

Valori, ideologie e tradizioni sane vengono messe in secondo piano a favore di modalità espressive da talk show e cabaret. In questo sistema è facile perdere la memoria storica su cosa un personaggio, un partito o un movimento abbia fatto nel presente e nel recente passato. Dal momento in cui si decide di affidare il nostro futuro e quello dei nostri figli ad una classe dirigente, ci si dovrebbe informare almeno sulla storia personale di chi si candida a governare la nostra città, Regione e Paese.

Basterebbe esser curiosi per scoprire come dietro i cosiddetti "santini elettorali", le pose bonarie ed i sorrisi fiduciosi si nascondono personaggi che hanno utilizzato la gestione della res publica per arricchirsi, o che aspettano d'entrare nelle stanze del potere per mettere a posto conti pendenti col proprio passato. Con questo impoverimento di valori accade che una tornata politica da cui dipende il futuro di milioni di persone, viene sminuita in termini addirittura calcistici, tanto che sembra di ascoltare i vari Capello, Lippi e Ancellotti anziché politici innamorati del proprio Paese.

"Abbiamo vinto 3 a 2", "se la squadra è unita si vince ovunque" sono espressioni dell'attuale contesto storico in cui tutti si sentono vincitori e non sembrano avvertire la responsabilità di riparare ai danni perpetrati agli italiani nel corso degli ultimi decenni. Ma del resto chi durante il loro operato andrà a valutare se le promesse elettorali siano state mantenute?

La protesta del non voto, purtroppo, lascia il tempo che trova e concede ulteriori spazi a chi darà il propria preferenza al migliore offerente, e non sono pochi quelli che svendono la propria libertà intellettuale per cifre che si aggirano intorno ai 30 euro. Il nostro diritto d'espressione, a cui metà degli italiani hanno rinunciato il 31 maggio, vale così poco?

L'astensione, se pur comprensibile, aumenta sostanzialmente le possibilità di mandare al potere chi ha la capacità di impossessarsi delle menti più suggestionabili e corrompibili. La soluzione per uscire da questi circoli viziosi c'è e consiste nel dare peso alla propria scelta ed al proprio pensiero di cittadino, di informarsi e nel non fidarsi degli ottimisti a qualunque costo (finché sono loro al potere) e neanche dei falsi indignati (che sono i primi responsabili dello scontento popolare da cui cercano preferenze).

Scegliere chi ci dovrà governare negli anni avvenire è un dovere ma anche un diritto faticosamente conquistato nel corso della civiltà umana, quindi, perché essere autolesionisti? (v.brugnola@libero.it)

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