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A cura di Blog Collettivo

Ospitiamo in questo Blog opinioni di alcuni cittadini Brindisini

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Il rischio "giornalisti per caso"

Il rischio è che, anche dalle nostre parti, cresca una generazione di “giornalisti per caso”. L’evoluzione più aggiornata dei “reggi microfono” (questa fu tutta mia!) che da qualche anno impazza come conseguenza, degenerata, dell’impazzita proliferazione di radio e tv private, cosiddette libere. Se, come avviene in Italia da qualche decina di anni, il taglio interpretativo che si dà all’articolo 21 della Costituzione, quello che sancisce per tutti libertà di opinione e di espressione, è quello di lasciare il massimo arbitrio al mercato, poi non ci lamentiamo della qualità del prodotto che arriva nelle nostre case.

Il rischio è che, anche dalle nostre parti, cresca una generazione di “giornalisti per caso”. L’evoluzione più aggiornata dei “reggi microfono” (questa fu tutta mia!) che da qualche anno impazza come conseguenza, degenerata, dell’impazzita proliferazione di radio e tv private, cosiddette libere. Se, come avviene in Italia da qualche decina di anni, il taglio interpretativo che si dà all’articolo 21 della Costituzione, quello che sancisce per tutti libertà di opinione e di espressione, è quello di lasciare il massimo arbitrio al mercato, poi non ci lamentiamo della qualità del prodotto che arriva nelle nostre case.

Con gli scarsi mezzi economici che radio e tv hanno a disposizione in periferia pretendere che dietro il video ci vadano soltanto dei premi Pulitzer è semplicemente una utopia. Da qui, per sopravvivere, la corsa verso il basso. Una scelta che da qualche tempo si sta trasferendo anche dentro la carta stampata, quella locale in particolare, nella quale pure sopravvivevano ancora espressioni professionali di ottimo livello (la storia del giornalismo è piena di penne d’autore che sono partite dai giornali locali).

Colpa della crisi, si dice. Il guaio è che le turbolenze dei mercati che da tre anni e passa stanno sconvolgendo la vita dei mercati e dell’economia, per quanto riguarda lo stato comatoso dell’informazione, la carta stampata in particolare, non c’entra un bel niente. La ragione è che i giornali non si vendono e raccolgono poca pubblicità in primo luogo perché continuano ad essere fatti male, e scritti peggio, a dare le notizie vecchie già apprese il giorno prima in televisione o sui giornali online, ad essere bacheche degli uffici stampa e via di seguito. Le inchieste i giornalisti ormai se le fanno in proprio e le pubblicano sui libri, si guadagna di più e ci sono meno fastidi.

Le tecnologie hanno sì migliorato la grafica e i tempi di realizzazione del prodotto, ma hanno costretto i giornalisti sempre più distanti dai luoghi delle notizie con le conseguenze che tutti leggiamo. Il resto l’hanno fatto gli editori che, per quadrare i bilanci, hanno scelto la strada di sempre, quella più comoda: tagliare organici e sui costi del lavoro. Il rischio di ritrovarsi i “giornalisti per caso”, pagati un tanto a rigo. diventa quindi più palpabile, anzi una norma. Tanto da coprire non c’è un fatto, ma uno spazio.

Sarò pure il solito vecchio brontolone che non accetta di “stare fuori dal giro che conta”, ma le cose stanno proprio così e sono pronto a darne qualche esempio. Alcuni clamorosi. Qualche mese fa il “Quotidiano” dedicava intere paginate alle dichiarazioni di Mauro D’Attis sul nuovo lungomare che sembrava lì lì per essere realizzato. Curiosità, o meglio regola professionale, avrebbe imposto che il giovin cronista chiedesse anche lumi sul grande architetto che stava progettando il nuovo “water front” che avrebbe cambiato il volto della città. Invece niente. Anche i polli avrebbero capito che o si trattava della solita politica dell’annuncio oppure, peggio ancora, di realizzazioni fatte in casa come fu per la pavimentazione dei corsi e tutti sappiamo come è andata a finire. Chiarirlo sarebbe stato un elementare principio professionale.

Lo stesso giovin cronista di Quotidiano qualche giorno fa ha intervistato il nuovo presidente dell’Autorità Portuale, quello che non parla l’italiano. Mi sono scolato una intera paginata di piombo per leggere il pensiero di Hercules Haralambides sui traffici marittimi e soprattutto che chiarisse meglio la sua improvvida uscita sul rigassificatore, posizione in netto contrasto con il consolidato orientamento del sindaco Mennitti, e del presidente Vendola, che lo hanno voluto all’Authority. Invece manco per il cavolo: la domanda il giovin cronista ad Haralambides non l’ha neanche posta! Per me, invece, doveva essere la prima.

Non ce l’ho con il solito giovin cronista, ma costui ne fa una al giorno! Ieri è toccato alla vicenda del segretario cittadino del Pd, quell’Elefante dal passato turbolento. Aveva preannunciato le dimissioni (atto dovuto), ma non le ha mai date. E qual è invece la sintesi dalla cronaca della riunione dei dirigenti comunali del Pd fatta dal solito giovin giornalista? Che le dimissioni di Elefante non ci sono, perché nessuno le ha mai chieste. Ma qui siamo al gioco della vecchia passatella! Il problema non era se le dimissioni qualcuno le avesse chieste, ma soltanto se Elefante aveva avuto la sensibilità di darle.

Se questa sensibilità, come risulta chiaramente, non l’ha sinora avuta, ciò significa che il “percorso di recupero” che è stato sbandierato per assolverlo dalla leggerezza di essersi candidato a così delicato incarico senza avvisare prima delle sue trascorse “esuberanze”, o non c’è stato o non è servito a niente. Visto che  Elefante si è talmente integrato che il suo problema, da elementare questione di etica, è finito con il diventare ragione di scontro tra i diversi califfati di questo Pd brindisino.

Sul “Corriere del Mezzogiorno” di mercoledì 14 settembre leggo invece un commento di Fabrizio Versienti, che “giornalista per caso” non è vista la sua posizione in quel giornale, sul futuro del teatro “Verdi”. Apprendo così che la provincia di Brindisi è retta da una giunta di “centro destra”, di colore opposto a quella del Comune, che quindi per Versienti dovrebbe essere stata di centrosinistra, e che chiedere lumi e trasparenza sulla gestione della Fondazione del teatro significa essere contro la cultura, e lo spettacolo d’autore: e giù un peana alle cose che Brindisi ha realizzato nell’epoca di Mennitti.

Versienti consentimi, se parli con i cronisti di strada del tuo giornale apprenderai che l’attività di una civica amministrazione non si giudica solo dal cartellone di un teatro. Mi sembra come le aristocratiche brioche di Maria Antonietta di Francia! E poi il colore dell’Amministrazione Provinciale di Brindisi è di centrosinistra: sarà pure campione di trasversalismo Mennitti, ma per sette anni a Brindisi ha retto soltanto una litigiosa e inconcludente giunta di centrodestra. E se va a consultare la raccolta del suo giornale apprenderà che il “Verdi” venne inaugurato da Antonino già nel 2002 con un concerto di Salvatore Accardo.

Ed un brontolo finale voglio dedicarlo a uno di noi, a Fabio Mollica, che “giornalista per caso” non lo è. Ha rivolto a Giovanni Brigante, l’ultimo fenomeno della politica brindisina che qualche pensierino alla poltrona di sindaco lo ha fatto da tempo, duecento domande. Che ce ne fosse stata una sul rigassificatore! Proprio da Brigante, invece, vecchio comunista, uomo della sinistra, ma anche imprenditore, oggi consigliere regionale della “Puglia per Vendola”, che pensa e lavora per una coalizione che vada dall’Udc a Sel, agli ambientalisti, sarebbe stato interessate sapere cosa ne pensa di questo problema, e di quali proposte lui si renderebbe interprete per mettere insieme uno schieramento che sulla costruzione dell’impianto della Lng la pensa in maniera così profondamente diversa. Vuoto di memoria o di certi problemi è meglio non parlare?

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