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L'altra Shoah dimenticata: quella di pellerossa, indios e schiavi

Bisogna ricordare la Shoah perché queste tragedie non abbiano a ripetersi, tuttavia, vorrei cogliere l’occasione per ricordare un’altra Memoria, una Memoria che definirei “insabbiata”

Ieri si è celebrata la Giornata della Memoria per ricordare la tragedia del genocidio degli Ebrei nei campi di sterminio nazisti. Giusto, bisogna ricordare perché queste tragedie  non abbiano a ripetersi, tuttavia, vorrei cogliere l’occasione per ricordare un’altra Memoria, una Memoria che definirei “insabbiata”, mi riferisco allo sterminio delle popolazioni indigene delle due Americhe, gli Indio del Centro e Sud America, i Pellerossa del Nord America e un impressionante numero di nativi africani resi in schiavitù.

Eh sì, perché di questa non ce ne ricordiamo proprio e se ne sente parlare raramente, anche perché si dovrebbe tirare in causa l’Occidente – Francia, Portogallo ed Inghilterra, in primis –   ed anche la religione cattolica ed il Papato che, attraverso una serie di “Bolle” dettava , in quei tempi, la storia del mondo. In particolare con le Bolle Dum Diversas del 1452 e Romanus Pontifex del 1454, il Papa Niccolò IV, tra le altre concessioni, autorizzava la presa in schiavitù dei “pagani” in quanto “non credenti e nemici di Cristo”. Concessioni che furono, in seguito, confermate da vari Papi.

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Si calcola che, se a questi nativi americani, si aggiungono i neri strappati da schiavi dalle proprie terre nel Continente Africano per essere  impiegati nelle piantagioni – dapprima, di canna da zucchero nel Centro America e, successivamente, nelle piantagioni di cotone del  Nord America -, si arriva alla cifra impressionante di oltre 80 milioni di morti, 100 milioni, secondo alcuni. Il genocidio (l’olocausto, se si preferisce) dei nativi indios, quindi degli schiavi africani ed, infine dei pellerossa, è la causa diretta dell’approccio egoista ed etnocentrico avuto dai conquistadores europei.

Infatti, la maggior parte dei conquistadores, come Hernan Cortés o Francisco Pizarro non erano animati da odio razziale, da xenofobia,  semplicemente erano animati dal desiderio di arricchirsi in fretta e molto. Per di più, il fatto che i nativi “selvaggi” morissero come mosche sia per le condizioni di lavoro imposte dagli Spagnoli, sia per le malattie e sia per i frequenti massacri, era la prova che Dio era dalla parte dei conquistadores e che, pertanto, giustificava ed approvava il loro comportamento nei confronti delle popolazioni indigene. Un sistema per tacitarsi le coscienze e che richiama tristemente alla memoria più recenti tragedie umane: il “Gott mit uns” (Dio è con noi) delle truppe naziste nella II Guerra Mondiale.

SCHIAVI DEPORTATI - Copia-2

Dopo aver conquistato le Isole Caraibiche, il Messico, il centro America e la quasi totalità del Sud America – cancellando imperi millenari come quello Azteco in Messico, quello Maya nello Yucatan e quello Inca in Perù – i conquistadores avevano urgenza di sfruttare le risorse del Continente. Pertanto, dapprima, si dedicarono alle miniere di argento ed oro, quindi, resisi conto dei vantaggi offerti dalle coltivazioni intensive in quelle fertilissime terre tropicali e sub-tropicali, inizialmente si partì con la canna da zucchero, quindi il caffè ed infine il cotone.  Tutte culture che richiedevano grandi masse di manodopera.

Per sopperire all’ ingente necessità di manodopera, spagnoli e portoghesi, inizialmente, sfruttarono la manodopera locale; tuttavia, gli indios degli altopiani non erano acclimatati per lavorare nelle torride ed umide piantagioni dei bassopiani tropicali, mentre, gli indios dei bassopiani non erano fisicamente e culturalmente adatti a tale tipo di lavoro.

lmaCmUA-2Tutto questo sfruttamento del lavoro umano, in un tempo relativamente breve ed alla luce delle problematiche evidenziate, provocò lo sterminio delle popolazioni indigene, anche e soprattutto, a causa delle malattie “importate” dai conquistadores – come il terribile vaiolo – per le quali gli indigeni non avevano anticorpi.

A questa “carenza” di risorse locali, i conquistadores sopperirono con l’importazione di  schiavi dal continente africano che, sebbene fossero meno a buon mercato degli indios, erano più adatti al lavoro nelle piantagioni, in quanto fisicamente più robusti ed abituati a lavorare in un  clima caldo umido, tipico delle loro regioni di provenienza. Si stima che un totale di circa 18 milioni di africani furono spostati dall’Africa dal 1500 al 1900. Gli schiavi venivano prelevati dalle navi negriere sulle coste atlantiche dell’Africa e traghettati nel Nuovo Mondo. La durata della traversata variava da uno a sei mesi, a seconda delle condizioni atmosferiche.

Durante il viaggio, i prigionieri, venivano ammassati a centinai in stive detti “ponti degli schiavi”, dei ripiani in legno, spesso non più larghi di 75 centimetri, su cui gli schiavi venivano fatti sdraiare. A bordo regnava un caldo torrido, con poco cibo (mais, fagioli, patate, riso e olio di palma) e pochissima acqua (non più di mezzo litro al giorno a testa). Per risparmiare spazio a bordo,  gli schiavi venivano incatenati insieme: la gamba destra di un uomo legata alla gamba sinistra del successivo.

Nella stiva non c’erano toilettee gli schiavi facevano i loro bisogni nello stesso luogo dove erano incatenati. Non solo, poiché venivano liberati dalle catene solo all’arrivo al porto di destinazione nel Nuovo Mondo, se qualche schiavo moriva di stenti o malattie durante il viaggio, veniva lasciato dov’era, incatenato con gli altri schiavi, sino all’arrivo.

È stato calcolato che dei milioni di schiavi oggetto della “tratta” Atlantica, circa 2 milioni morirono durante il viaggio in mare, soprattutto per la disidratazione causata dalla diarrea e per lo scorbuto; quando non venivano semplicemente gettati a mare, ancora incatenati gli uni gli altri, nel caso che, per svariate ragioni, il viaggio durasse più del previsto e, quindi, le vettovaglie di bordo non sarebbero state sufficienti per tutti.  Cosa che fece dell’Atlantico il “il più grande cimitero della storia”.   

Cicatrices_de_flagellation_sur_un_esclave-2Mentre gli spagnoli dilagavano nella parte centrale e meridionale del continente, altri europei – Inghilterra e Francia – presero a esplorare le coste atlantiche della sua parte settentrionale. A quel tempo si stima che la popolazione indigena pellerossa non superasse i 12 milioni di persone. Iniziarono gli inglesi, seguiti dai coloni americani che, partendo dalla costa orientale del continente Nord Americano (la East Coast), respinsero progressivamente le popolazioni indigene verso ovest (il cosiddetto Far West).

I nativi più combattivi e più numerosi, come i Sioux e gli Apache, si opposero con le armi, ma gli inglesi e gli americani risposero con violenza ancora superiore, spesso ignorando i trattati e massacrando anche donne, vecchi e bambini inermi. Alla fine delle guerre in nord America (XIX secolo) i nativi rimasti (tra i 100 ed i 250 mila) saranno rinchiusi nelle riserve.

Paradigmatica della mentalità dei conquistatori nordamericani fu la frase pronunciata nel 1868  dal deputato James M. Cavanaugh, secondo la quale "l'unico indiano buono è l'indiano morto"  ("I like an Indian better dead than living. I have never in my life seen a good Indian). Queste tragedie (la Shoah e quella appena ricordata del Nuovo Mondo), sono frutto di  una cultura etnocentrica dove l’io era sempre superiore all’altro.

Se gli uomini di una civiltà, di una religione, di una nazione si sentono, ad un certo punto, in diritto di dover conquistare e depredare dei territori altrui, massacrarne le popolazioni  indigene, deportare esseri umani, significa che esiste una visione deformata dei valori umani e sociali e che esiste il senso del dominio da parte del più forte nei confronti del più debole.

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Le cause possono anche essere state sociali, politiche, economiche, ma noi dobbiamo puntare l’attenzione sulle cause culturali, in modo da  poterle superare ed evitare che fenomeni di mascherato razzismo possano ripetersi ai giorni nostri. Ed in questi tempi, in cui masse di nuovi schiavi si autodeportano nei  “civili e prosperi” Stati europei, questi aspetti “culturali” non devono mai mancare nelle nostre logiche, logiche con le quali ci confrontiamo, interfacciamo, interagiamo e – perché no – ci integriamo con loro.

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