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A cura di Blog Collettivo

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Letta, il Pdl, l'ombra della crisi: con una legge elettorale che non cambia mai

Ore cruciali per il Governo Letta. E per le sorti economiche dell’Italia: non sarà certo un caso se due marchi della tipicità italiana, Telecom ed Alitalia, siano in queste ore sotto attacco dei mercati internazionali proprio in un momento di evidente instabilità politica. I primi timidi segnali di ripresa, prontamente valorizzati dal Presidente Napolitano, risultano frustrati dalle pressioni politiche che il Pdl esercita

Ore cruciali per il Governo Letta. E per le sorti economiche dell’Italia: non sarà certo un caso se due marchi della tipicità italiana, Telecom ed Alitalia, siano in queste ore sotto attacco dei mercati internazionali proprio in un momento di evidente instabilità politica. I primi timidi segnali di ripresa, prontamente valorizzati dal Presidente Napolitano, risultano frustrati dalle pressioni politiche che il Pdl esercita sul Governo e sulla stessa Presidenza della Repubblica, per fini tutt’altro che di interesse generale.

Gettata finalmente la maschera ormai è chiaro a tutti: il principio ispiratore del governo delle larghe intese per il Pdl era “esserci per contare”. Il momento di grave crisi economica aveva portato le forze politiche presenti in Parlamento più sensibili alle sorti del Paese, a dare vita al Governo Letta. Almeno così credevamo. Tra le cose da fare su cui era sorto l’impegno, la ripresa economica rivestiva un ruolo fondamentale, e, a seguire la riforma elettorale e gli impegni internazionali.

Invece, improvvisamente, siamo alle soglie della crisi di governo perché una forza importante della coalizione raccoglie le firme di dimissione dei propri parlamentari in risposta polemica alla, intervenuta, condanna definitiva del loro capo e conseguente decadenza dallo scranno di parlamentare. A parte ogni considerazione circa la incompatibilità tra “il capo” e la democrazia, laddove è del tutto intuitivo, potrebbe dirsi naturalmente intuitivo, che uno stato democratico non (può) deve avere un capo sussistendo “in capo” al popolo la sovranità titolata, rimane davvero un mistero per il resto del mondo come sia possibile che, in Italia, si metta in discussione, “extra ordinem”, la definitività di una sentenza, in questo caso di condanna.

Le oziose e viziate discussioni sulla applicazione retroattiva della legge Severino, approvata in Parlamento dalla stessa forza politica che oggi la rinnega, nascondono in realtà le effettive intenzioni del Pdl: restiamo al governo se salvate il capo dal carcere cui è destinato in seguito alla sentenza definitiva di condanna. Aggrovigliato in questo “busillis” il Pdl regala ai suoi competitor il valore politico della salvaguardia degli interessi generali del Paese.

Tuttavia, va detto, che finora il governo Letta, non ha brillato in decisività rispetto agli impegni presi. Il sacrificio che le forze politiche che lo compongono, tra loro antagoniste, hanno dovuto sopportare, non risulta premiato dai risultati che si speravano fossero realizzati. L’esempio più eclatante è la riforma della legge elettorale. Il negativo giudizio unanime sulla attuale legge elettorale, che pure i loro ideatori definirono Porcellum, a tutto oggi non ha portato ad alcun risultato concreto. Una legge addirittura in odore di incostituzionalità che, però, i partiti non mostrano effettiva volontà di voler cambiare.

I motivi non mancano: dapprima risalta il potere di nomina che i partiti continuano a mantenere. Per quanto si sbraiti che questo, e tutti gli altri che lo hanno preceduto vigendo la stessa legge, sia un Parlamento non di eletti ma di nominati, nulla in concreto si produce per modificare tale evidente lesione del diritto di scelta degli elettori. Si è visto, purtroppo, dati elettorali alla mano, che l’alternativa è la Profezia di Saramago ovvero: non andare a votare.

Anche il premio di maggioranza scandalosamente offerto al vincitore, sull’erroneo, provinciale e deleterio convincimento di risultare tale esso stesso e non l’avversario, induce a proteggere nei fatti il Porcellum. Fin quando la Corte Costituzionale, allorquando si pronuncerà, non ne dichiarerà la manifesta incostituzionalità e allora si riapriranno le danze ob torto collo. Intanto in questo ultimo ventennio di sua applicazione, e di introduzione del sistema maggioritario, alle politiche abbiamo votato nel ’92,’94,’96,2001,2006,2008 e 2013, cioè sette volte invece che cinque. Il numero dei governi è, peraltro, superiore a quello del numero delle elezioni.

In quanto a governabilità questa legge ed il sistema elettorale sotteso, non pare che abbia dato grandi risultati. La qualità della produzione legislativa, poi, è sotto gli occhi di tutto il mondo. Sulla rappresentanza, altro compito cui una legge elettorale deve adempiere, stendiamo, come si dice, un velo pietoso, per quello che prima abbiamo detto e che tutti i partiti, a parole, dichiarano di non volere più: un parlamento di nominati. Se una legge elettorale non garantisce la governabilità e non garantisce l’effettiva rappresentanza del popolo elettore, cosa si aspetta a cambiarla?

Distratto dalle riflessioni su questi temi, dimenticavo il vero problema impellente che oggi agita l’Italia: evitare il carcere ad una persona condannata in via definitiva.

 

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