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A cura di Blog Collettivo

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L'Ilva, la Consulta e l'equivalenza tra diritto al lavoro e diritto alla salute

Poniamola in questi termini: a parità di fonte non può esservi disparità di valore tra norme. Si può ragionevolmente affermare, con intento puramente divulgativo, che questo è il principio che si ricava dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 85/2013. Quella emessa esaminando le questioni di legittimità costituzionale sollevate dagli uffici giudiziari di Taranto.

Poniamola in questi termini: a parità di fonte non può esservi disparità di valore tra norme. Si può ragionevolmente affermare, con intento puramente divulgativo, che questo è il principio che si ricava dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 85/2013. Quella emessa esaminando le questioni di legittimità costituzionale sollevate dagli uffici giudiziari di Taranto, in riferimento alla legge 231/2012, per intendersi quella volgarmente definita come “salva Ilva”.

“Tutti i diritti fondamentali tutelati dalla Costituzione si trovano in rapporto di integrazione reciproca e non è possibile pertanto individuare uno di essi che abbia la prevalenza assoluta sugli altri….Se così non fosse si verificherebbe l’illimitata espansione di uno dei diritti che diventerebbe 'tiranno' nei confronti delle altre situazioni giuridiche costituzionalmente riconosciute e protette, che costituiscono, nel loro insieme, espressione della dignità della persona”.

Così la Corte Costituzionale (Punto 9 del <considerato in diritto>). Secondo il Giudice delle Leggi, che va ricordato è il più politico dei giudici, la legge accusata di incostituzionalità ha realizzato “..un ragionevole bilanciamento tra diritti fondamentali tutelati dalla Costituzione, in particolare alla salute (art. 32 Cost.), da cui deriva il diritto all’ambiente salubre e al lavoro (art. 4 Cost), da cui deriva l’interesse costituzionalmente rilevante al mantenimento dei livelli occupazionali ed il dovere delle istituzioni pubbliche di spiegare ogni sforzo in tal senso…”.

Contrariamente a quanto sostenuto dai Giudici di Taranto che ritengono che la legge salva Ilva “..annienti completamente il diritto alla salute e ad un ambiente salubre a favore di quello economico e produttivo…”. “Pane e Lavoro”, invece, si diceva nel secolo scorso sino a tutti gli anni Sessanta. L’espressione non era una parola d’ordine, come si usava a volte con un linguaggio paramilitare, men che meno era uno slogan propagandistico. “Pane e Lavoro” era un programma politico.

Nella sua ermetica essenzialità, rappresentava il nucleo di una idea politica di società in costruzione, ovvero in ri-costruzione. Erano invocati i bisogni non solo primari, ma addirittura essenziali, nutrirsi e lavorare, che il potere costituito doveva garantire. Senza esagerare ben può affermarsi che “Pane e Lavoro” era una vera e propria ideologia, o religione che è lo stesso, cui intere generazioni di lavoratori hanno immolato la loro stessa ragion d’essere.

Su quell’altare sono stai sacrificati, con l’avallo di tanti, lo ha ricordato di recente il Procuratore Generale della Corte d’Appello di Lecce, l’ambiente, il territorio, la salute. Infatti i nodi sono cominciati a venire al pettine: i fiumi si riprendono il loro letto usurpato dall’abusivismo e dai condoni edilizi; il dissesto idrogeologico presenta con frequenza annuale il conto; le ciminiere delle fabbriche spargono diossina; la salute dei lavoratori sui posti di lavoro e del territorio circostante è minacciata quotidianamente, il sacco delle città ha rubato area vitale in favore del cemento..

Sicché la tutela della salute e della salubrità dei luoghi di lavoro ha avuto il sopravvento su “Pane e Lavoro”. Ad una ideologia se ne è sostituita un’altra. Ed il caso Ilva ne è la prova provata. Ora la crisi economica, di cui non ci è stato detto tutto, impone un nuovo dettato. Il lavoro prima di tutto torna ad essere un impegno della politica, soprattutto in termini di dignità della persona. Con qualche differenza rispetto al passato.

Intanto il lavoro si coniuga al plurale: i lavori. Il rilancio dell’economia non può non passare che attraverso nuove politiche industriali, di ben più ampio respiro rispetto a quelle del passato, di cui i protagonisti saranno i lavoratori ed anche l’impresa. Se la politica, attraverso le larghe intese, mossa, in verità, dai morsi feroci della crisi, accantona i propri pregiudizi, solo chi è in mala fede può infatti pensare che ciò possa avvenire senza cocenti lacerazioni interne, lo stesso dovranno essere disposti a fare i soggetti titolati al dialogo sociale.

E qui occorre rimarcare quanto ha stigmatizzato la Corte Costituzionale con la citata sentenza. Dopo aver sancito il principio di diritto della equivalenza tra i diritti costituzionalmente garantiti e tutelati la Corte afferma, quasi di sfuggita, ma non può non essere sottolineato l’appello al “… dovere delle istituzioni pubbliche di spiegare ogni sforzo in tal senso”. Toccherà dunque alla “politica”, nel più alto e generale senso intesa, produrre una azione tale da garantire in egual misura l’effettività dei diritti garantiti dalla Costituzione.

 

 

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