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A cura di Blog Collettivo

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Michelle Obama, la metà della vittoria di Barack, e l'Italia senza first lady

“Non abbiamo mai pensato a cosa l’America possa fare per noi, ma a cosa possiamo fare insieme, con il lavoro duro e frustrante, ma necessario, dell’auto-governo. Ecco il principio su cui ci fondiamo.Quello che rende eccezionale l’America sono i legami che tengono insieme la nazione più unica al mondo, la certezza che il nostro destino è condiviso, che questo Paese funziona solo se accettiamo di avere certi obblighi gli uni nei confronti degli altri e verso le generazioni future. Affinché la libertà per cui così tanti americani hanno combattuto e sono morti comporta tanto diritti quanto responsabilità. E tra i diritti ci sono amore, carità, dovere e patriottismo.” Nel voto ad Obama c’è qualcosa di eccezionale.

“Non abbiamo mai pensato a cosa l’America possa fare per noi, ma a cosa possiamo fare insieme, con il lavoro duro e frustrante, ma necessario, dell’auto-governo. Ecco il principio su cui ci fondiamo.Quello che rende eccezionale l’America sono i legami che tengono insieme la nazione più unica al mondo, la certezza che il nostro destino è condiviso, che questo Paese funziona solo se accettiamo di avere certi obblighi gli uni nei confronti degli altri e verso le generazioni future. Affinché la libertà per cui così tanti americani hanno combattuto e sono morti comporta tanto diritti quanto responsabilità. E tra i diritti ci sono amore, carità, dovere e patriottismo.” Nel voto ad Obama c’è qualcosa di eccezionale.

Obama vince mentre tutti i leader occidentali che hanno governato sono stati bocciati. Vince nel voto popolare, nelle zone operaie, e tiene in armonia minoranze... è il filo di Roosevelt.  È un grande innamorato della democrazia statunitense. Nel futuro si entra insieme, voi mi avete reso un Presidente migliore: le prime parole di Obama disegnano l’idea di una leadership che unifica sapendo che non si governa “contro” ma  “con ”. Ma gli americani non hanno votato soltanto l’uomo Presidente, ma la condivisione  che Obama ha fatto di quel percorso con la sua famiglia,  con la sua Michelle , perché la corsa  più bella è quella  fatta insieme.

Ma noi non lo capiamo, siamo refrattari a fare squadra, ad amare il nostro paese. Nessun politico italiano, durante il discorso della vittoria,  (in verità neppure prima) si rivolgerebbe alla compagna della sua vita per confessare di non averla mai amata tanto e addirittura, che tutta l’Italia è innamorata di lei.  E come potrebbe l’Italia  neppure la conosce… Se ci va bene, ogni tanto sentiamo parlare di qualche moglie, perché inserita in qualche listino.

E cosa sarebbe la politica americana senza le sue First Lady? A cominciare da quella che il Presidente Harry Truman chiamò la “first lady of the world”, Eleanor Roosvelt, sostenitrice dei diritti civili delle donne, parte attiva nel concepimento delle Nazioni Unite, a Samantha Sheffield, aristocratica tatuata, vera  “arma segreta” di David Cameron.  Ma può anche capitare che prime donne diventino la quarta carica più importante della politica a stelle e strisce, quella di Segretaria di Stato.

E  in l’Italia, Paese intriso di maschilismo da commediola e  familismo di convenienza,  l’uomo potente non esterna i propri sentimenti, la tanto sventolata famiglia resta sullo sfondo, non c’è spazio per mogli parlanti, la politica è roba da uomini soli. Ridotte a sbuffi di colore,  dei cappellini o delle scarpe,  le  nostre First Lady sono  avvolte nel silenzio, con poche eccezioni : Veronica Lario,  alla ribalta per il disvelamento dei costumi immorali del marito, schierata contro la guerra in Iraq e a favore della fecondazione assistita, criticò la scelta di attrezzare il governo di aitanti signorine nullafacenti .

E delle  mogli dei Presidenti della Repubblica,  è impossibile non ricordare Donna Franca Pilla che accompagnava il marito, Carlo Azeglio Ciampi, in ogni occasione, senza perdere l’opportunità di rilasciare dichiarazioni decise e taglienti.  Da vera donna politica.   Ma sono eccezioni.  Il  resto delle nostre premières dames è fedele alle antiche tradizioni patriarcali. E questo dipende da noi.

La vera sorpresa delle presidenziali americane? Michelle Obama, 43 anni, non 60 o 80, moglie da undici di Barack. Anche lei nera, un passato fino ad un certo punto parallelo a quello di un'illustre afro-americana, Condoleezza Rice. Entrambe nate in famiglie modeste. Condi nel Sud, a Birmingham e Michelle nel Nord a Chicago. Entrambe, hanno  intrapreso prestigiose carriere, Condi come docente universitario e Michelle come avvocato.

Ma Michelle Obama non ha mai rotto i legami con la gente della sua razza, né dimenticato le condizioni di discriminazione. E mentre Condi non era amata dalla comunità nera (che usava l'appellativo di Aunt Jemima –zio Tom al femminile), così non è per Michelle Obama, che non maschera il proprio accento, la propria identità. Michelle lascia la pratica di avvocato per fare l’amministratrice degli ospedali di Chicago, in contatto con i problemi della gente, diventando questo gigante di un metro e ottanta,  la versione moderna di femminismo,  pragmatico, senza i furori del ’68.

Per buona parte della cultura popolare,  il vero capo della casa è lei, (sia dell’una, che dell’altra) perché  Michelle ha fatto in modo che tutte le donne americane, in qualche modo,  sentissero di assomigliarle un po’ e  che la maggior parte di loro votasse Obama per votare lei. Perché Barack è soltanto la metà maschile del brand presidenziale. E’ Michelle che ha appassionato le platee parlando di società, politica,  economia. Programmi politici e amorosi che camminano insieme,  le cose  solide della vita che si perfezionano col tempo; «adesso viene il meglio», nei matrimoni come nel Paese.

Certamente Barack è un seduttore formidabile, tanto da postare sui social network dopo la vittoria, la foto con Michelle. Ma la sua dichiarazione d’amore ci ricorda che è la coppia, l’insieme, non l’individuo, la cellula-base dell’umanità, la testa d’ariete di una vittoria. Gli americani non hanno eletto un Obama, ne  hanno eletti due  o  forse una Obama .

Dalla donna del pragmatismo e l’uomo dei compromessi nasce il Presidente, quello che   ha ricordato al mondo  il valore dell’unione nella diversità: “Non importa se sei nero o bianco o ispanico o asiatico nativo americano o giovane o vecchio o ricco o povero, abile, disabile, gay o etero.  Siamo più grandi della somma delle nostre ambizioni individuali e siamo più, di una manciata di stati rossi e blu. Siamo e saremo per sempre gli Stati Uniti d’America”.

Eppure aspettiamoci qualche variante in questi quattro anni, aspettiamoci prodezze di quella Michelle, di quella “ognuna di noi” che fece dire ai  giornalisti alla convention di Charlotte di aver sentito «uno dei più impressionanti e bei discorsi che si fossero mai ascoltati». La Michelle del secondo quadriennato incarnerà spero, il nuovo sogno americano femminile: il sorpasso di genere. Già la immagino a misurarsi con Hillary Clinton nella battaglia, fra due ex first lady, per le prossime primarie democratiche. E accanto a loro due ex presidenti, due first lord .

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