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A cura di Blog Collettivo

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Se il marketing strappa l'anima ai luoghi, la salvi il progettista

Negli ambienti investiti dalla costruzione della governance del territorio si parla ormai con disinvoltura di genius loci, lo spirito del luogo, poiché è stato diffusamente accettato che lo spirito segua (o preceda) la materia ; Einstein compreso, quando con la sua famosa formula E=mc², afferma che ogni centimetro cubo di materia possiede una quantità di energia equivalente. O di spirito. Christian Norberg Schulz, architetto norvegese del secolo scorso, grande teorico dell’architettura, ha scritto un testo affascinante sul carattere pregnante dei luoghi, identificato, appunto, come genius loci che però, seguendo la visione antropocentrica di noi occidentali, viene intrecciato inestricabilmente con la storia degli uomini che lo hanno abitato o semplicemente attraversato.

Negli ambienti investiti dalla costruzione della governance del territorio si parla ormai con disinvoltura di genius loci, lo spirito del luogo, poiché è stato diffusamente accettato che lo spirito segua (o preceda)  la materia ; Einstein compreso, quando con la sua famosa formula E=mc², afferma che ogni centimetro cubo di materia possiede una quantità di energia equivalente. O di spirito. Christian Norberg Schulz, architetto norvegese del secolo scorso, grande teorico dell’architettura, ha scritto un testo affascinante sul carattere pregnante dei luoghi, identificato, appunto, come genius loci che però, seguendo la visione antropocentrica di noi occidentali, viene intrecciato inestricabilmente con la storia degli uomini che lo hanno abitato o semplicemente attraversato.

E se questo luogo, questo corpo/materia, possedesse anche un’anima? Non si tratterebbe più delle emozioni dei suoi abitanti impresse, come su una pellicola fotografica sulle pietre, sulle strade, sui balconi ma delle emozioni proprie di quelle stesse pietre, strade, balconi. Probabilmente, seminando nel solco tracciato da Einstein, quella materia è abitata da uno spirito ma ugualmente possiede una sua emozione. Probabilmente, ad essere impressionati come pellicole fotografiche potrebbero essere, al contrario di quello che si pensa, proprio gli esseri umani sui quali agiscono quelle impressioni sprigionate dalle pietre, dalle strade, dai balconi.

Per estetica (o antiestetica)  o  per giustizia (o ingiustizia), siamo abituati a sovrascrivere sempre e comunque le nostre (umane) espressioni alle impressioni che ci pervengono dall’ambiente esterno (minerale, vegetale, animale e altro). Questo lo avevano ben compreso i pittori impressionisti quando abbandonarono gli ateliers per dipingere en plain air, proprio per evitare ogni interferenza “interna” nel processo di impressione della luce proveniente dall’esterno. Essi decisero di smettere di interpretare i luoghi e gli oggetti lasciando che fossero questi a parlare, senza intermediari. In altre parole il pittore era una pellicola vergine e la luce era l’emozione della materia (trascritta subito e senza interpretazione sulla tela).

Possono anche i luoghi dell’abitare iniziare a sprigionare le loro emozioni senza essere sovrascritti? Possono gli abitanti iniziare a comportarsi come i pittori impressionisti (innocenti) captatori delle memorie intrinseche dei luoghi? Possono i progettisti (architetti, e ingegneri) e i pianificatori (paesaggisti, urbanisti e amministratori) invertire il processo di sovrascrittura, gli uni per elementi, gli altri per sistemi, e fare come suggeriva Karl Krauss “chi ha qualcosa da dire faccia un passo avanti e taccia”? Così come fece Monet con la serie delle cattedrali, si fece avanti per condensare sulle tele il suo silenzio dinnanzi alle emozioni luminose di quelle pietre da taglio.

Chiaramente il processo di trasformazione dei luoghi non può essere un fenomeno incontrollato, ossia affrancato dal sistema regolamentativo ma, allo stesso tempo, la necessità di regolamentare non può diventare il pretesto per non ascoltare più la voce della materia. I luoghi posseggono uno spirito/intelligenza ed un’anima/emozione, propri che si mescolano a quelli di  chi li attraversa in un processo di empatia o antipatia, determinandone valori/impressioni sia positivi, sia negativi e a volte neutralizzanti. Noi, ad esempio quando viaggiamo, possiamo dire che amiamo o non amiamo un  luogo ma oltre al fatto estetico non sapremmo esattamente spiegarci “cosa” ha suscitato la nostra reale emozione.

Oggi si trattano i territori e i luoghi di pregio come una mucca da latte, da sfruttare al massimo senza considerare che questi luoghi hanno bisogno di essere “nutriti”, a volte guariti con un vero e proprio processo terapeutico, per impedire di lasciarli desertificare emozionalmente. È il caso dei tanti centri storici ad “effetto cartolina”, dove tutto è appiattito dalla loro riduzione ad uno slogan turistico. È il paradosso del marketing territoriale,  in cui la nuova consapevolezza del valore storico-paesaggistico dei luoghi li sta conducendo verso la “sterilizzazione”. Il luogo diventa logo. La voce sussurrata degli alberi, dei muretti, delle strade, dei balconi, diventa slogan stampato su etichette, insegne, imballaggi, brochures.

La capacità dell’ascolto del progettista è paragonabile a quella della vista degli impressionisti. Chi interviene nella città e nel territorio deve ricominciare a sviluppare questa capacità, per impedire l’onnipresenza  sciagurata della sovrapposizione espressiva che offusca ed asfissia l’anima dei luoghi, trasformandoli in oggetti esteticamente belli (quando è il caso) ma interiormente sterili, incapaci di fecondare il pensiero di chi li attraversa.

*architetto

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