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Economia

"Anni di progetti inutili, Brindisi a rischio-esclusione dai nuovi scenari del trasporto marittimo"

BRINDISI - “Tanto tuonò che piovve” questa frase che si attribuisce a Socrate, forse descrive meglio di tante altre parole quello che è avvenuto in questi anni nella portualità brindisina. L’attuazione di una politica dissennata di scelte errate, ha portato alla distruzione di una risorsa economica fondamentale per il territorio, il porto e le attività di logistica da esso indotte. Oggi, a ben vedere, il porto non rappresenta più una risorsa economica per la città. Le poche navi che occupano le grandi banchine brindisine sono le carboniere, un paio di traghetti per la Grecia e Albania, qualche gasiera carica di GPL e sparute navi da crociera low cost. Ad oggi l’unica prospettiva certa è l’arrivo di qualche nave carica di olio vegetale per rifornire l’ennesima centrale elettrica costruita sul nostro territorio appartenente allo zuccherificio.

BRINDISI - “Tanto tuonò che piovve” questa frase che si attribuisce a Socrate, forse descrive meglio di tante altre parole quello che è avvenuto in questi anni nella portualità brindisina. L’attuazione di una politica dissennata di scelte errate, ha portato alla distruzione di una risorsa economica fondamentale per il territorio, il porto e le attività di logistica da esso indotte. Oggi, a ben vedere, il porto non rappresenta più una risorsa economica per la città. Le poche navi che occupano le grandi banchine brindisine sono le carboniere, un paio di traghetti per la Grecia e Albania, qualche gasiera carica di GPL e sparute navi da crociera low cost. Ad oggi l’unica prospettiva certa è l’arrivo di qualche nave carica di olio vegetale per rifornire l’ennesima centrale elettrica costruita sul nostro territorio appartenente allo zuccherificio.

E’ del tutto evidente che questi traffici non apportano ricadute economiche significative, essendo a servizio di singoli impianti industriali. Con tali traffici, importanti solo per le statistiche, da cui appare che nel bacino brindisino girino milioni di tonnellate di merce, un grande porto come Brindisi ha scarse ricadute sul territorio. Non partecipa, come dovrebbe, allo sviluppo dell’economia locale. Cosa ben diversa e complicata è avviare un effettivo piano di sviluppo del porto con progetti concreti, finalizzati ad attirare a Brindisi l’industria dell’intermodalità e della logistica. Settore economico notoriamente caratterizzato da intensa e qualificata occupazione e importanti ricadute sul territorio.

La logistica, per il posizionamento geo-economico dell’Italia è l’industria del futuro. In uno scenario internazionale caratterizzato dallo spostamento delle fabbriche, in nazioni dove il costo di produzione dei beni è molto più basso che in  paesi come il nostro, lo sviluppo dell’industria dei servizi, insieme all’innovazione tecnologica per la produzione di brevetti e al turismo, rappresentano i settori chiave su cui puntare per evitare il declino ed assicurare alle future generazioni standard di vita accettabili.

Facendo una “zoomata” sui programmi di sviluppo della nostra Regione, la programmazione regionale sui trasporti tende a “specializzare” la Puglia come grande ed importante piattaforma logistica, in grado di intercettare i traffici a lunga distanza tra Cina ed Europa e tra Europa e paesi del Mediterraneo, prevedendo di dotare la Regione di eccellenti infrastrutture intermodali, piattaforme logistiche, porti ed aeroporti efficienti. Su questa visione strategica la Regione Puglia ha indirizzato gli investimenti al porti di Taranto per completare la dotazione retro portuale di piattaforme logistiche, terminali intermodali, raccordi ferroviari e stradali e al territorio barese per potenziare il suo interporto. Sulla stessa visione di sviluppo logistico dell’intero Paese è basata la pianificazione nazionale.

Essa si concretizza con scelte precise attraverso l’utilizzo degli strumenti delle Intese Quadro fra Stato e Regione. All’interno di queste linee guida strategiche nazionali, trovano posto i progetti che arrivano dal territorio coerenti agli obiettivi generali, supportati da progetti reali e valutati economicamente. Questi progetti e solo questi, trovano posto nella Legge di Stabilità (ex Legge Finanziaria), all’interno degli strumenti di pianificazione delle infrastrutture e concordati con le regioni attraverso le intese generali quadro Stato Regioni. In poche parole, se i progetti che produce un territorio, sono coerenti agli obiettivi di sviluppo statali e regionali, allora entrano nella lista dei progetti da finanziare e si ritrovano sul PIS (Programma Infrastrutture Strategiche) allegato alla Legge di Stabilità. Solo per questa via ottengono i finanziamenti e si avviano le procedute realizzative. Ovviamente per motivi di sintesi ho descritto questo complicato processo in poche parole saltando alcuni passaggi burocratici, ma il lavoro da fare per raggiungere questo obiettivo è francamente tanto.

Le occasioni perdute e i progetti inutili - E qui richiamo la frase del vecchio e saggio Socrate spezzandola in due, “Tanto tuonò” cioè tanto ha progettato in questi anni a Brindisi l’Autorità Portuale ma fuori dagli obiettivi generali fissati dalla pianificazione statale e regionale, “che piovve”, con pioggia che spazza via tutto, come un’ inondazione, pioggia rappresentata nella mia metafora dalla Legge di Stabilità di settembre che ha spazzato via tutti i progetti inutili, compresi quelli brindisini. Il PIS della Legge di Stabilità non prevede quasi nessun finanziamento per Brindisi per opere realizzabili in tempi brevi, lasciando il territorio senza obiettivi reali di sviluppo per i prossimi anni.

Al di la di qualche progetto marginale (la messa in sicurezza della Diga di Punta Riso) nell’ultimo documento dell’intesa Stato Regione Puglia, non vi sono progetti riguardanti Brindisi. Invece ci sono quelli necessari per avviare attività logistiche su Taranto e Bari. Sul PIS, ad ulteriore prova delle grandi potenzialità logistiche inespresse al momento di Brindisi, viene confermato la validità del cosiddetto hub interportuale, che è l’insieme delle opere previste nell’area industriale di Brindisi per realizzare la piattaforma intermodale, la piastra logistica e i relativi raccordi stradali e ferroviari. Peccato che l’ente attuatore pubblico di questo progetto, provate ad immaginare quale,  pur potendolo fare non ha mai presentato a Stato e Regione i progetti e quindi, non sono mai stati attivati i finanziamenti.

Anche per questa inefficienza, la comunità  brindisina paga anni di abbandono delle attività portuali e di progetti errati, che non hanno consentito  al territorio di usare al meglio le proprie risorse naturali per diventare un vero hub intermodale mare-terra e accreditarsi sul mercato della logistica come porta di ingresso in Europa per i traffici marittimi. A causa di questa strategia perdente,  il territorio è stato messo fuori mercato. Non ha saputo sviluppare volumi di traffico merci tali da consentire ad operatori storici come le Ferrovie dello Stato, di mantenere, ammodernare e sviluppare i loro impianti merci, tanto da abbandonarli.

In conseguenza di ciò, non si sono attirati operatori nazionali ed internazionali in grado di fare gli investimenti infrastrutturali necessari a sostenere lo  sviluppo del territorio nel settore dei trasporti. Si sono persi anni preziosi a presentare mega progetti  irrealizzabili, ma soprattutto non richiesti dagli operatori marittimi internazionali. Stranamente queste iniziative velleitarie, sono state poco contestate sul territorio da chi di dovere. Per comprendere meglio quali sono i motivi che hanno marginalizzato la posizione del territorio brindisino rispetto ai grandi flussi di traffico internazionale, il perché i mega progetti proposti sulla carta  dall’Autorità portuale di Brindisi non producono nessun vantaggio strategico ed economico per il territorio, anzi al contrario fanno  perdere opportunità di sviluppo in settori trainanti, occorre guardare ai processi evolutivi dell’economia mondiale.

Lo spostamento dei traffici - Lo stesso sforzo analitico occorre fare  per comprendere  qual è il nostro posizionamento geo-economico nel mondo e quali sono i progetti utili, su cui la nostra Comunità deve puntare per  sviluppare il  territorio.  Per far questo, occorre sapere quale sarà il nuovo scenario economico che la crisi lascerà.  Proviamo a ragionare su questi punti. Da questa crisi il paradigma della globalizzazione ad ogni costo, ne esce fortemente ridimensionato. Le grandi economie emergenti come Cina e India, sosterranno i loro ritmi di crescita dei prossimi anni, affidandosi molto più che nel passato allo sviluppo dei mercati interni.  L’economia marcerà verso modelli di localizzazione delle imprese sulla base di grandi macroaree geo-economiche (almeno su scala continentale).

Tutto ciò significa, usando uno slogan per semplificare il ragionamento, che negli scambi mercantili mondiali ci sarà meno Cina ma più America ed Europa. Per cui i grandi flussi delle merci varieranno le loro direzioni, saranno sostenuti gli scambi fra Europa e continente americano (Brasile, Stati Uniti, Messico) e fra Europa e i paesi dell’Europa dell’Est e del bacino del Mediterraneo. Quest’ultimo scambio svilupperà un notevole traffico regionale euro-mediterraneo. A prescindere dalla crisi economica ancora in corso, fino ad ora la Cina è stata considerata la“fabbrica del mondo“ per la sua forza lavoro a basso costo e per il petrolio a buon mercato. Tali condizioni, hanno garantito convenienza economica  al trasporto delle merci prodotte in luoghi così lontani dai mercati finali.  Oggi però col divario del costo del lavoro, che va diminuendo fra Cina e i paesi dell’Europa dell’Est e del nord Africa e col costo del petrolio che va gradualmente aumentando verso i 100 dollari, tale modello geo-economico non regge più.

In una prospettiva di medio termine, non ci sarà più convenienza a trasportare su lunga distanza le merci dalla Cina all’Europa, o per lo meno con i volumi di traffico che si registravano prima della crisi. Tanto è vero, che gli stessi cinesi stanno delocalizzando le loro aziende nei paesi nordafricani e dell’Europa dell’Est, per essere più vicini ai mercati europei. In un approccio globale rispetto al mondo dei trasporti e della logistica, si osserva che le grandi compagnie di trasporto in questi anni di crisi, stanno “regionalizzando” le proprie attività su scala al massimo continentale. A causa del nuovo modello di trasporto mondiale che si va affermando  e della diminuzione del traffico che si registra sulle rotte intercontinentali, non c’è spazio per realizzare nuovi grandi porti container nel Mediterraneo.

Le grandi compagnie di navigazione mondiali consolideranno solo quelli che ci sono,  al fine di recuperare gli ingenti investimenti fatti nel passato. Di conseguenza nella filiera del trasporto,  sarà in crescita la componente terrestre (stradale e ferroviaria). Nella prospettiva in atto di una forte regionalizzazione della logistica, a seguito dell’intensificazione degli scambi all’interno dell’Europa, dove i poli produttivi si svilupperanno nei paesi dell’Europa dell’Est, Turchia e Nord Africa, la merce prodotta viaggerà lungo i corridoi intermodali e sulle le autostrade del mare mediterranee.

I porti candidati ai nuovi scenari - I porti che si affermeranno, saranno quelli capolinea dei grandi corridoi europei, che investiranno in infrastrutture intermodali, in cui sarà possibile instradare la merce proveniente dai vicini poli produttivi regionali, che ha necessità di raggiungere i mercati prevalentemente su terra, tramite ferrovie e strade. Saranno i porti euro-regionali delle navi Ro-Ro ad assicurare il trasporto delle merci, in contrapposizione ai pochi porti hub che sopraviveranno nel Mediterraneo. Pertanto un porto che dispone di una grande retroportualità, di una potenziale intermodalità, compiendo corrette scelte progettuali ed organizzative, nell’ambito di una prospettiva a medio termine, può ben investire nel proprio futuro le risorse economiche pubbliche di cui dispone (in prospettiva sempre più scarse). Solo a queste condizioni si porranno le basi per un posizionamento strategico all’interno delle nuove filiere logistiche.

In questo nuovo scenario economico il sistema “porto-retroporto” è uno dei modelli vincenti che la nuova logistica richiede. Il rapporto fra territorio e porto, in grado di far attecchire e sviluppare la logistica, che rappresenta un vero e proprio comparto industriale ad alto valore aggiunto ed occupazionale, non si basa sulla “semplice considerazione di avere un “retroporto”  concepito alla stregua di un semplice allargamento del demanio portuale, dove posizionare uffici sanitari, dogane, operatori, configurandolo come una specie di allungamento del porto fine a se stesso. Occorre distinguere fra retroporto improduttivo ai fini dello sviluppo dell’industria della logistica come prima detto ed interporto o hub interportuale come si voglia dire, cioè una struttura considerata come un “nodo della catena logistica” costituita dal terminale intermodale ferroviario e dalla piattaforma logistica, in grado di risolvere il problema del trasporto terrestre in connessione al trasporto marittimo, avviando servizi ferroviari innovativi e competitivi.

Purtroppo questi concetti sono estranei ai gestori pro tempore delle istituzioni brindisine, che hanno la responsabilità di utilizzare le risorse finanziarie pubbliche per creare le giuste condizioni per lo sviluppo. A riprova di ciò,  basta vedere i progetti  dell’Autorità Portuale di Brindisi,  che si ostina a proporre nel suo obsoleto Piano Operativo Triennale 2009-2011 infarcito di  tante opere inutili,  fra cui la realizzazione di un grande terminal container di 2-3 milioni di Teus (non è chiaro su quale analisi  economico finanziaria è stata proposta questa infrastruttura e se su quali basi siano stati calcolati i valori di traffico da catturare), senza oltretutto indicarne le fonti di finanziamento. Ma l’obiezione non è semplicemente sullo stile che ha contraddistinto la pianificazione nel settore dei trasporti dell’Autorità brindisina in questi anni, ma di merito.

Se si avessero per ipotesi i finanziamenti pubblici per fare una simile infrastruttura, vorrebbe dire, per i ragionamenti prima fatti sui nuovi modelli di sviluppo del trasporto internazionale, realizzare un impianto portuale fuori mercato, che rimarrebbe una cattedrale nel deserto per i prossimi cinquant’anni, quindi totalmente inutile allo sviluppo del nostro territorio e addirittura dannoso, anche per i danni ambientali dovuti alla cementificazione.

Indolenza politica e scelte sbagliate - Purtroppo è ormai un fatto drammatico per la nostra città, l’indolenza con cui sono state tollerate in questi anni tali ipotesi progettuali, che hanno portato all’esclusione di fatto del porto di Brindisi e della sua retroportualità nella partita, che sta giocando la Regione Puglia per rilanciare il suo ruolo di grande piattaforma europea della logistica al centro del Mediterraneo. In questo modo, se non ci si rimbocca le mani tutti, siamo di fronte ad una prospettiva negativa per la nostra città, se operiamo in fretta ed uniti, forse potremo porre rimedio a questa situazione che vede penalizzate soprattutto il futuro delle nuove generazioni brindisine. Da addetto ai lavori, purtroppo percepisco la drammaticità della nostra realtà, per cui mi sento di lanciare un appello alla classe dirigente brindisina, politici, imprenditori, professionisti, sindacati e cittadini che hanno a cuore la propria città: lavoriamo tutti insieme per avviare un circuito virtuoso in grado di provocare nel territorio brindisino processi di sviluppo effettivi, avvalendosi di progetti validi che sono disponibili, per utilizzare al meglio le ultime risorse nazionali ed europee ancora a nostra disposizione.

A questo proposito il Piano Nazionale della Logistica, il Programma Nazionale delle Autostrade del Mare e per ultimo e non ultimo in ordine di tempo il PIS allegato alla recente Legge di Stabilità,  prevedono per Brindisi il ruolo di hub interportuale, in quanto il sito possiede una  grande area retro portuale adiacente al porto. I piani di programmazione e le leggi di spesa dello Stato italiano non intendono più finanziare nuove infrastrutture avulse da ogni pianificazione di sistema, oltretutto il governo deve a sua volta rispettare i programmi della Ue, basati sullo sviluppo dei grandi corridoi europei, che ogni singolo Stato è impegnato a realizzare. Per cui si concentrano le risorse pubbliche in aree particolari, situate all’imboccatura dei corridoi europei, dove già esiste un rilevante sistema infrastrutturale, ma mancante di strutture di collegamento tra le varie modalità di trasporto disponibili (mare, terra, aria). Si tratta di infrastrutture cerniera fra le reti, necessarie per rendere tutto il sistema intermodale e logistico.

Questo è il caso di Brindisi e della sua area industriale adiacente al porto,  che si trova all’imboccatura di due corridoi europei, il Corridoio 8 e quello Greco, cioè la nuova autostrada Egnatia di 680 km, che collegherà Igoumenitsa a Kipi Evrou fino alle porte di Istanbul,  in metà tempo rispetto agli attuali tempi di percorrenza. Brindisi dispone di porto, aeroporto e vaste aree retro portuali, che vanno però collegate tra loro con particolari infrastrutture quali la piattaforme intermodale e i poli logistici con i rispettivi raccordi alle reti stradali e ferroviarie nazionali. L’insieme di queste opere: la piattaforma intermodale e i poli logistici con i rispettivi raccordi alle reti stradali e ferroviarie, compongono appunto l’Hub Interportuale, da realizzare nell’area retro portuale di Brindisi.

C’è poco tempo per ritornare in gioco - Con queste opere l’HUB Interportuale di Brindisi diventa la porta di ingresso al Corridoio 8, così come auspicato dal PIS. A mio modesto avviso da qui occorre partire, con un programma di lavoro che si può attuare in quattro/cinque anni. Ma questo programma si potrà realizzare se il prossimo inquilino dell’Autorità Portuale sarà in grado di elaborare un Piano Operativo Triennale che contiene questi obiettivi e adeguare il piano regolatore portuale al ruolo effettivo che può giocare Brindisi nello scacchiere della logistica internazionale, se il futuro Presidente dell’ASI capirà che per lo sviluppo del proprio ente, occorre assumere una visione strategica nuova ed affrontarla con spirito manageriale, se gli enti locali controlleranno realmente le azioni e i risultati di Autorità ed ASI, avendo all’interno di queste strutture i loro rappresentanti istituzionali.

Rimarranno troppi se e troppi ma, se chi avendo la responsabilità di indicare i soggetti destinati a presiedere quegli enti e quindi a mettere il nostro future in quelle mani, considererà quelle cariche “un posto da occupare e non una competenza da utilizzare”. Speriamo che questa volta la musica cambi, confidando nella capacità e nello spirito di servizio dei nuovi responsabili degli enti locali brindisini, che essendo nuovi, non hanno responsabilità rispetto alle scelte del passato.

Auspicando una loro riflessione sul momento drammatico che vive la nostra comunità, al di la dei facili e inutili proclami continuamente ed irresponsabilmente diffusi da qualche soggetto pubblico negli anni e mesi scorsi, sintetizzando in poche parole le cose scritte, vale la pena ricordare a noi tutti che, fino ad ora da noi i finanziamenti della Legge Obiettivo non sono stati utilizzati e nessun piano di sviluppo in chiave intermodale è stato elaborato, condannando di fatto Brindisi e il suo territorio ad una marginalità nel settore dei trasporti, che ne ha progressivamente impoverito la Città e fatto perdere tutti i traffici commerciali, caratterizzando il nostro porto quasi esclusivamente per il traffico di carbone, GPL e prodotti chimici. Mi sembrano buoni motivi per una riflessione collettiva.

*presidente Interporto dell’Area Ionico Salentina SpA

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