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L'agricoltura può essere un motore dello sviluppo sostenibile. Il caso Brindisi

L'agricoltura si sta riconquistando uno spazio centrale nella società, ma anche nella vita e nei valori delle persone? E' questa la sensazione che si ha da un po' di tempo a questa parte. Lo si evince anche in maniera più scientifica e statistica da alcuni dati

L'agricoltura si sta riconquistando uno spazio centrale nella società, ma anche nella vita e nei valori delle persone? E' questa la sensazione che si ha da un po' di tempo a questa parte. Lo si evince anche in maniera più scientifica e statistica da alcuni dati forniti dall'ultimo rapporto di Confederazione italiana agricoltori - Censis, dai documenti della Coldiretti e della Confagricoltura e dalle tante iniziative di successo sui temi del cibo, dell'alimentazione, della bio agricoltura, oltreché dall'attenzione di ritorno verso la campagna e il paesaggio rurale. Tra queste iniziative nei nostri territori si possono annoverare quelle dei Gal di Mesagne e di Ostuni,del Parco delle dune, dei cultivar della Valle d'itria, di Hortus,dello stesso festival del Negramaro (almeno per la parte del vino), del Consorzio di Torre Guaceto (senza l'oltraggio degli eventi matrimoniali), la stessa esperienza delle cooperative di Libera Terra..

C'è una inversione di tendenze verso il settore "primario" da cui fino a ieri si scappava; la società “urbanizzata" lo ha considerato, almeno negli ultimi 50 anni e fino a qualche anno fa, settore senza futuro e residuale e comunque non proponibile per i giovani. La modernità era altrove non nelle campagne che erano il passato, la povertà, la conservazione.  I contadini facevano studiare i propri figli per non farli lavorare in campagna. Li (e ci) mandavano all'università per diventare medici, avvocati, professori, per non portare più "terra in casa" oltreché per un presunto riscatto familiare e sociale. Quelle scelte e quelle convinzioni hanno contribuito a produrre una cultura che considerava l'agricoltore, il contadino, "bifolco", "villano". Ma oggi non è più così o almeno non si guarda con questo spirito la campagna e l'agricoltura.

Un carciofeto ad ApaniC'è una rivalutazione, un ritorno, un'attenzione diversa soprattutto da parte dei giovani e di quelle famiglie che se pur urbanizzate sentono il bisogno di un rapporto con la terra, con l'alimentazione e con un interesse verso l'economia agricola. Nel 2013, su 11.500 startup agricole, quasi il 20% era costituito da persone al disotto di 30 anni e nello stesso periodo si è registrato un aumento di circa il 43% di iscrizioni alle facoltà di Agraria, e un aumento consistente agli istituti superiori che trattano materie che hanno a che fare con l'agricoltura, l'alimentazione, la cucina. La società italiana e in essa giovani e famiglie è stata ed è al centro di un grande processo di ristrutturazione dovuto soprattutto a questa lunga crisi. A questa crisi si sta rispondendo anche con profondi e duraturi cambiamenti di stili di vita e con un approccio più interessato a nuova economia, alla rreen economy, alla agricoltura di territorio.

Sembra infatti che circa un italiano su due abbia preso l'abitudine di coltivare sui balconi di casa o in spazi cittadini altrimenti abbandonati. Si va estendendo in molte città l'esperienza degli orti urbani. Ci sono già molti insegnanti della scuola d'infanzia ed elementare che hanno introdotto nella loro impostazione formativa le pratiche primordiali della coltivazioni. La cultura contadina e agricola, tra strade, palazzi e scuole, cambia la qualità della vita anche dal punto di vista dei tempi, portando la città ad assumere un ritmo più slow e a recuperare un rapporto con i propri spazi, con il proprio retroterra, con i suoi vecchi sapori, con le sue tradizionali pratiche di buona cucina e buona alimentazione (cose diverse da quelle propinate dai vari master chef televisivi). Coltivare contribuisce a dare il giusto valore al cibo che mangiamo. Per produrlo si richiede tempo,fatica,denaro e rispetto dei ritmi della natura.

E' scuola dove si impara a non sprecare e a rispettare l'ambiente. Ritornare a fare a casa il pane, le conserve, sta lentamente cambiando le modalità di preparazione del cibo e lo stesso stare insieme in famiglia e tra amici. Si può leggere così oltre lo sviluppo degli orti urbani, la crescita nelle città dei mercati dei prodotti agricoli a Km zero, degli spacci delle aziende nelle campagne, dei gruppi di acquisto sociale (Gas). Anche il ritorno e l'estendersi di tante sagre paesane e il diffondersi di tante associazioni ed iniziative culturali legate a "cibo-territorio-cultura" sono indicativi di quanto può esercitare e suscitare l'agricoltura nella società moderna e urbanizzata. E non si tratta di visioni o predisposizioni  romantiche, salutiste, bucoliche.  E',invece,una opportunità di nuovo sviluppo che può valorizzare il territorio.

Un vigneto assegnato alla coop Libera TerraPer ciò che sta già avvenendo in agricoltura e nelle campagne, va visto il futuro dei nostri territori e di Brindisi in particolare che, per tradizioni, per paesaggio, per estensione di superficie agraria disponibile, può avere una nuova prospettiva anche attraverso l'agricoltura. Mi limito a fare l'esempio della città di Brindisi, una città alla ricerca di identità e di futuro. Dopo gli anni della industrializzazione forzata e calata dall'alto e che, per un certo periodo ha prodotto sviluppo, reddito e lavoro e che grazie ad essa si è ampliata,trasformando la non remunerativa rendita agraria di allora nella ricca rendita urbanistica ed edilizia consentendo oltre il dovuto la costruzione di case e di quartieri, è arrivato il momento di un ripensamento sullo sviluppo e sul suo diverso futuro. Sarebbe però interessante fare la storia delle proprietà dei terreni e degli spazi urbani tolti all'agricoltura e alle potenziali filiere alimentari per essere dati agli insediamenti industriali e alla speculazione e alla rendita edilizia! Così come dovrebbe essere fatto un bilancio dell'impoverimento agricolo avvenuto con gli impianti del fotovoltaico.

La città di Brindisi  per superficie agraria è la città pugliese con l'agro più esteso arrivando fino a Mesagne, Sandonaci, San Pancrazio, San Pietro, Cellino, Carovigno, San Vito. E' l'unica città capoluogo che ha a suo nome,un vino Dop,il Brindisi Rosso, e che fece del vino una delle sue principali ragioni e condizioni di sviluppo attraverso i tantissimi stabilimenti vinicoli tutti distrutti o dati alla rendita e alla speculazione edilizia. La città di Brindisi attraverso i suoi carciofeti ha fatto la storia del cultivar del carciofo,oggi Igp. Era famosa per la quantità e la qualità  della produzione di angurie e melloni  gialli (ci sono ancora in giro per l'Italia gazebo che vendono angurie che spacciano come brindisine).

Autocriticamente attorno a queste produzioni non si è riusciti a costruire filiere, ne' si è stati capaci di valorizzare il saper fare dei nostri contadini, la qualità dei nostri terreni, introducendo le innovazioni necessarie. Molte delle nostre produzioni sono state valorizzate e utilizzate in altri contesti anche vicini in un rapporto positivo tra produzioni agricole, cibo, territorio, cultura. Si possono valorizzare e utilizzare a Brindisi le sue tradizionali produzioni, il suo saper fare agricolo, i suoi terreni, la sua pianura, per ripensare anche così il suo futuro? Nuovi giovani imprenditori brindisini ci stanno provando ed anche con successo.
A mio parere e' giusto pensare da qui in avanti al settore primario anche attraverso una visione più ampia dove gli aspetti innovativi offrono spunti interessanti di reale cambiamento.

Si può dare così  una prospettiva alle nuove generazioni interessate e attratte alla campagna e alla agricoltura e un po' di fiducia e di considerazione ai nostri agricoltori ancora disperati per le varie crisi agricole e di mercato che subiscono. Sarebbe un ottimo segnale per le città e per l'agricoltura brindisina se le amministrazioni locali facendo il censimento delle proprie proprietà agricole (relitti stradali, terreni agricoli, ecc.) le mettesse a disposizione di giovani e di anziani per coltivare e per imparare a coltivare e a produrre prodotti tipici dei nostri territori, introducendo anche da noi la buona pratica degli orti urbani. C'è un patrimonio di terreni, di associazioni, di cooperative che in agricoltura possono dare e fare tanto. Ci si metta alla prova se si vuole guardare al futuro dei nostri territori senza rimanere impigliati ancora nelle polemiche sulla vecchia industrializzazione che ha ormai fatto il suo tempo.

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