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Le immagini dell'insediamento e della messa di monsignor Giovanni Intini

In un gremita basilica cattedrale si è svolta stasera (venerdì 10 febbraio) la cerimonia dedicata al nuovo arcivescovo dell'arcidiocesi di Brindisi-Ostuni

BRINDISI - In un gremita basilica cattedrale si è svolta stasera (venerdì 10 febbraio) la cerimonia di insediamento di monsignor Giovanni Intini, nuovo arcivescovo dell’arcidiocesi di Brindisi-Ostuni, succeduto a monsignor Domenico Caliandro. Hanno assistito alla santa messa i vescovi pugliesi, fra cui l’alto prelato brindisino Giuseppe Satriano, vescovo di Bari-Corato, e Rocco Talucci, predecessore di Caliandro. Presenti anche le massime autorità territoriali, i sindaci dei Comuni che rientrano nell’arcidiocesi di Brindisi-Ostuni e numerosi fedeli arrivati da Tricarico (Matera) sede da cui proviene Intini.

L'omelia

Carissimi, mi rivolgo a voi con le parole che l’apostolo Paolo scrive ai cristiani di Corinto, nella sua Seconda Lettera: “Noi non intendiamo fare da padroni sulla vostra fede; siamo invece i collaboratori della vostra gioia, perché nella fede voi siete saldi.” (2Cor 1,24). Non vengo per essere padrone, o capo, o uomo solo al comando. Non vengo ad esercitare un potere. Non vengo portando la logica mondana del potere dei capi di questo mondo. Vengo per essere collaboratore della gioia della fede! Collaboratore della gioia dei sacerdoti, perché siano trasparenti nella loro umanità, coerenti nella testimonianza, appassionati nella missione. Collaboratore della gioia delle religiose e dei religiosi, perché siamo sempre testimoni di quell’altrove a cui tutti dobbiamo sempre aspirare. Collaboratore della gioia degli sposi, perché siano sempre testimoni della generatività dell’amore, che non è invidioso, non si vanta, non si gonfia d’orgoglio, non manca di rispetto, non cerca il proprio interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, ma tutto scusa, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta. (cf 1 Cor 13, 4-7). Collaboratore della gioia dei giovani, perché sognino, progettino e realizzino un mondo nuovo, da protagonisti e non da eterni “minori” sotto tutela di chi desidera pilotarli. Collaboratore della gioia degli uomini e delle donne di buona volontà, che pur non condividendo il cammino della fede, tuttavia aspirano a un orizzonte di giustizia, di pace, di legalità e di onestà.Vengo come collaboratore della gioia della fede, perché la nostra Chiesa sia testimone coerente del Vangelo della gioia, capace di parlare al cuore degli uomini e delle donne del nostro tempo, con il linguaggio familiare della fraternità, della

comunione, della tenerezza e della cura. Desidero accompagnarmi a voi, cari fratelli e sorelle, in punta di piedi, con la delicata discrezione del divino Pellegrino, sulla strada di Emmaus, per inserirmi nel vostro cammino di chiesa, già sapientemente avviato e accompagnato da Pastori secondo il cuore di Dio. Nel tempo del cammino sinodale, è necessario che ci poniamo la domanda: che Chiesa vogliamo essere per affrontare le sfide del cambiamento d’epoca? Faccio mio il desiderio del santo Papa Paolo VI che nella Ecclesiam Suam, invitava la Comunità cristiana a coltivare il “…desiderio di confrontare l’immagine ideale della Chiesa, quale Cristo vide, volle ed amò, come sua Sposa santa ed immacolata e il volto reale, quale oggi la Chiesa presenta, fedele per grazia divina, ai lineamenti che il suo divin Fondatore le impresse e che lo Spirito santo vivificò e sviluppò nel corso dei secoli…ma non mai abbastanza perfetto, abbastanza venusto, abbastanza santo e luminoso, come quel divino concetto informatore lo vorrebbe.” (ES 11). Il nostro volto di Chiesa, oggi, assomiglia a quello voluto da Cristo? La Parola di Dio che è risuonata questa sera ci ha dato delle indicazioni per il nostro cammino di chiesa che si apre davanti a noi.

Innanzitutto dobbiamo essere: Chiesa che cerca: a immagine del Dio pastore che personalmente cerca le sue pecore, le raduna, le cura, le fa pascolare, anche noi, oggi, abbiamo bisogno di superare la nostra consolidata e rassicurante sedentarietà, per andare agli incroci della vita quotidiana per incontrare gli uomini e le donne di questo nostro tempo e offrire loro il senso illuminante della vita: Gesù Cristo, immagine di quella figliolanza che vince ogni sudditanza, schiavitù, dipendenza e che restituisce a una dignità vera e profonda. Per essere Chiesa che cerca, dobbiamo essere disposti a portare le ferite dell’amore crocifisso, quelle che garantiranno la nostra conformità al Signore crocifisso e risorto e che come le ferite del Risorto saranno feritoie del dono di sé stessi senza riserve. Chiesa che cerca; Chiesa ferita, ma Chiesa a immagine del Signore Gesù, che sempre si accompagna a noi sui passi della vita.

Chiesa che tesse la comunione nella diversità: è l’orientamento che ci ha offerto San Paolo nella seconda lettura. Quella di Cristo è una comunità che si costruisce nella diversità dei carismi, dei ministeri, delle attività e tuttavia questa diversità non è caos e disordine, ma unità a immagine della Santa Trinità.
Il cammino sinodale può essere l’occasione propizia per pensare ancora di più a una chiesa ministeriale, più coinvolgente, dove nessuno si sente spettatore, ma tutti, in virtù del battesimo, vivono la propria ministerialità, con la consapevolezza che lo Spirito Santo distribuisce la grazia secondo la misura del dono di Cristo, il quale ascendendo al cielo ha distribuito doni agli uomini. (cf Ef 4, 7-8). Una chiesa esperta nella convivialità delle differenze, in questo momento storico, può diventare lievito per un mondo nuovo, più capace di fraternità, umanità e di accoglienza.

Chiesa comunità eucaristica e missionaria: è l’icona che ci ha offerto l’Evangelista Giovanni nel brano del vangelo e che deve ispirare il nostro essere chiesa secondo il cuore di Cristo. Capita anche a noi, chiesa, nelle tante notti della disgregazione, dell’autoreferenzialità, dello smarrimento, costatare che non abbiamo preso nulla, nonostante la grande fatica della pesca; e non abbiamo preso nulla perché abbiamo smarrito il riferimento operativo: il Signore risorto. Infatti, è Lui che conosce i tempi, i luoghi, le modalità della pesa abbondante. Senza del Signore, noi chiesa rischiamo di galleggiare da estranei sul mare della storia, passando il nostro tempo a lamentarci, ripensando nostalgicamente al bel tempo passato. Invece, una Chiesa eucaristica, che tesse e rinnova continuamente il suo tessuto comunitario intorno al banchetto pasquale dell’Agnello immolato, trova l’energia del servizio pastorale, dell’annuncio, della carità, della missione, per gettare le reti nel mare tempestoso della storia, non per fare proselitismo, ma per salvare gli uomini dall’individualismo asfissiante e creare legami di condivisione e fraternità.

“Venite a mangiare” è il dolce e fraterno invito che il Cristo risorto continua a rivolgere a chiunque voglia trovare un centro di gravità permanente per rilanciare la propria vita in termini di dono e aprirsi a relazioni di comunione. Per essere una Chiesa a servizio della gioia, tutti dobbiamo contribuire a costruire il volto di una Chiesa che cerca, di una Chiesa che tesse la comunione nella diversità e di una Chiesa, comunità eucaristica e missionaria. Risuona per noi, questa sera, l’invito di Dio, rivolto al profeta Giona: “Àlzati, va’ a Ninive, la grande città, e annuncia loro quanto ti dico” (Giona 3,1). Alziamoci, la grande città, il territorio su cui la nostra Chiesa diocesana vive, attende il Vangelo della gioia, attende di incontrare Cristo, Colui che può liberare l’uomo dal peccato, dalla tristezza, dal vuoto interiore, dall’isolamento. Quanti nostri fratelli e sorelle si accontentano della tristezza dolciastra della mediocrità, del compromesso, delle tante schiavitù interiori, di una vita sottobanco, perché gli è stato negato il diritto alla felicità, alla progettualità, alla dignità, a questi nostri fratelli è urgente portare il vangelo della compassione, della tenerezza, della speranza di Cristo; Lui conosce il cuore dell’uomo e saprà far tornare ad ardere quei cuori.

È tempo che ciascuno di noi, battezzati, a seconda della propria vocazione, senta di essere una missione, con la sua vita, la sua responsabilità, la sua umanità. È tempo di liberarci dalla sindrome da museo e riprendere la corsa del Vangelo, accolto, vissuto, incarnato, testimoniato, annunciato, senza far rumore, ma attraverso il soffio leggero di un sussurro che arriva al cuore, perché parola accorata, sincera e coerente. È tempo di ritrovare il piacere spirituale di essere popolo, che non significa coltivare il sogno di una chiesa di massa, angosciata dalla logica dei numeri, ma una chiesa che ama la gente e ne favorisce l’incontro con Dio e la cura delle ferite. E come ci ricorda Papa Francesco: “Per condividere la vita con la gente e donarci generosamente, abbiamo bisogno di riconoscere anche che ogni persona è degna della nostra dedizione. […] perché è opera di Dio, sua creatura. (EG 274). La Vergine Maria, donna della gioia, custodisca la nostra chiesa e le insegni il passo di danza per portare il vangelo ai poveri, perché ascoltino e si rallegrino.

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