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Intervento/ Gli incantatori di serpenti stiano alla larga dal calcio giovanile

Ho preso spunto dalle dichiarazioni di Arrigo Sacchi pronunciate durante la consegna del premio Maestrelli: “L’Italia è ormai senza dignità e orgoglio perché fa giocare troppi stranieri anche nelle Primavere, nei nostri settori giovanili ci sono troppi giocatori di colore”

Ho preso spunto dalle dichiarazioni di Arrigo Sacchi pronunciate durante la consegna del premio Maestrelli: “L’Italia è ormai senza dignità e orgoglio perché fa giocare troppi stranieri anche nelle Primavere, nei nostri settori giovanili ci sono troppi giocatori di colore”. Il pensiero dell’ex coordinatore tecnico della nazionali giovanili era maturato osservando le partite del torneo di Viareggio. 

Pur nutrendo verso Sacchi una grande ammirazione ho voluto approfondire il suo pensiero e verificare, dati alla mano, se quello che diceva corrispondeva alla realtà. L’analisi è stata condotta sugli organici ricavati dal sito della Lega di Serie A, che organizza la competizione, incrociandoli con i dati forniti dall’Ufficio Tesseramento della Figc, aggiornati a febbraio 2015.

Nella tabella sono esaminate le rose delle 42 società partecipanti ai 3 gironi del campionati Primavera. Le annate prese in considerazione sono dei calciatori nati nel 1997 e nel 1996 e che abbiano comunque anagraficamente compiuto il 15esimo anno d’età.
Potevano essere, inoltre, impegnati in ciascuna gara dei gironi eliminatori due calciatori nati non anteriormente all’1 gennaio 1995. Il campionato Primavera è stato vinto dal Torino ai calci di rigore sulla Lazio, rispettivamente 33 e 5 nella particolare classifica che tiene conto di calciatori non azzurrabili. 

Invece in finale ci sono arrivate Inter ed Hellas Verona, la prima e la quarta squadra in un numero di calciatori non azzurrabili. 

Sintetizzando al massimo, nel campionato Primavera, considerando i dati globali, si rileva come su 1102 calciatori, solo 180, pari al 16,33 per cento siano stranieri, una percentuale che sembrerebbe sposarsi con quella che è la normale dinamica ed evoluzione del nostro Paese. 
Sacchi, quindi, aveva torto.

Il dato che secondo me dovrebbe invece preoccupare maggiormente e su cui si dovrebbe rivolgere la massima attenzione è l’esigua percentuale di giovani che dalla Primavera riescono a fare il salto in Serie A. Come mai l’Inter, che ha vinto la NextGen Series 2012, una sorta di Champions League giovanile, non ha visto imporsi un giocatore nel grande calcio, mentre nell’Ajax finalista, sette giocatori giocano in pianta stabile in prima squadra e uno, Daley Bind ora è al Manchester United e vanta già 24 presenze nella nazionale olandese di cui 7 nell’ultimo mondiale in Brasile.

Il penultimo scudetto baby lo ha vinto il Chievo Verona, ma nessuno di quei ragazzi ha fatto passi avanti. Troppo acerbi dicono. Fa effetto rileggere la formazione che superò il Torino nella finale 2014. Quattro campioni d’Italia sono ancora in Primavera, il migliore, il senegalese Modo Mbaye, si è ritagliato un posticino a Carpi in Serie B, costo 0 e coraggio massimo. 

Il brasiliano Da Silva, chiuso a Pescara, è stato girato a Brescia. Gli altri annaspano in Lega Pro. Moschin, che parò il rigore decisivo nella finale, è il portiere di riserva del Pisa. Il capitano Magrì non ha trovato spazio nel Lumezzane ed è finito alla Reggina. Messetti, Cremonese e poi Reggiana, Brunetti al Martina Franca, Gatto al Lumezzane e Costa al Pisa sono tutti poco o più che spettatori non paganti.

Il numero delle10 presenze lo hanno superato Marchionni nel Gubbio, Aldrovandi alla Spal, Sané al Piacenza e Alvini al Lumezzane. 
Insomma, fanno fatica tutti a ritagliarsi uno spazio importante, immaginiamo un giovane che milita nel campionato Berretti o Juniores Nazionale quale futuro potrà avere. Sapendo questo, meglio quindi non farsi molte illusioni, cercando di programmare il proprio futuro puntando allo studio. 
Altra condizione imprescindibile che dovrebbero avere tutti coloro che operano nei settori giovanili è l’umiltà, genitori compresi, termine sconosciuto ormai.

Allenatori arrivisti ed attenti soprattutto al loro curriculum, dirigenti improvvisati e pronti sempre a criticare e molto poco a costruire, presenti in occasione di manifestazioni importanti per fare passerella, per poi sparire improvvisamente durante la settimana. E poi ci sono gli incantatori di serpenti: coloro vivono nelle tenebre e compaiono improvvisamente promettendo provini, stage e raduni con Società blasonate, illudendo ragazzi e genitori, tutto a spese di quest’ultimi si intende. 

Il vero risultato degli incantatori di serpenti è duplice: avere un riscontro economico in futuro e devastare psicologicamente il giovane calciatore facendo credere al genitore che il figlio sia un fenomeno. Danni irreversibili. 

Quante e quali delusioni avranno in futuro. Il sogno svanirà e magari accuseranno allenatori o società del loro fallimento. E’ chiaro che la responsabilità non sarà mai loro, ma di altri. Se poi ci mettiamo anche le società che promettono provini in lungo e in largo, con l’obiettivo primario di accaparrarsi la quota mensile, il dado è tratto.

In 20 anni di Settore Giovanile non ricordo nessun giovane preso in società professionistiche dopo un provino. Ritengo invece che questi provini servano soprattutto a gettare fumo negli occhi. 

Ed io che pensavo che l’addestramento e l’applicazione quotidiana, oltre alla partita ufficiale della domenica fossero gli unici e veri momenti di crescita e messa in evidenza dei giovani virgulti. Povero illuso. Ho vissuto su Marte e non me ne sono accorto. Le statistiche federali indicano che solo un giovane su 30mila potrà entrare nel mondo del calcio professionistico e la maggior parte non sfiorerà nemmeno la Serie A.  Il problema tuttavia non è il mancato arrivo dei professionisti, ma l’incapacità da parte dei genitori di accettare i limiti dei figli. 

E’ sbagliato concentrarsi sui risultati, ma valorizziamo e puntiamo l’attenzione sulla prestazione. I dati di fatto sono che noi, l’Italia, non possiamo fallire per due mondiali di seguito, eliminati al primo turno, vorrà dire qualcosa diamine. Abbiamo perso tutti nel 2010 e nel 2014, non solo la nazionale. 

Per crescere consideriamo un calcio nel quale non ci si pone l’alternativa se sia meglio vincere o giocare bene, ma questo diventa un’affermazione: giocare bene per vincere. Cominciare a considerare la sconfitta formativa, un momento fantastico per osservare le cose e capire dove abbiamo sbagliato, quindi miglioriamo. Considerando anche come il successo può essere deformante e ingannevole, perché può renderci peggiori facendoci innamorare eccessivamente di noi stessi. 

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