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Domenica, 28 Aprile 2024
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Come la politica sta imbavagliando la stampa per nascondere i fatti ai cittadini

Dietro il paravento della presunzione d'innocenza le norme colpiscono non solo i giornalisti, ma anche l'opinione pubblica: le implicazioni dell'emendamento Costa, l'ultima iniziativa che mira neanche tanto velatamente a mettere la mordacchia all'informazione. C'è già il precedente della riforma Cartabia

L'Italia rischia nel giro di qualche anno il collasso demografico, i suoi salari sono tra i più bassi d'Europa, il precariato nel lavoro è dilagante, i costi dell'energia hanno subito un'impennata. Mentre cioè è in corso la tempesta perfetta, la classe politica nostrana ha individuato i veri problemi di questo Paese: le intercettazioni e la loro eventuale divulgazione attraverso i media e le notizie in generale. Da più di un anno il ministro della Giustizia, l'ex pm Carlo Nordio, si sveglia ogni mattina con l'idea fissa di spuntare le armi agli inquirenti perché in Italia "ci sono troppe intercettazioni". E' sempre stato dello stesso avviso il deputato di Azione, dunque tecnicamente di opposizione, Enrico Costa, il "papà" dell'omonimo decreto che, se approvato, vieterà ai giornalisti la pubblicazione integrale o per estratto delle ordinanze di custodia cautelare. La norma allo stato attuale non esclude la pubblicazione per riassunto, ma il rischio è che "asciughi le fonti", come già accaduto con la riforma Cartabia: i cronisti di giudiziaria potrebbero trovare difficoltà insormontabili nel reperire le carte da fonti magari più restie a fornirle. Tornando alle intercettazioni, Costa più volte si è scagliato contro lo strumento d'indagine e la sua norma, di fatto, renderà non pubblicabili eventuali dialoghi intercettati contenuti nelle ordinanze e di interesse pubblico. 

Le norme dei "complottisti"

Enrico Costa non è esattamente un peone della politica: è stato ministro nei governi Renzi e Gentiloni ed è stato vice di Andrea Orlando alla Giustizia. Stando alla pagina a lui dedicata su Wikipedia ha cambiato diversi partiti - se ne contano nove - ed è laureato in giurisprudenza. Professione: avvocato e giornalista pubblicista. Evidentemente Costa non si è mai occupato di cronaca giudiziaria o non ha mai chiesto a colleghi del settore come funzioni questa delicata materia. In un'intervista rilasciata a Domani, infatti, il parlamentare di Azione parla di giornalisti che entrano negli uffici dei gip per ricevere brevi manu le ordinanze di custodia cautelare. Parla anche di giudici che scrivono questi atti per vederseli pubblicati pari pari sui giornali. Non solo, per Costa l'ordinanza è "un atto che è unidirezionale visto che è il recepimento di una richiesta di arresto che potrebbe anche essere ribaltato dal riesame". Come se il gip accogliesse pedissequamente le tesi e le richieste del pm. Sorvolando su quest'ultima castroneria, anche le altre due sono mica male: parlando di "marketing giudiziario" e di magistrati bramosi di "passare le carte" ai giornalisti, Costa non solo dimostra di non conoscere questo mestiere, ma va subito annoverato tra i politici complottisti - e ce ne sono molti, a destra come a sinistra - che immaginano questi rapporti tra inquirenti e cronisti come "turpi". La realtà è molto più complessa, reperire le "carte" non è semplice. Ogni giornalista ha le proprie fonti, spesso non nei Tribunali e nelle Procure. Un particolare: qui si sta parlando di atti non coperti da segreto investigativo, quindi in questi passaggi sia il giornalista che la fonte non commetterebbero alcun illecito.

La "scusa" della presunzione d'innocenza

Arrivato a questo punto il lettore si chiederà: "Va bene, ma io che non sono giornalista, che c'entro con questa norma?". La risposta è semplice: l'opinione pubblica rischia di essere meno informata riguardo a un atto importante, che limita la libertà personale di un indagato. E in molti casi potrebbe non conoscere nel dettaglio spaccati di vita che indirettamente lo possono riguardare. Anzi, questo sta già accadendo, senza aspettare l'entrata in vigore dell'emendamento Costa. Da un paio d'anni i giornalisti fanno i conti ogni giorno con il decreto legislativo numero 188 del 2021, la riforma Cartabia. Che dice? In un riassunto preso dal sito ufficiale della Camera si legge: "Introduce il divieto, per le autorità pubbliche, di presentare all'opinione pubblica l'indagato o l'imputato in un procedimento penale come 'colpevole', prima che sia intervenuto un provvedimento definitivo di condanna". Quindi rafforza solo il principio di non colpevolezza, giusto? Non proprio: limita anche le conferenze stampa della procura, che si effettuano solo quando strettamente necessarie. E dunque non riguarda i giornalisti? Indirettamente, sì: le forze dell'ordine, prima di poter divulgare qualsiasi notizia, devono richiedere il nulla osta della procura, che lo concede solo quando la notizia è di interesse pubblico. Insomma, non è il giornalista a decidere cosa va raccontato all'opinione pubblica o cosa no, ma lo decide il procuratore. Il risultato? Buona parte della cronaca nera è scomparsa. I fatti accadono, ma i cittadini non possono venirne a conoscenza.

All'opinione pubblica non far sapere...

La cronaca nera, in Italia, ha subito una contrazione durante un periodo storico ben preciso, in quanto faceva comodo alla classe politica che i delitti "scomparissero" dalla stampa. Occhio non vede, cuore non duole. Doveva apparire un Paese in ordine, l'Italia. Era il fascismo. Naturalmente, accusare il governo Draghi - Marta Cartabia ne era ministro della giustizia - di ispirarsi al fascismo pareva brutto, oltre che lunare. E anche adesso, con la destra al governo, è fuori luogo, anche perché il padre della norma è un deputato di Azione. Il fascismo non può tornare così come è stato, per fortuna. Però anche impedire ai giornalisti di raccontare i fatti, attraverso atti non segreti, non è il massimo della democrazia. Nell'Urss di Stalin o nell'Argentina di Videla e Massera capitava che uomini e donne venissero arrestati e non se ne conoscessero i motivi. Nell'Italia del 2024 è paradossale. Eppure l'impressione è che buona parte della classe politica voglia proprio questo: non rendere noti i motivi di un arresto o i particolari di qualche indagine. "A pensar male si fa peccato, ma spesso ci si prende". Basta ascoltare qualche talk show o leggere varie interviste a esponenti politici, anche di primo piano, e si verrà inondati di dichiarazioni contro le intercettazioni e contro i giornalisti che pubblicano atti giudiziari. Ecco: non è che queste norme servono solo a occultare fatti accertati, telefonate o commistioni che l'opinione pubblica dovrebbe conoscere? Specie se riguardano politici o "potenti".

"Ce lo chiede l'Europa". Falso!

Il dubbio viene quando i difensori della riforma Cartabia e dell'emendamento Costa intonano peana e ditirambi nei confronti di queste norme che in teoria rafforzano solo la presunzione d'innocenza. In molte dichiarazioni viene spiegato che esse sono giustificate da una direttiva Ue, la 343 del 2016. "Ce lo chiede l'Europa" è il Refugium Peccatorum quando si tratta di propinare una norma sgradita. La direttiva non è molto lunga, giusto undici pagine, e a differenza di molte norme italiane - anzi, bizantine - è di una chiarezza encomiabile. In breve: spiega, tra le altre cose, alle autorità dei vari Stati europei che non possono presentare indagati e imputati come colpevoli se non c'è una sentenza definitiva di condanna. Riguarda, insomma, investigatori e inquirenti, non i giornalisti. Anzi, la libertà di stampa è ritenuta di importanza capitale. Si legge in un passaggio che gli Stati membri "dovrebbero informare le autorità pubbliche dell'importanza di rispettare la presunzione di innocenza nel fornire o divulgare informazioni ai media, fatto salvo il diritto nazionale a tutela della libertà di stampa e dei media". Nell'unico passaggio in cui si parla di media, si ribadisce la tutela della libertà di stampa. A questo punto viene il dubbio che Costa e il resto della classe politica o non abbiano letto questa direttiva, o non l'abbiano capita. Eppure è anche tradotta in italiano. In realtà, c'è una terza possibilità: che l'abbiano letta, che l'abbiano capita e che, richiamandosi a essa, mentano spudoratamente. Non per ripetersi, ma "a pensar male si fa peccato, ma spesso ci si prende". 

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